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Fondi pensione: la prima cosa è la libertà di scelta

No alla forzatura del silenzio- assenso

(17 Dicembre 2006)

Un investimento finanziario dai costi certi dai rendimenti incerti

Un investimento finanziario dai costi certi dai rendimenti incerti

A differenza della previdenza pubblica, i fondi pensione integrativi sono dei veri e propri investimenti finanziari.
Al lavoratore viene chiesto di investire il proprio TFR ed una quota della sua retribuzione in un fondo di investimento finanziario che, tramite le agenzie del settore, investirà questo capitale in operazioni di borsa al fine di produrre un rendimento.


Come per tutti gli investimenti finanziari parliamo quindi di rendimenti incerti che nessuno può onestamente quantificare, così come nessuno può onestamente garantire che in realtà tale investimento non possa anche andare in perdita.
I fondi pensione non sono una novità assoluta. Esistono già in quei paesi dove manca del tutto o ha scarsa copertura, un sistema previdenziale come il nostro e sono noti, oltre che numerosi, i casi di fondi pensione entrati in crisi perché investiti da crac finanziari o da cedimenti nelle quotazioni di titoli in borsa, con relativa perdita di capitale da parte dei lavoratori che vi avevano investito parte delle loro retribuzioni.
In Italia, l’offerta di investimenti in fondi pensione finanziari è nata, anche da parte sindacale, sulla base dell’idea (per noi sbagliata) di dare per persa una battaglia per la difesa e lo sviluppo della previdenza pubblica (soprattutto per recuperare i danni causati dalla controriforma Dini in poi, e dallo sviluppo abnorme della precarietà lavorativa).
Resta comunque il fatto che dopo 10 anni dalla loro contrattualizzazione i fondi pensione sono, come da molti riconosciuto, in grande difficoltà. Scarse le adesioni da parte dei lavoratori, scarsa flessibilità di entrata ed uscita dai fondi, impossibilità nel prevedere i rendimenti, e non ultima la loro debolezza strutturale in quanto il modello della pensione integrativa entra facilmente in crisi. I fondi integrativi finanziari sono infatti costosi e richiedono versamenti costanti e per lunghi periodi che non possono essere garantiti dal lavoratore esposto a rischi di uscita, per periodi più o meno lunghi, dal mercato del lavoro, né tanto meno da lavoratori precari.
E’ per rispondere a queste difficoltà che si è pensato di trasferire ulteriori risorse ai fondi pensione attraverso il conferimento del TFR.

Silenzio-assenso: una indebita forzatura

Silenzio-assenso: una indebita forzatura

La proposta di aderire ad un fondo pensione altro non è quindi che l’offerta, da parte di un venditore, di comprare un prodotto finanziario.
Mi si chiede di consegnare una quota del mio salario a qualcuno che poi si impegna a portarlo in borsa nella speranza di qualche rendimento futuro.


Di fronte ad una richiesta di acquisto di un prodotto finanziario ogni acquirente è, per legge, libero di aderire o meno. Bene fa qualsiasi venditore a promuovere il suo prodotto, ma ognuno deve essere libero di aderire o meno all’investimento nei modi e nei tempi a lui congeniali.
Ed infatti così è, perché è ovvio che se anche io accettassi di aderire ad un fondo pensione questa scelta la posso fare anche oltre i sei mesi del silenzio-assenso, anche fra un anno, e nessuno potrebbe impedirmelo.
Ma allora perché tutta questa fretta che ci viene presentata attorno al meccanismo (stranissimo) del silenzio- assenso dei primi sei mesi del 2007? Perché mi viene presentata un’offerta a cui sono obbligato ad aderire a meno che entro sei mesi io non comunichi un esplicito diniego? Perché Cgil Cisl e Uil, non sono venuti in assemblea a chiedermi se ero d’accordo sull’accordo da loro fatto in materia di TFR ed ora invece fanno assemblee ovunque per promuovere un prodotto finanziario? Perché si ha fretta di promuovere un prodotto finanziario dai costi certi di cui nessuno può però dirmi se avrò un rendimento o meno e di quale entità, e inoltre, perché se non esplicito chiaramente il mio diniego entro giugno 2007 questo prodotto viene considerato venduto? Nemmeno Wanna Marchi è arrivata a tanto per vendere i suoi prodotti.
Il sospetto che si voglia in realtà “fare cassa” e velocemente, per difendere l’asfittico mercato finanziario viene immediato e naturale.

Ma il TFR non è dei lavoratori?

Ma il TFR non è dei lavoratori?

Ci si dice che è meglio investire il nostro TFR in un fondo pensione invece che lasciarlo in azienda o, per le aziende sopra i 50 dipendenti, vederselo collocare in un fondo Inps nella disponibilità del Ministero del tesoro per finanziare opere pubbliche.

Ci dovrebbero però spiegare, Cgil-Cisl-Uil perché si sono detti d’accordo sul trasferimento del TFR su un fondo per finanziare opere pubbliche senza aver sentito prima i lavoratori.
Comunque sia collocato il nostro TFR, in azienda o presso l’Inps, perlomeno siamo sicuri del suo rendimento. Sappiamo che il nostro TFR ha per legge una rivalutazione annua pari all’1,5% più il 75% dell’inflazione e sappiamo che in caso di necessità possiamo chiederne un anticipo, così pure sappiamo che il nostro diritto al TFR è oggi tutelato e garantito da un fondo di garanzia che scatta in caso di fallimento dell’azienda. Tutele, queste che valgono ancora sia che il nostro TFR sia mantenuto in azienda, sia che sia depositato presso l’Inps.
Ma che garanzie danno i Fondi pensione al nostro TFR?
Non solo non si possono conoscere a priori i rendimenti ed i rischi di questo investimento su un prodotto finanziario, ma una volta versato il TFR nei fondi ne diventa anche difficile l’esigibilità.

Un lavoratore, indipendentemente dal fatto che sia interessato o meno ad aderire alla proposta di investimento finanziario in un fondo pensione, deve poter decidere in totale libertà, senza forzature temporali (i 6 mesi del silenzio-assenso), e con la possibilità di avere tutte le informazioni necessarie alla sua valutazione.

TFR nei fondi pensione? No grazie!

Per questo come Comitato nazionale per la difesa della pensione pubblica e per il diritto dei lavoratori a disporre liberamente del proprio TFR, proponiamo a tutti i lavoratori di consegnare all'azienda e da subito la lettera di diniego esplicito dell'adesione al trasferimento del proprio TFR ai fondi pensione.

Anche chi volesse aderire alla proposta di investimento finanziario nei fondi pensione può infatti farlo in qualsiasi momento, anche fra un anno, fra due, quando cioè avrà potuto valutarne appieno la convenienza, liberamente e senza forzature.

Ci sono ad oggi troppe cose da chiarire.
Intanto non si capisce perché, invece di dirottare altre ed ulteriori quote di salario per finanziare il decollo di fondi pensione, non si debba invece rilanciare l’iniziativa sindacale per la difesa e lo sviluppo della previdenza pubblica.
Infatti, come si può affermare che occorre ridurre la spesa previdenziale, se lo Stato non mette un solo centesimo per le pensioni?
Gli stessi bilanci dell’Inps ci dicono che il fondo lavoratori dipendenti – pagato dal lavoro e non dalle tasse - ha un attivo, ancora oggi, di circa 2 miliardi di euro.
Del resto, parlare di quello che avverrà tra decine di anni non ha senso, perché nessuno è seriamente ed onestamente in grado di prevedere quali saranno le capacità produttive del futuro. Ma comunque, anche volendo parlare di “soldi”, i problemi di “cassa” che la previdenza pubblica potrebbe avere negli anni futuri non derivano dalla debolezza della sua struttura o dall’allungamento delle aspettative di vita, ma dal fatto che ancora oggi l’Inps finanzia con i soldi delle nostre contribuzioni l’enorme massa della spesa assistenziale (che dovrebbe in realtà essere finanziata tramite la fiscalità generale) e dallo sviluppo della precarietà (che è anche precarietà salariale e contributiva).
Problemi sindacalmente affrontabili chiedendo al Governo il rispetto delle leggi vigenti (per quanto riguarda la copertura delle spese assistenziali), conquistando l’abrogazione della legge 30 e delle altre norme precarizzanti che forniscono alle imprese un enorme mercato di mano d’opera flessibile, precaria e a basso costo e conseguentemente intaccano la tenuta del sistema previdenziale pubblico, riservando l’attivo del fondo lavoratori dipendenti alla copertura dei futuri problemi di cassa, come ad esempio è stato previsto in Francia.
Poi, anche per quanto riguarda i fondi pensione finanziari, va risolta l’assurdità dei regolamenti e degli statuti che oggi li governano. Il TFR è dei lavoratori e nessun fondo pensione può essere credibile se non garantisce il ripristino del diritto a disporre liberamente ed immediatamente del proprio TFR in caso di recesso dall’adesione al fondo.

Nei 6 mesi che vanno da gennaio a giugno 2007, verrà organizzata da Cgil-Cisl-Uil una intensa campagna per la raccolta di adesione ai fondi pensione di investimento finanziario.
Per questo, dopo aver chiesto inutilmente in questi mesi che prima di ogni accordo si andasse a sentire ed a far votare i lavoratori, molti lavoratori e lavoratrici, delegate e delegati Rsu hanno promosso il “Comitato nazionale per la difesa della pensione pubblica e per il diritto dei lavoratori a disporre liberamente del proprio TFR”.
Abbiamo chiesto a Cgil-Cisl-Uil la massima libertà di informazione e di discussione perché i lavoratori fossero in grado di conoscere tutte le argomentazioni pro e contro, utili alle valutazioni ed alle decisioni che dovranno prendere rispetto all’offerta di investimento di una parte consistente del loro salario in un prodotto finanziario quale il fondo pensione integrativo, ma soprattutto per chiedere che Cgil-Cisl-Uil, in nome della trasparenza e della libertà di scelta dei lavoratori non utilizzino lo strumento del silenzio-assenso in quanto indebita forzatura nei confronti dei lavoratori.

per materiali ed informazioni: www.perlapensionepubblica.it

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