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La quarta guerra mondiale e' cominciata

documento della Redazione di "Vis-à-Vis"

(4 Novembre 2002)

LE SOCIALDEMOCRAZIE DELL'"EUROPA SOCIALE" HANNO GIA' PIU' VOLTE VOTATO I CREDITI DI GUERRA ... E NOI NON POSSIAMO PIU' DAR LORO CREDITO !!!

Dalla selva Lacandona, nell'estate del 1997, Marcos seppe anticipare ciò che l'Enduring Freedom, ben cinque anni dopo, ha definitivamente sancito: il priapista democratico Clinton non è stato che l'apripista del faccendiere repubblicano Bush!

Nel nostro piccolo, la mattanza orchestrata dal centro sinistra durante le giornate di Napoli è stata la prova generale del massacro omicida perpetrato a Genova dal centro destra: le prime ricadute, sul nostro fronte interno, della "guerra infinita" contro l'umanità intera, esplicitamente dichiarata da Monsieur le Capital soltanto dopo le Twin Towers.

Ora, nella bomboniera rinascimentale fiorentina si consumano le laide nozze tra i "fratelli nemici": tutti insieme appassionatamente a garantire l'ordine contro l'invasione delle orde barbariche.

Anche qui ci piace rispolverare quel Marcos che non idolatrammo quando fu strumentalmente mitizzato e che ora giace nell'oblio: "Nel cabaret della globalizzazione abbiamo lo show dello stato, che si spoglia di tutto fino a restare coperto dell'indumento minimo indispensabile: la forza repressiva". Dal welfare al warfare, dallo "stato sociale" allo "stato penale"!

Oggi, mentre vengono strappati gli ultimi brandelli delle sue presunte virtù democratiche, lo stato disvela la sua vera essenza costitutiva: l'essere sostanzialmente "monopolio della violenza organizzata" di un potere che si riscopre univocamente compatto e solidale in tutte le sue componenti CONTRO l'intollerabile eresia di chi pretende esprimere l'utopia concreta di una radicale alterità. E tale univoca ed esplicita propensione all'uso della violenza, indipendentemente dal suo farsi effettiva pratica repressiva, determina come sempre una spinta disciplinatrice in grado di interdire il libero dispiegarsi della dialettica fra le varie componenti del "movimento".

Il governo ha fatto bene il suo sporco lavoro: ha imposto all'"opposizione" di uscire allo scoperto, corresponsabilizzandola direttamente nella gestione di quell'ordine pubblico su cui è riuscito ad appiattire l'"evento" di Firenze, anche grazie al pretesto offertogli dalle solite rodomontate dei soliti noti specialisti della disobbedienza ridotta a spettacolino. Dal suo canto, il centro sinistra ha potuto accollarsi questa responsabilità perché in grado di trovare aree d'interlocuzione dentro al "movimento". In ampi settori di questo alligna ancora la chimera di un'"Europa dei diritti", in grado di imbrigliare gli spiriti animali del mercato e controbilanciare l'espansione imperialistica statunitense. L'esperienza di "Porto Alegre 2" non è passata invano: l'araba fenice della "terza via" persevera nel suo sempre più penoso tentativo di risorgere!

D'altronde, il cosiddetto "popolo dei girotondi" ha oggettivamente rimesso in gioco il centro sinistra, ricostruendone una qualche credibilità come referente politico-istituzionale "dei movimenti dal basso dei cittadini". L’Ulivo riprova dunque oggi a giocare il ruolo di cerniera tra la piazza e il Palazzo, proponendosi alla prima come interlocutore aperto, e offrendo al secondo ampie garanzie in merito alla condivisione di un fondamentale obiettivo: l'ordine disciplinare nella comune "azienda paese". Per far ciò, da un lato, non può che costruire rapporti con una piazza adeguatamente depotenziata nei propri contenuti, in quanto annacquata dalle battaglie meramente legalitarie dei "girotondi" e dall’estrema eterogeneità del cosiddetto movimento no global (nel cui seno - guarda un po’! -, all’associazionismo cattolico e a certa intellettualità tradizionalista è riconosciuta più legittimità che ai settori "antagonisti"), e dall’altro lato, non può che giocare sull’ambiguità derivante dal fatto che l’assunzione diretta di responsabilità viene condotta dai banchi dell’opposizione.

Il "partito di lotta e di governo", secondo l’infausta e mistificante formula autodefinitoria coniata dal Pci negli anni settanta, cede ora il posto alla "coalizione né di lotta né di governo".

Indubbiamente, alcune ambiguità non sciolte dal "movimento", spesso senza reale consapevolezza, in altri casi con colpevole strumentalità, hanno creato le condizioni per il verificarsi di tale situazione. Va bene contestare l’orrido Berlusconi, come qualsiasi altro governo di destra, ma in nome di cosa? Quale alternativa rappresentano oggi le sinistre istituzionali? Quali sono i loro reali margini di manovra, nell’attuale contesto di un capitale sempre più unico e incontrastato regolatore della produzione e riproduzione sociale, su scala planetaria? Ci piace su questo punto citare ancora una volta Marcos: "il grande potere mondiale può tollerare un governo di sinistra in una qualche parte del mondo, sempre che [...] questo governo non prenda decisioni che contraddicano le decisioni dei centri finanziari mondiali. Ma in nessuna maniera tollererà che un'alternativa di organizzazione economica, politica e sociale si consolidi". Anche Lula in Brasile è avvertito. Salutiamo la sua vittoria con soddisfazione, ovviamente. Ma sappiamo che difficilmente potrà salvarsi da una tragica alternativa: rassegnarsi cioè a vestire i panni di un Blair in salsa carioca, o fare la fine di Allende (o ancora, in maniera più soft, di Chavez). Non sarà certo l’appoggio condizionato di una parte della borghesia brasiliana, favorevole ad una maggiore autonomia del capitale nazionale per evitare una débacle di tipo argentino, a evitargli la scelta ... "tra la peste e il colera". Tutt’altro! Solo uno scarto in avanti a livello mondiale sul piano della soggettività, da parte del "movimento che abolisce lo stato presente delle cose", potrà creare le condizioni per forzare questa situazione paralizzante.

Dunque, anche da tale punto di vista, un dramma reale si cela dietro la farsa cabarettistica in cui si è deciso di trasformare l'"evento Firenze", dopo il "Grande Inciucio" consumatosi nei Palazzi istituzionali, fra il 30 e il 31 ottobre. Dal Chiapas, da Seattle, da Genova sono venute delle domande radicali: come costruire un altro mondo? Come consolidare "un'alternativa di organizzazione economica, politica e sociale"? Ma a tutt’oggi il "movimento" non è riuscito a dare delle risposte sufficientemente condivise e a costituire le proprie forme di autorganizzazione, in grado di assicurare la permanenza di un radicale antagonismo su scala planetaria. Un gap drammatico che rischia di lacerare tutti coloro che, anche in perfetta buona fede, cercano di supplire "politicamente" alla mancanza di una reale autodeterminazione della soggettività di classe. Lo scadimento dell’appuntamento continentale di Firenze ne è la prova. Un governo dagli evidenti aneliti repressivi, da una parte, il "moderatismo" della sinistra istituzionale e non, dall’altra: questa è la tenaglia che sta ormai schiacciando il Social Forum Europeo. Chi non si rassegna alla velleitaria quanto imbelle "ragionevolezza" patrocinata dal centrosinistra è un provocatore che, come tale, sarà colpito da un’inevitabile e in fin dei conti "meritata" repressione.

Di fronte a questo vero e proprio ricatto riteniamo indispensabile ribellarsi con estrema determinazione. Nonostante ciò, anzi, proprio per questo, è necessario più che mai essere presenti a Firenze, nella lucida consapevolezza che tale situazione non è mero frutto della malafede di alcuni, sebbene non in pochi ci abbiano messo del loro. No, questa situazione è figlia delle oggettive difficoltà del presente. E deve essere ben chiaro che la semplice defezione non può risolvere una contraddizione reale, perché essa, nonostante la sottrazione di chicchessia, tornerebbe inevitabilmente a presentarsi: le contraddizioni reali vanno scardinate dall'interno, facendo leva sulle dinamiche che si generano nel centro stesso dell’antinomia.

I movimenti imparano dai loro stessi errori, non potrebbe essere altrimenti. Chiunque ritenga di avere un qualche contributo di idee da condividere, deve agire dall’interno, facendosi carico delle arretratezze, degli errori e delle sconfitte del movimento. Da questo punto di vista, come sempre, il compito pratico e teorico può essere soltanto quello di "abbreviare le doglie del parto": quel parto che nel prossimo futuro potrà dare forma al nuovo soggetto collettivo rivoluzionario.

Questo processo non è certo garantito, ma di sicuro le mistificazioni ammantate di compassionevole "ragionevolezza" non possono che avere effetti ... anticoncezionali. Ed è per questo che denunciamo il falso nemico rappresentato dal "neoliberismo", inteso come la forma estrema e disumana dell’attuale sviluppo capitalistico, che potrebbe essere sostituita da una diversa regolamentazione politica del medesimo modo di produzione, nel rispetto dei diritti sociali, civili e politici dell’umanità intera. Beata quanto suicida illusione! Noi continuiamo a sostenere, invece, che non esiste alcun "capitalismo dal volto umano": esistono soltanto le esigenze dell’accumulazione più o meno favorevoli, nei diversi tempi e luoghi, ad istanze meramente redistributive, comunque sempre concretizzabili solo in forza della conflittualità di classe. Ed oggi quelle esigenze impongono un’unica e devastante configurazione ad un capitale totale ormai stremato dalle sue stesse contraddizoni strutturali. Già nell’estate del 1996, dal "Primo incontro intercontinentale per l'umanità e contro il neoliberismo", fu stigmatizzata questa inoppugnabile realtà: "Il neoliberismo è una strategia di organizzazione della produzione e della vita sociale. Costituisce un momento storico dello sviluppo capitalista, che si presenta come una risposta integrale alle contraddizioni del processo di accumulazione del capitale e della lotta di classe. In questa misura, neolberismo e capitalismo non possono essere disgiunti e una lotta contro il primo implica necessariamente una lotta contro il secondo, come sistema di sfruttamento e dominazione sociale. Il neoliberismo è solo l'aspetto attuale del capitalismo" [Documento finale del Tavolo 2 A, 27/7/1996 Chiapas, votato all'unanimità].

Il "neoliberismo" è dunque solo uno dei tanti quid pro quo oggi in gran voga, che intorbidano le acque e permettono di dare credibilità ad un esangue riformismo. Ma se ne possono citare altri assai in auge, purtroppo, anche nella "sinistra" che si vorrebbe critica. Ad esempio, la denuncia della speculazione finanziaria quale sostitutivo della critica del capitale tout-court. Come se il "parassitario" capitale speculativo fosse una "specie" a parte rispetto a quella del "sano" capitale produttivo, e non una delle forme che ogni singolo capitale può assumere (soprattutto, nel caso specifico, quando la sovraccumulazione generalizzata interdice la valorizzazione, nell’ambito della produzione industriale). Il tutto, ovviamente, per giustificare una possibile alleanza con la "parte sana e produttiva" della classe borghese. O ancora, l'uso del termine "impero" (ché "concetto" ci riesce difficile definirlo), oramai preferito, da moltitudini di intellettuali e politici, alla ben più fondata nozione di imperialismo: solo un patetico escamotage per trovare un interlocutore istituzionale dalle presunte connotazioni "progressive", rispetto allo screditato stato nazionale.

E se non ci piacciono le mistificazioni teoriche, ancor meno ci convincono le ricettine "politiche" in gran voga, come la Tobin Tax e il reddito di cittadinanza. Si tratta di stratagemmi che, nella loro unilateralità, pretendono di cambiare il mondo senza passare per il crocevia fondamentale di questo modo di produzione: lo scontro tra capitale e lavoro. In questo senso sembrano, a tutta prima, assai ragionevoli, in quanto immediatamente praticabili; salvo che questa praticabilità si dà solo quando essi vengono proposti nelle loro versioni più minimalistiche e sostanzialmente irrilevanti. Quando, cioè, assumono una portata quantitativa talmente scarsa, da risultare assolutamente compatibili con gli assetti sistemici attuali. Se ci si spostasse da questi livelli minimali e, soprattutto, se ci si volesse spingere verso i gradi più estremi, tali misure finirebbero per minacciare significativamente l’appropriazione del plusvalore da parte del capitale e la loro effettiva operatività risulterebbe dunque subordinata ad un livello di conflittualità tale da meritare ben miglior causa (come il comunismo, per fare un esempio a caso!). Delle due l’una: o Tobin tax e reddito di cittadinanza sono "ragionevoli" ma irrilevanti, o sono rilevanti ma "irragionevoli". Si possono tenere insieme le due caratteristiche solo ignorando la differenza qualitativa tra il livello minimo e quello massimo di queste rivendicazioni. Misero giochetto mistificatorio, in grado di sortire un unico effetto: accreditare ancora una volta l’illusione di un impossibile "capitalismo dal volto umano"!

Non dobbiamo rimanere imbrigliati dentro questi angusti limiti. I buoi sono già scappati mentre qualcuno sta tentando di chiudere tardivamente la stalla. Non saremo certo noi a dargli una mano!

Ben prima dell’11 settembre il "vento di Seattle" (diventato "bufera" a Genova) ha rivelato la fragilità del dominio del capitale totale. Ed ha anche mostrato come la speranza di una radicale alterità non sia la vaga chimera inseguita da un pugno di eretici sconfitti dalla storia, ma l’utopia concreta "racchiusa" in un "movimento" che sta ormai crescendo su scala planetaria, sebbene non si sia ancora consolidato come soggetto collettivo rivoluzionario.

I tentativi delle varie pseudo-neosocialdemocrazie di blandirne le componenti più moderate, così come la rappresentazione riduttiva e banalizzante operatane dai media erano e restano rischi da mettere in conto. Rischi che divengono però assai difficili da contrastare, nel momento in cui si decide di cavalcare la logica del "Grande Evento", con la conseguente necessità di costruire un arco di interlocuzione quanto mai ampio ed ecletticamente pluralistico, nonché, magari, di mettere in ombra soggetti e contenuti "meno presentabili" ("Porto Alegre 2" insegna).

A Firenze dovremo quindi esserci per riappropriarci dal basso di questo appuntamento, per riempirlo con la nostra rabbia, per portare anche fin sotto i palchi del Grande Inciucio (certo ben individuabili!) quel vento di Seattle che Lor Signori e i loro ragionevoli reggicoda vorrebbero esorcizzare, riducendolo a liturgia spettacolare!

Contro la guerra infinita che incombe sul mondo, dobbiamo ricercare/costruire momenti di pratica di massa in grado di spezzare le gabbie ideologiche di pacifismi queruli e impotenti, perché incapaci di individuare il vero nemico nel presente dominio del capitale totale, che sta ormai conducendo a rapidi passi l'umanità intera, verso un definitivo olocausto! Nel contesto del Forum fiorentino, il primo e parziale passo verso la ricomposizione del proletariato universale potrà essere uno soltanto: porre le basi per una piattaforma continentale sul salario sociale europeo (salario diretto, servizi pubblici, pensioni, indennità di disoccupazione, ecc.) coerentemente estranea ad ogni logica dei due tempi e irrimediabilmente antagonistica nei confronti della classe capitalistica e di tutti i ceti politici del vecchio continente. Una piattaforma che non potrà far leva sulla presunta neutralità di uno stato pronto ad accogliere le pacate richieste dell'astratto "cittadino", ma che dovrà nutrirsi e contribuire alla crescita dell'antagonismo di classe verso una propria dispiegata autonomia in grado, con la sua forza e la sua rigidità, di costringere il capitale e i suoi rappresentanti politici ad adeguarsi ad una pratica collettiva immediatamente contraddittoria rispetto ai loro interessi. Fin dove potrà essere spinto questo processo, senza nulla concedere ad avventuristici soggettivismi, dipenderà soltanto dalla forza raggiunta dall'autonoma pratica teorica della soggettività di classe. A questo scopo, la chiarezza politica sarà un passo doloroso, ma indispensabile: dovrà finalmente esplodere quella vera e propria contraddizione di classe che si è delineata all’interno dello stesso Forum Sociale Europeo tra le componenti anticapitalistiche e quelle pallidamente riformiste.

E se la lezione di Firenze ci sarà comunque servita a qualcosa, dovremo allora, per il futuro, cambiare strada. Il prossimo incontro internazionale, qualsiasi esso sia, sarà meglio tenerlo di nuovo nel fango di una selva del terzo mondo, o, in alternativa, tra i calcinacci di qualche periferia urbana. Lasciamo le città d’arte, i palazzi confortevoli e le luci della ribalta mediatica a chi è in cerca di facile notorietà: se vogliamo mutare lo scenario politico del movimento, di certo cambiare la coreografia degli incontri internazionali non basterà, ma, almeno, potrà aiutare!


3 novembre 2002

La Redazione di "Vis-à-Vis"
http://web.tiscalinet.it/visavis

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