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No alla base Usa a Vicenza!

Fuori la Nato dall'Italia

(19 Gennaio 2007)

“Su Vicenza la decisione è presa”, queste le parole del Presidente del Consiglio, Romano Prodi. Il governo ha dato infatti il via libera all’ampliamento della base americana di Ederle. Il progetto interessa l’area dell’aeroporto Dal Molin, a ridosso della città di Vicenza, dove si dovrebbe trasferire interamente la 173° brigata aviotrasportata Usa, oggi divisa tra Ederle e la Germania.

L’ampliamento della base avrebbe un impatto devastante su Vicenza e la sua provincia. L’area occupata dagli americani sarebbe di 500mila metri quadri, con un volume di edifici costruiti di 60mila metri cubi, pari a 1900 appartamenti di 100 metri quadri ciascuno. Il numero dei soldati americani di stanza a Vicenza aumenterebbe di duemila unità, arrivando a circa 4.500.

La squadra di combattimento che ha ad Ederle la propria sede è una delle principali unità che effettuano la rotazione di truppe in Iraq ed in Afghanistan.Secondo l’esercito Usa è “l’unica unità aviotrasportata e forza di risposta rapida del comando europeo” la cui area di responsabilità comprende l’Europa. Gran parte dell’Africa e alcune parti del Medio Oriente, per un totale di 91 paesi. (Il Manifesto, 18 gennaio 2007)

La questione dell’allargamento della base Usa non è affatto un “problema di urbanistica” come afferma Prodi, trincerandosi dietro il voto favorevole del Comune di Vicenza, a maggioranza di centrodestra. È un problema politico. Da questa, e dalle altri basi italiane, l’esercito Usa parte per le sue missioni imperialiste in Medio Oriente e in Afghanistan. L’assenso ai progetti di Washington è quindi totalmente politico. Oggi l’Unione assicura che da Vicenza “non si partirà per missioni di guerra”. Nel 2003 in occasione dell’invasione dell’Iraq, invece è proprio quello che Washington ha fatto, inviando un migliaio di paracadutisti proprio dalla base di Vicenza. Come si potrebbe impedire che accada di nuovo?

A servizio dell’imperialismo americano

Oggi l’atteggiamento del governo appare ridicolo, per non dire offensivo, quando Prodi afferma che sull’ampliamento della base “non ne sapevamo nulla, il vecchio governo non ci ha informato”. È dal marzo del 2005 che le forze armate Usa hanno dimostrato un interessamento all’espansione dell’area di Ederle. Negli scorsi mesi a Vicenza non si è parlato di altro ed il 2 dicembre in ventimila sono scesi in piazza per dire no alla base. Oggi si approva il progetto Usa senza chiedere il minimo parere ai cittadini interessati. Un difetto di comunicazione o semplice arroganza?

La verità è che il governo dell’Unione ha cercato di prendere tempo, attraversato come al solito da opinioni contrastanti al suo interno. Ad un certo punto però Washington si è spazientita ed ha preteso una risposta in tempi brevi. Il sottosegretario Letta lo ha ammesso chiaramente quando ieri si è fatto sfuggire la frase “siamo stati costretti a dire di sì alla base”.

Gli Usa hanno preteso una contropartita per il ritiro italiano dall’Iraq e l’hanno avuta. Ed oggi l’ambasciatore a Roma può affermare con soddisfazione che “le relazioni tra Italia e Stati Uniti, costruttive da oltre 60 anni, segnano un passo in avanti”.

Del resto dal dopoguerra gli Stati Uniti hanno una presenza più che consolidata in Italia. L’insieme delle loro basi occupano una superficie di quasi due milioni di metri quadri. Aviano, Sigonella, Camp Derby, Vicenza, sono nomi di località arcinote in cui vige una sorta di extraterritorialità per i militari americani. Per capire quanto gli Usa trattino l’Italia, ed il resto dei loro “alleati” da tirapiedi, basti ricordare la strage della funivia del Cermis o il caso Calipari, dove i soldati americani, responsabili di reati gravissimi, sono stati tutelati e protetti dall’amministrazione Usa, non importa se quest’ultima fosse di colore democratico o repubblicano.

Non solo gli Usa si comportano da padroni in Italia, ma lo fanno anche pagando poco o nulla. Per l’esattezza, nel 2003 - ultimo anno per il quale ci sono le cifre ufficiali – lo stato italiano ha stanziato 366,54 milioni di dollari per ospitare le truppe a stelle e strisce, cifra che rappresenta il 41% del costo totale di mantenimento delle basi americane in Italia. (Unità on line, 17 gennaio). La maggior parte dei finanziamenti è costituito da facilitazioni: dalla concessione a titolo gratuito di terreni ed edifici, riduzione delle spese telefoniche, esenzione dalla tassazione di beni e servizi destinati ai militari Usa, manutenzione delle basi (che formalmente sono "italiane"), oltre a sconti sulla benzina e su varie imposte ed accise.

L’Italia ha insomma con gli Usa un rapporto che definire subalterno è dire poco. Il caso di Vicenza non è altro che la punta dell’iceberg.
Tanti che avevano votato a sinistra avevano sperato in un deciso cambiamento nella politica di questo governo, e nella relazioni con gli Usa. In realtà, a parte il disimpegno dall’Iraq (già previsto persino da Berlusconi) la svolta semplicemente non esiste. Il ministro degli Esteri D’Alema critica, timidamente, la politica di Bush in Iraq, ma tale politica è diventata tanto impopolare, in Usa e all’estero e nello stesso entourage della Casa Bianca, che criticare Bush ormai è un po’ come sparare sulla Croce rossa.

Contemporaneamente, abbiamo assistito da parte dell’Unione ad un rilancio della missione in Afghanistan e ad un importante protagonismo in Libano, volto a preservare gli interessi della classe dominante italiana nell’area e non certo ad aiutare le masse libanesi, come indica chiaramente la situazione di grave crisi politica nel paese dei cedri (a riguardo, si veda un approfondimento su questo sito).

Fare come in Valsusa

Ancora una volta il governo dell’Unione delude pesantemente le aspettative del proprio elettorato. Non ci sorprendono le tessere bruciate dei Ds, da parte degli stessi militanti, nella notte di martedì scorso a Vicenza. Né l’insoddisfazione di tanti militanti del Prc.

Chi semina vento, raccoglie tempesta, dice il proverbio. In molti paragonano la lotta di Vicenza a quella contro la Tav Torino-Lione. La popolazione della Valsusa ha dimostrato una cosa, che la mobilitazione paga: il progetto dell’Alta velocità si è per il momento fermato.

La rabbia e la voglia di mobilitazione dei giovani e dei lavoratori di Vicenza, che ogni comunista ha il dovere di sostenere, deve svilupparsi ad un livello più alto.

Il segretario della Cgil locale è a fianco dei manifestanti. Così anche la Fiom nazionale. Non bastano però le parole, si deve convocare uno sciopero generale di tutta la provincia per fermare l’ampliamento della base.

I dirigenti del Prc dicono di essere a fianco del movimento. È un punto di partenza, ma non è sufficiente. Come ci si comporterà in parlamento, quando arriverà il voto sul rifinanziamento delle missioni militari all’estero? Non è nemmeno sostenibile uno scambio, come quello proposto dai Verdi, tra missione in Afghanistan e base di Vicenza. Washington ha bisogno della base. Se non la farà a Vicenza la costruirà da qualche altra parte. Il problema si riproporrebbe nuovamente.

Sconcertanti ci sembrano le dichiarazioni rinunciatarie del compagno Ferrero ad alcune agenzie di stampa: “Noi abbiamo sempre detto di essere contrari. Ora non si tratta di sollevare la questione nel Consiglio dei ministri… anche perché il governo non deve decidere nulla. In realtà, siamo fuori tempo” (la repubblica on line, 18 gennaio)

Una domanda ci giunge spontanea: che ci sta a fare un ministro del Prc al governo? Se non è il governo, chi è a decidere?

La lotta contro la base di Vicenza ripropone con forza il nodo della presenza degli Usa e della Nato in Italia. Il Prc deve riprendere lo slogan “Fuori la Nato dall'Italia, fuori l'Italia dalla Nato”, unica base di partenza per garantire un’effettiva indipendenza dagli Stati Uniti. Questo slogan è stato da tempo accantonato, sostituito da obiettivi più “realistici” da contrattare nelle stanze del Palazzo.

È invece solo con la lotta, continuando ed estendendo la mobilitazione e con l’entrata in campo del movimento operaio e dell’insieme della popolazione, che si potrà vincere.

la Redazione di FalceMartello

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