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Se anche il Presidente Napolitano nega l'Olocausto ...

(27 Gennaio 2007)

Dopo il duro attacco militare della scorsa estate di Israele al Libano, francamente ci si aspettava che le celebrazioni del "Giorno della memoria" potessero servire anche per far riflettere su alcune tragedie dei giorni nostri troppo spesso facilmente liquidate con espressioni tipo "effetto collaterale" o "reazione spropositata".
Così non è stato.
Ciò che però ha decisamente sorpreso, sono state le dure accuse di antisemitismo rivolte dalla prima Carica dello Stato nei confronti di chi non riconosce legittimità alle equivalenze ebrei=sionismo=Israele, dove appunto l'equivalenza si riduce ad un razzistico ed antistorico (il sionismo prende forma alla fine del XIX secolo) Stato ebraico=ebrei
Certamente, il mondo è pieno di esempi antistorici, ma non per questo un fondamentalismo può divenire intellettualmente accettabile o, addirittura, un modello da proporre. In tal senso, analizzando il discorso pronunziato dal Presidente Napolitano, si rimane colpiti per l'intensità dell'apologia razzista presente nelle poche parole dedicate alla questione Antisionismo.

L'antisemitismo, secondo il Presidente Napolitano, si traveste da antisionismo in quanto "l'antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello stato ebraico e della sua sicurezza, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele".
Per il Presidente Napolitano vi sono quindi due questioni distinte: i governi che si alternano e che si possono criticare; la natura fondante dello Stato d'Israele, cioè la costituzione di uno Stato ebraico, che non può in alcun modo essere messa in discussione.
In altre parole, l'idea "padana" alla Calderoni o alla Borghezio di uno "stato puro" che non deve essere contaminato con la presenza di elementi "diversi" viene ampiamente tollerata; anzi, esaltata, vista la dura accusa rivolta nei confronti degli antisionisti (per altro presenti anche all'interno delle comunità ebraiche).

Facendo i dovuti parallelismi storici, tanto più vista la ricorrenza della “Giornata della memoria”, vengono alla mente altre esperienze di Stati fondati su forme di appartenenza, come dire, “speciali”, legati o no che fossero ai governi o ai dittatori di turno .
E per l'appunto, quando parliamo della lotta al nazismo e al fascismo lo facciamo cercando di trasmettere valori ideali da contrapporre alle forme di Stato intrise di “razze pure”, di “leggi razziali” e di esclusioni per il diverso.

Sulla base di questi valori, ben presenti nella nostra Carta Costituzione, come può allora il Presidente Napolitano sospendere ogni forma di giudizio critico di fronte ad uno Stato dove la via naturale per acquisire la cittadinanza è il “diritto al ritorno” per i soli ebrei, mentre ai profughi palestinesi nati su quelle terre viene negato il “diritto al ritorno” ampiamente riconosciuto anche dalle risoluzioni dell'ONU?
Tutto questo è sempre avvenuto per motivi contingenti, per l'ottusità di tutti i governi israeliani che si sono sino ad oggi succeduti, o perché il seme dell'appartenenza razzista è a fondamento dello Stato d'Israele?
Quando il segretario dei DS Fassino ritiene che “occorre ricercare una soluzione sul diritto al ritorno che non sia incompatibile col mantenere a Israele il carattere di uno Stato ebraico, ed è quindi evidente che non potrà esserci il ritorno in massa di milioni di rifugiati palestinesi perché questo stravolgerebbe la composizione demografica dello Stato d'Israele e gli ebrei non lo accetteranno mai" (Piero Fassino, Unità on line 24/05/2005), dobbiamo guardare ai guasti del sionismo o alle decisioni del governo del momento?

Ancora una volta abbiamo assistito alla politica dei due pesi e due misure, per cui si ricorda la tragedia della Shoah non per interrogarsi sui modi per evitare che altri debbano subire quanto patito dagli ebrei, bensì per utilizzare la storia al fine di mettere a tacere chi oggi individua i germi dell'intolleranza anche nelle file di chi è passato dal ruolo di vittima a quello di occupante e di oppressore.
Un'operazione di sciacallaggio politico che non ha nulla a che vedere con le ragioni della Realpolitik, ma il chiaro intento di criminalizzare il diritto di critica.
Certamente, non trovandosi nella scomoda posizione del popolo palestinese (cacciato dalle proprie terre, sotto stato di occupazione permanente e con l'unica aspirazione di morire da martire piuttosto che per mano israeliana) può essere più facile comprendere le ragioni politiche di una pace senza reali basi di giustizia. Ma da qui al negare l'Olocausto dei nostri giorni, perché di questo si tratta in riferimento alla condizione dei palestinesi, il passo è impossibile.

Per questo motivo, l'accusa di antisemitismo lanciata dal Presidente Napolitano va decisamente rispedita al mittente, per ribadire che non si può essere antirazzisti a fasi alterne. E per usare il suo stesso linguaggio: si faccia piuttosto attenzione al razzismo che si traveste da sionismo.

25 gennaio 2007

Franco Ragusa
www.riforme.net

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