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800 basi americane nel mondo, 800 città contro la guerra

(25 Gennaio 2007)

La disgregazione del movimento operaio, che la borghesia persegue, sia sul piano economico, con la precarizzazione e l’integrazione dei sindacati nello stato, sia sul piano politico, facendo entrare i parlamentari eletti dai lavoratori nei governi borghesi, può essere interrotta da forti riprese di lotta, che mettono in difficoltà gli equilibri che i governi hanno faticosamente raggiunto.

Non si tratta di movimenti proletari allo stato puro - in politica, come in natura, la purezza non si trova pressoché mai - e chi spera in un movimento assolutamente monoclassista, da manuale, può tranquillamente invecchiare nell’attesa.

Il movimento contro la base di Vicenza può essere un momento importante nella ricomposizione della forze di classe, ma soltanto se se ne comprende l’importanza e non si lascia sfuggire un’occasione preziosa.

Ciò che definisce un movimento come classista non è il fatto che ad esso partecipano solo o prevalentemente operai, ma lo scopo reale che persegue. La classe, infatti, non è un’entità statistica, non è una sommatoria di categorie, ma una rete di interessi che si esprime attraverso un movimento.

Contro la protesta di Vicenza abbiamo visto schierarsi compatta tutta la borghesia, dal governo all’opposizione, ai grandi fornitori, col codazzo di settori di piccola borghesia commerciale. In una sede internazionale, Fini, smentendo facili e demagogiche forme di propaganda berlusconiane, ha ribadito l’assoluta continuità della politica estera di questo governo con quelli precedenti.

Sulla base di Vicenza, infatti, come sull’Afghanistan, la politica del governo Prodi è la copia notarile di quella della Casa delle Libertà.

Dalla parte della lotta di base, ci sono tutti quei settori che non hanno niente da guadagnare, che non ricavano lucro da un mercato iperprotetto e sovvenzionato come quello delle commesse militari, coloro che non possono aspettarsi altro che nuove tasse, nuovi vincoli, nuove servitù, inquinamento, chimico o nucleare. Chi in questa società ci perde sempre, ne sia consapevole o meno, appartiene al proletariato o alle masse sfruttate.

Un interessante articolo di Antonella Randazzo, “Basi militari americane: una storia di crimini e soprusi”, riferisce che le basi americane nel mondo sono circa 800, e, poiché queste escrescenze militari parassitarie creano sempre gravi inconvenienti, dall’inquinamento alla crescita della prostituzione, degli stupri, delle violenze, ecc., in ogni località si diffonde il malcontento, anche se non raggiunge dovunque il livello che può dare vita a un movimento.

Queste 800 basi costituiscono la più grande ragnatela, al servizio di un imperialismo, che il mondo abbia mai visto, sono la base della dittatura mondiale, sempre più manifesta perché sempre più contrastata, non tanto da imperialismi rivali, quanto dai popoli in fermento. Dalle città o dalle zone dove si collocano le più importanti di queste basi possono partire le lotte che indeboliranno l’imperialismo stesso, perché lo colpiranno in un punto vitale.

Il limite di questi movimenti è che ciascuno tende ad organizzarsi solo o prevalentemente a livello locale, e le pur importanti manifestazioni di solidarietà tra le città delle basi raramente raggiungono il livello organizzativo.

Vicenza ha dato prova di compattezza e determinazione, ma l’avversario ha il vantaggio di una direzione centralizzata e internazionale. Per questo è necessario cercare un collegamento crescente con chi lotta contro le altre basi, superando i confini locali e nazionali. I militanti di Vicenza potrebbero farsi promotori di un primo incontro, nella loro città, di delegazioni delle zone più interessate alla rimozione delle basi, per scambiare utili esperienze, prospettare soluzioni comuni, sperimentare tattiche condivise. Potrebbe essere il primo passo verso un coordinamento permanente.

L’internazionalismo, infatti, non si può rinchiudere in piccoli cenacoli di avanguardie: “Tale è la proprietà delle cose: a quelle naturali è appena sufficiente l’universo intero, quelle artificiali richiedono uno spazio chiuso” (1).

Il movimento contro la guerra è un grande veicolo per l’internazionalismo, anche perché confligge con tutti gli interessi corporativi, puramente locali, o puramente nazionali. Le Internazionali sono nate sull’onda di grandi movimenti di scontro sindacale o di lotta contro la guerra. L’internazionalismo nasce dai problemi reali, comuni a diversi Paesi, è “il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti”. E’ naturale che, nell’età imperialistica il pericolo della guerra, della sua preparazione, e comunque del tallone di ferro che quotidianamente ci opprime, in una società sempre più militarizzata, dove ciascuno è controllato e spiato, porti strati crescenti di popolazione a ribellarsi contro la militarizzazione delle loro terre, e che questo sia un terreno privilegiato per lo sviluppo della lotta di classe.

Le guerre dell’imperialismo, non sono solo rivolte contro i popoli vittime dirette dell’azione militare, ma anche contro i lavoratori della madrepatria, in quanto sono pretesti per sopprimere le loro libertà più elementari, come si vede quotidianamente nel processo di fascistizzazione dell’America di Bush.

Lottando contro le basi si rifiuta, dunque, di trasformare il proprio paese in una retrovia per le spedizioni coloniali. Chi potrebbe, di fronte a brutali occupazioni, come in Iraq e Afghanistan, usare l’espressione, un tempo di moda, di “neocolonialismo”? E’ necessario pure rendersi conto che non è possibile conseguire alcun risultato, neppure sul piano economico rivendicativo, se non si colpisce la spesa militare, perché l’alternativa “burro o cannoni” si presenta in altre forme altrettanto pressanti.

Molto spesso, la polemica contro la guerra si è diretta prevalentemente contro Bush, il “fantino impazzito” che porta il cavallo alla catastrofe, il fanatico che sogna la guerra di Armageddon. Ma il problema è assai più profondo: l’imperialismo è come l’apprendista stregone che ha perso il controllo degli elementi che ha scatenato. Finché l’economia si basava prevalentemente su industria e agricoltura, era possibile orientarsi, oggi che miliardi di dollari si spostano in tempo reale su ali informatiche da un continente all’altro, determinando l’ascesa o il crollo di interi paesi, per cui stati come l’Argentina, così ricchi che la loro agricoltura potrebbe nutrire l’intera popolazione d’Europa, sono di colpo gettati nella miseria più nera, allora ogni avventurismo diventa possibile, l’investimento più sicuro diventa quello bellico, e troverà sempre un mercato, uno sbocco segnato dal sangue.

Il rifiuto delle basi è anche l’opposizione a questa logica criminale, il rifiuto di trasformarsi in guerrieri robotizzati, in pretoriani supertecnologici, strumenti di oppressione.

Per questo Vicenza rappresenta una speranza, che la lotta non si chiuda in se stessa, ma porti il suo messaggio anche altrove, si riconosca nelle battaglie che i suoi compagni di classe stanno combattendo contro le altre basi, rifiutando ogni localismo sterile e perdente.

23 gennaio 2007

Note
1) Goethe, Faust, Parte seconda, atto secondo, laboratorio.

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