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Resolution: Revolution!

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Una chiara prospettiva politica

(29 Gennaio 2007)

Siamo in molti (e da tempo) ad essere d'accordo: serve alla sinistra italiana una nuova, e chiara, prospettiva politica.
Una prospettiva politica che si colloca fuori dal quadro attuale, anche rispetto al rapporto – eventuale – tra governo e ritorno all'opposizione di una parte di quella che è stata definita “sinistra radicale”.

Sorprende che intellettuali esperti e preparati come Cremaschi e Revelli si misurino ancora (vedi il Manifesto del 26 Gennaio) con questo tipo di problema: ponendo il voto sulla missione in Afghanistan come possibile metro di misura (quasi una “ultima spiaggia”, a leggere attentamente).
Le cose non stanno più così ( o, forse, non sono mai state così): siamo, ormai, alla vigilia di una fase di riallineamento del sistema politico italiano, che segnerà – in maniera definitiva – uno spartiacque, con Partito Democratico e Sinistra Europea del tutto interni a quella logica “bipolare” dell'autonomia del politico, cui del resto già Rifondazione Comunista si era allineata fin dal 1996 (esprimendo formulazioni ambigue, come quella delle “due sinistre”).
Il punto non è ciò che può venire da quel versante, ma ciò che ne è già fuori: sul piano politico, dei movimenti, del sindacato di base, delle situazioni più diverse di opposizione e contestazione.

Ha torto Eugenio Scalfari: anche se dovesse cadere il governo Prodi, la sinistra non sparirà dalla scena politica italiana; però occorre costruire questa sinistra, capace di non sparire e di non ridursi a mera marginalità.
La prospettiva politica è, dunque, chiara ed è necessario cominciare ad approfondire : prima di tutto serve un soggetto politico.

Chi scrive ha rivolto, ormai da molto tempo, una critica serrata ai partiti, alla loro conformazione attuale, ma, nello stesso tempo, ha sempre proclamato l'indispensabilità dei partiti, quali strumento dell'organizzazione politica: nulla è stato inventato, ancora, di diverso e di più efficace.
Quindi, si può dire che il soggetto politico che serve può essere un partito.
Un partito , però, non escatologico: con la rivoluzione come prospettiva cui legare il proprio percorso politico, senza definire tappe intermedie e fasi di transizione.
Su questo terreno va recuperata la parte migliore della tradizione del movimento operaio, senza soffermarsi più di tanto su concetti tipo quelli della “rivoluzione tradita”, ma usando gli strumenti dell'analisi, della dialettica, della sintesi propositiva.
Nessuno, in questo momento, tra quelle varie forze di sinistra politica, sindacale, sociale potenzialmente disponibili alla costruzione di questa soggettività politica di cui si sta discutendo, dispone di quei dati di identità compiuta sufficienti a proporre una egemonia: i dati di identità debbono essere costruiti collettivamente, in uno sforzo – non certamente ecumenico – ma finalizzato e definire una visione per il futuro, basata sull'esperienza che ci viene dai dati di fatto.

Da dove ripartire, allora?
Propongo due punti di riflessione:
Il primo sulla metodologia dell'esercizio della politica. I temi sono ben presenti a tutti: per riassumere, si tratta di proporre un esercizio della politica come rappresentanza e proposta, e non come pura competizione per il potere. Competizione del potere che, nella segmentazione economica e sociale di oggi, finisce con il consegnare il tutto alle lobbies (a tutti i livelli: ci siamo accorti che il gioco principale della globalizzazione è in mano alle lobbies sovranazionali. Soprattutto che è in mano alle lobbies sovranazionali l'intreccio più importante nelle relazioni internazionali, che certo non sono determinate dai Governi?);
Il secondo sulla questione dello Stato. Abbiamo dibattuto a lungo, in tempi apparentemente lontani, sull'esistenza di una “teoria marxista” dello Stato. Non si tratta, però, di ripartire da quel punto, bensì molto più dal basso: dall'affermazione dell'ideologia dello “stato minimo” e dalla fine (ovviamente, in quelli che avevamo definito “punti alti” dello sviluppo) dell'intervento pubblico in economia, che ha provocato una colossale privatizzazione degli ex-diritti e un calo vertiginoso della remunerazione del lavoro rispetto al capitale. Insomma: uno squilibrio fortissimo nei rapporti di forza reali, tra le classi. Perché la differenza sta proprio qui: non basta un processo di redistribuzione, senza la determinazione dei rapporti di forza. E la determinazione dei rapporti di forza può avvenire soltanto sul campo della battaglia politica.
Ecco, molto modestamente, questa mi sembra una prospettiva chiara, verso la quale lavorare con impegno.

Savona, li 27 Gennaio 2007

Franco Astengo

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