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Centri per l’impiego: servizi all’impresa o servizi per l’impresa?

(29 Gennaio 2007)

La Finanziaria 2007, dal comma 1180 al comma 1185, prevede nuove procedure inerenti le assunzioni da comunicare ai Centri per l’impiego ( almeno il giorno prima ) e procrastina una serie di ulteriori adempimenti amministrativi, che graveranno sugli operatori ( presumibilmente sempre con lo stesso organico ). Conseguentemente le funzioni qualitativamente più importanti saranno demandate ad eventuali “partecipate” o esternalizzate delle Province, mentre compiti residuali, saranno di competenza del sistema pubblico.

La presente analisi, non può, né vuole essere una riflessione esaustiva di un tema, che meriterebbe un più approfondito e metodologico esame. Tuttavia, riteniamo possa essere ritenuta uno strumento di stimolo per coloro i quali, al di fuori di piaggerie istituzionali, vogliano offrire un imparziale contributo all’indagine sui Centri per l’impiego della Provincia di Roma e dei suoi Servizi, anche in relazione alla loro possibilità di svolgere un ruolo, che non li veda solo ricettacolo di domanda di lavoro dequalificata e precaria.
La “grande riforma del Collocamento” ha delegato a Regioni e Province l’organizzazione del mercato e delle politiche del lavoro e di sostegno all’occupazione. Si è passati cosi da un totale accentramento ad un massimo decentramento, dove le Regioni legiferano in materia ed alle Province viene delegata la gestione e l’erogazione dei servizi tramite l’incontro domanda offerta di lavoro, l’orientamento professionale, la promozione dell’occupazione ed il sostegno ai soggetti deboli, presupponendo, che la conoscenza del territorio e della sua realtà socio-economica, implichi un miglioramento del mercato del lavoro. Come vedremo, il beneficio derivato non è stato adeguato alle aspettative, vuoi per motivi oggettivi ( politiche macroeconomiche ), vuoi per alcune inadeguate professionalità, vuoi per incapacità ad affrontare il nuovo contesto ( non a caso la Provincia di Roma, si è dovuta dotare di un “ente strumentale”, la Capitale Lavoro s.p.a., che avrebbe dovuto sopperire alle carenze suddette, ma che, tra l’altro, non si esime dall’essere bacino di clientelismo e precariato ).

I “ nuovi” Centri per l’impiego, autocelebrandosi per le “rinnovate” incombenze, hanno però perso di vista la loro reale funzione, che li vorrebbe apportatori di un miglioramento nella capacità d’inserimento lavorativo, di rafforzamento delle pari opportunità, di sviluppo nella possibilità di creazione di nuovi posti di lavoro, interagendo anche con la formazione professionale. Tramite di essi, e nel nostro caso in quelli afferenti la Provincia di Roma, le imprese hanno trovato un ulteriore tramite per instaurare rapporti di lavoro a loro più congeniali ( dove precariato e flessibilità, si coniugano alla compressione dei diritti dei lavoratori ), e con la certezza di non incappare in un pur minimo controllo. In base a tale assunto, riteniamo, che i Centri per l’impiego, strutture pubbliche al servizio del cittadino, in particolare del meno garantito, nella loro funzione di mediatori nella domanda/offerta di lavoro e in quanto recettori delle comunicazioni di assunzione, hanno il diritto/dovere di garantire la legittimità contrattuale dei rapporti di lavoro, che dovranno instaurarsi.

Spesso, abbiamo appurato, che sussiste una cattiva interpretazione della locuzione “servizi all’impresa”, che solitamente viene intesa come atto di prostrazione, clientelismo, agevolazione. Qualcuno, frequentemente dimentica, che le imprese, e ciò anche prima della cosiddetta legge Biagi, godono di benefici contributivi, economici, normativi e fiscali.

Nel 2005 evidenziammo le lacune presenti nei Centri per l’impiego e la scarsa qualità di alcuni suoi Servizi, probabilmente non siamo stati capaci di farci comprendere e ad oggi la situazione non è migliorata.” Distrazioni” politiche e sindacali, non hanno consentito di affrontare problematiche, che probabilmente non si ritenevano paganti al proprio interesse, tanto, che il disoccupato e il dequalificato operatore dei Servizi, sentono più che mai l’inadeguatezza dei loro status.

Esistono delle responsabilità, soprattutto quando, con demagogia ed autoreferenzialità, si spaccia l’attuale contesto come “politica attiva del lavoro”, dimenticando di affermare il sostanziale fallimento della “riforma”stessa, che tra l’altro, avrebbe dovuto consentire al fruitore dei Servizi un approccio più dinamico, comprendente anche la possibilità di essere chiamato ed accompagnato nella ricerca di lavoro o di offerta di formazione professionale.

A tutt’oggi invece, dobbiamo constatare, che nonostante i convegni ( ma chi li paga? ), le tavole rotonde ( troppe ), le dichiarazioni d’intenti ( esorbitanti ), la presenza di stand propagandistici presso le più svariate manifestazioni (sfoggi),trasmissioni televisive, dove ragazzi giulivi, intervistati, ci informano come è bello lavorare presso quell’ipermercato o quel grande outlet e dove assessori e dirigenti magnificano gli eccezionali progressi effettuati, il disoccupato, lasciato solo, deve spesso trattare con l’imprenditore le nuove tipologie contrattuali e le condizioni salariali.

Non ci stancheremo mai di ripeterlo, non occorrono fogliuzzi informativi indirizzati alle imprese, per ribadire quanto i Centri possano agevolarle nella conoscenza delle tipologie contrattuali e quanto i dipendenti siano disponibili al loro servizio, esse ben conoscono il loro “mestiere”e di come usufruire dell’attuale normativa sul mercato del lavoro, a complemento delle agevolazioni e degli incentivi sovvenzionati con denaro pubblico: un esercito di professionisti è a loro disposizione e non necessita, che a questo si aggiungano le decine di operatori del servizio pubblico, molte volte relegati a ruoli di supporto di alcuni giovani collaboratori rampanti dell’Ente “strumentale” della Provincia. Non è nostra prassi demonizzare l’imprenditore, che opera in base alle proprie esigenze, ma occorre affermare, che queste, non essendo le medesime degli a-garantiti, non debbono avere esclusivo diritto di cittadinanza. Ci sembra quindi chimerico manifestare la volontà di rendere più “virtuose” le imprese, nell’adempiere ad assunzioni meno precarie e più garantiste: le imprese non sono né buone né cattive, fanno solo quello di cui sono capaci, il profitto; se poi ciò avviene con la flessibilità salariale, con falsi rapporti di lavoro, con il precariato, con un diritto del lavoro ormai stravolto, poco male, fa parte del gioco. Rimane una certezza, la precarietà permanente.

I governi, nel corso degli ultimi anni, non hanno fatto che ribadire la necessità di ovviare ad un mercato del lavoro troppo rigido, renderlo più flessibile avrebbe favorito l’occupazione, e le imprese avrebbero stabilizzato ( sic! ) i lavoratori una volta rilanciata l’economia: i risultati non sono tardati a farsi vedere, un rodaggio perpetuo tra le fila del precariato.

In realtà le politiche locali sul lavoro non hanno dato gli attesi risultati.

Oggi, i Centri per l’impiego, non sono in grado di sviluppare occasioni di lavoro e formazione professionale, piuttosto sono un supplementare luogo dove le imprese possono trovare, senza impedimenti, tutte quelle forme di precariato al momento disponibili.

Affermare che occorre un controllo realmente pubblico del Collocamento, significa soprattutto fare in modo che anche ai disoccupati e alle loro organizzazioni, sia offerta l’opportunità di intervenire nella sua gestione, onde evitare lotte tra poveri, clientelismi e sperequazioni. Occorre impegnare diverse “realtà” ad attivare confronti innovativi e propositivi, aldilà degli stereotipi guazzabugli propinati da illuminati esperti, che mal si conciliano con le reali esigenze di chi fatica a riconoscersi come cittadino garantito.

Probabilmente, chi solidarizza con i precari dei call center, manifestando indignazione e proponendo “tavoli” risolutori, non sa, che forse, molti dei suddetti sono passati attraverso la preselezione effettuata nei Centri per l’impiego e molte assunzioni sono state da loro avallate. In questo noi ci vediamo una grossa contraddizione: la pretesa, da una parte, di addivenire a soluzioni dignitose per i lavoratori, promuovendo iniziative e offrendosi come mediatori, dall’altra cozza con l’incapacità di gestire in maniera “alternativa” l’Istituzione che si governa, delineando invece, soluzioni deducibili da verbosi convegni, da reiterati “studi specialistici”, da Direttive europee, che nel ribadire la necessità di aumentare l’occupazione, nel contempo offrono soluzioni liberiste non propriamente favorevoli ai lavoratori. In realtà c’è una sorta d’ipocrita atteggiamento, che non si disvela ed a farne le spese sono proprio coloro i quali nei collocamenti lavorano: privi di ogni sostegno formativo mirato, gli operatori dei Servizi per l’impiego devono confrontarsi quotidianamente con una realtà, che da un lato li vorrebbe come partecipi di una innovazione ancora a venire, dall’altro subiscono una sorta di eutanasia, neanche tanto indolore.

Gestire il mercato del lavoro nell’attuale contesto merita ben altre risorse e una legislazione che privilegi il settore pubblico, contrariamente a quello che oggi offre il contesto storico.La legge 30 ha dato un ulteriore contributo alla precarizzazione dei rapporti di lavoro e alla privatizzazione del mercato del lavoro; le agenzie di “somministrazione lavoro” sorgono ormai come funghi e le loro proprietà sono riconducibili ad associazioni industriali, bancarie, cattoliche e, non ultime, sindacali; in tale ambito i Centri per l’impiego hanno assunto il ruolo di Cenerentola, che nessun “progetto” attivato da chicchessia potrà sottrargli. Certo, non scompariranno gli Uffici, un nuovo ruolo lo si può sempre architettare ( ed i prodromi ci sono tutti ); del resto, la PA ha sempre avuto le facoltà di un’amèba ed anche in questo caso riuscirà a cambiar forma. Dubitiamo sulla sostanza. Ma è in tale contesto, che individuiamo l’ipocrisia: da un lato abbiamo una normativa eccessivamente liberista, che investe anche le cosiddette politiche attive del lavoro, che privilegia il privato e che sottrae fondi agli Enti locali ed usa quelli del F.S.E. per spesso inutili e reiterate iniziative, attivate anche grazie al supporto di lavoro precario; dall’altro assistiamo al balletto di dichiarazioni d’intenti a favore del servizio pubblico, che non deve perire ( forse qualcuno teme per se stesso? ) e deve appropriarsi di nuovi strumenti finalizzati alla creazione di lavoro nell’ambito territoriale di competenza. Ed ecco riproporre ulteriori dibattiti e convegni, nuovi “progetti”, operazioni di “marketing” ( ma per proporre quali servizi? ), che costano, ma certo non realizzeranno la funzione richiesta se non viene ripensata una diversa elaborazione delle azioni da intraprendere, le quali, però, non trascurino la connessione che le scelte macro-economiche hanno sull’espansione territoriale e comprendano la necessità di “ un grande impegno nazionale per lo sviluppo locale come componente cruciale, ma non esclusiva, di uno sforzo per l’innovazione e la qualità sociale”.

Ma non basta. Come non poter constatare, la scarsa considerazione che le stesse Amministrazioni hanno dei servizi di collocamento, se evitano scientemente di rivolgersi agli uffici preselezione per assumere personale anche nei loro cosiddetti Enti strumentali o partecipati, forse non è ammettere l’inefficienza delle strutture che si governano o forse conviene più rivolgersi agli “amici degli amici” ( leggasi: agenzie di somministrazione lavoro )? Non si lascia così intendere, aldilà di eventuali clientelismi, che le strutture pubbliche siano inadatte al compito preposto: l’incontro domanda/offerta di lavoro? Troviamo tutto ciò vergognoso: da un lato non si riesce ( non si vuole ) investire sulla formazione di personale competente; dall’altro, allo stesso, vengono lasciate le briciole di ciò che rimane di un ex servizio pubblico……residuale.

…”E’ urgente, una massima semplificazione delle procedure di collocamento attraverso la competizione tra strutture pubbliche e private. Alla funzione pubblica vanno affidare residue attività (anagrafe, scheda professionale, controllo dello stato di disoccupazione involontaria e della sua durata, azioni di sistema) mentre vanno affidate al libero mercato le attività di servizio…..

Questa frase è estrapolata dal “ Libro Bianco”, presentato dal Governo Berlusconi nell’Ottobre 2001, che diviene la piattaforma per un nuovo modello sociale, dove il lavoro, viene subordinato all’impresa ed al mercato. Le ambiguità e le incertezze della legge Treu vengono appianate, attraverso la legge 368/01 ( tempo determinato ) e con la legge 30/03 dove, di fatto, la normalità del lavoro a tempo indeterminato, viene abolita.

Il decreto l.vo 276/03, regolamenta la suddetta, offrendo un’interpretazione del lavoro, non solo come precarietà, ma riproponendolo concettualmente come merce. Scopo del “Libro bianco”, quindi, è stato quello di indirizzare una politica che “riformasse” il mercato del lavoro contro l’”eccessiva” tutela dei lavoratori; ciò è avvenuto attraverso la proliferazione dei contratti, la riduzione dei diritti e la liberalizzazione dei servizi del lavoro; ne doveva derivare il conseguimento del giusto equilibrio fra i garantiti e non: la legge 30 è invece servita a ridurre le tutele sul lavoro, contro l’ incremento delle tutele del mercato del lavoro.

Una filosofia liberista, che fa dell’impresa il modello su cui investire tutte le risorse, assistendola, agevolandola, soccorrendola, in pratica offrendole, ove necessario, tutti quei servizi, che si presume possano aiutarla a creare lavoro.

L’orientamento dei Centri per l’impiego non è stato esente da tale dottrina, tanto da poter affermare, che essa è divenuta uno dei punti rilevanti della loro organizzazione, ma gli effetti, in termini di credibilità da parte dell’altra utenza, dubitiamo possano dirsi soddisfacenti.

Abbiamo parlato di servizi per l’impresa a ragione, non per sterile polemica, ma in quanto alcune “anomalie”sono state da noi riscontrate al momento che andava a concretizzarsi l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro e il procedimento amministrativo della comunicazione di assunzione, cui l’azienda è tenuta ad adempiere.

Nel primo caso sono le stesse strutture pubbliche a “filtrare” le domande di lavoro pervenute dalle aziende, per proporle successivamente all’utenza dei disoccupati. Il risultato è sconfortante: contratti a progetto ( nel 2006 sono stati circa 1800: alcuni non avrebbero dovuto essere implementati ), richieste di lavoratori autonomi e socio-lavoratori ( circa 900 ), per non parlare di quelle domande, indefinite contrattualmente, dove al disoccupato viene demandato il compito di negoziare la tipologia contrattuale ( circa 700 ).

Nel secondo caso, quando l’azienda comunica all’ufficio competente l’avvenuta assunzione di un lavoratore ( per legge entro 5 gg fino a tutto il 2006, oggi almeno il giorno prima ), possiamo assistere a quello, che risulta essere il disfacimento del servizio pubblico, non più garante delle istanze e necessità del cittadino, ma complice di operazioni non sempre cristalline.

Avevamo lanciato l’allarme ( inascoltato ): troppi contratti a “progetto” ( compresi in Atesia ) passano attraverso gli uffici preselezione ( e non solo ) dei Centri per l’impiego della Provincia di Roma. L’intervento dell’Ispettorato del lavoro, voluto non da chi avrebbe avuto l’obbligo di richiederlo, ma dai medesimi precari, ci costringe, purtroppo, ad affermare: « l’avevamo detto ». Gli Assessori al lavoro del Comune e alla Provincia di Roma ed alla Regione Lazio, giustamente, hanno esultato: quella dell’Ispettorato « è una decisione importante », « si tratta di un importante primo passo verso migliaia di precari…» , « restituisce dignità e diritti a dei lavoratori da sempre ingiustamente discriminati ».

Uno scaturire di indignazioni verso l’operato del “cattivo” ( questa volta ) imprenditore ed encomi per una normale operazione di controllo da parte di un Istituto preposto a tale compito.

Siamo sinceramente convinti di certe prese di posizione, ma non basta, c’è ancora molto, troppo da fare: non di solo Atesia si sopravvive.

L’Assessorato al lavoro della Provincia di Roma, nei suoi impegni programmatici, ha evidenziato la necessità di contrastare il lavoro precario, posizione ribadita nel Piano di esecuzione gestionale 2006 ( PEG ), attraverso l’offerta « qualitativa dei Servizi ». Tali intenti, purtroppo, sono disattesi allorquando viene a mancare una efficace lotta al precariato, nonostante gli strumenti posseduti ad attivarla.

Risulta superfluo, da parte nostra, ribadire la contrarietà alle cosiddette collaborazioni a progetto, in particolare quando trovavano la loro implementazione per scopi elusivi; ci preme piuttosto evidenziare, come le comunicazioni di tali assunzioni, vengano validate ed inserite in Banca Dati, pur mostrando requisiti, che dovrebbero suscitare più di qualche dubbio.

E’ indiscutibile, che i Centri per l’impiego sono obbligati, qualora se ne ravvisassero gli estremi, ad attivare tutte le procedure atte ad avviare controlli da parte degli organi competenti, nei confronti delle aziende ritenute normativamente inadempienti. Naturalmente, ciò implica competenza legislativa, preparazione adeguata, risorse strumentali ed umane non lesinate e volontà politico/istituzionale a perseguire un corretto metodo di contrasto al lavoro precario.

La nostra è l’ennesima denuncia, forse la più rilevante, perché investe tematiche, che vanno ad individuare superficialità e trascuratezza e, nel contempo, scoperchiare contesti fino ad oggi troppo spesso sottaciuti, in quanto comprendenti peculiari “attori”, a svantaggio di tanti altri “figuranti”, che non trovano risposte alle loro richieste. Noi, siamo con questi ultimi, riaffermando il nostro impegno a porre in essere tutte i possibili percorsi per garantire loro, ciò che gli viene negato. Vogliamo chiarire le inadempienze, le superficialità, le negligenze, che hanno favorito il perpetuarsi di impunità a beneficio di settori ritenuti inviolabili ( da chi? per quale utile? ), a svantaggio di coloro i quali, non hanno altre risorse, che i loro bisogni.

Assistere al mercimonio delle braccia nel bazar del mercato del lavoro è la quotidianità, che l’attuale società, supportata dalla vigente normativa, offre particolarmente a categorie non garantite: giovani, disabili, immigrati, donne, espulsi dai processi produttivi. A questi è facile rivolgersi, proponendo loro tutto ciò che di precario e non garantito fornisce il mercato del lavoro, in primis, i cosiddetti contratti a progetto.

Tale tipologia contrattuale, ormai, viene utilizzata ( e abusata ) da un grande numero di aziende, ma sono le cooperative, quelle che la prediligono. Moltissime, di fatto, sono società private, che utilizzando la forma cooperativa, si avvantaggiano nel beneficiare di sgravi fiscali e contributivi, per non parlare dei bassi salari erogati: i contratti a progetto, garantiscono ulteriori opportunità.

Nell’ambito del settore cooperativistico, non esiste solo la somministrazione di personale alla sanità, ma anche nell’ambito della ristorazione, della vigilanza, dei trasporti e facchinaggio.

Abbiamo parlato appositamente di somministrazione, perché riguardo alcune cooperative occorrerebbe verificare il loro grado di autonomia e il possesso di attrezzature idonee a svolgere le loro attività.

Di assunzioni illeggittime, presso i Centri per l’impiego della Provincia di Roma ne pervengono a centinaia.

A questo punto, tale argomentazione, impone una serie di riflessioni, che ci autorizzano a chiedere se siano state attivate quelle procedure, previste dalla normativa, considerato, che l’ipotesi di truffa è sempre in agguato:

 vorremmo sapere, se reiterate collaborazioni “a progetto”, stipulate con la medesima cooperativa, vengano attentamente valutate e quindi informati gli organi competenti per accertare la costituzione di « nuovi progetti in cui ci sia impiegato lo stesso lavoratore » e se « ciascun contratto di lavoro a progetto presenta i requisiti di legge »;
 domandiamo se, ad esempio, per manovali, facchini o pulitori ( qualifiche a basso contenuto professionale ), assunti “a progetto”, venga richiesto ulteriore controllo per il possesso dei « requisiti qualificanti della fattispecie » rappresentati « dall’autonomia e dall’irrilevanza del tempo impiegato per l’esecuzione delle prestazioni »;
 le attività “a progetto” possono essere connesse « all’attività principale ed accessoria dell’impresa », tuttavia « non possono totalmente coincidere con la stessa o ad essa sovrapporsi »: vista tale premessa, si è mai sollecitato riscontro per quelle cooperative e aziende, che assumono pulitori, autisti , manovali o facchini, avendo come « attività prevalente » pulizie, trasporti, edilizia o facchinaggio?

A tali quesiti, i dirigenti ( oggi detti “top manager” ) individuati per ottemperare alle direttive dell’Assessorato, siamo convinti, sapranno fornire adeguate risposte, anche per rispetto al loro ruolo pubblico di garanti istituzionali e di un’utenza non sempre tutelata.

Vorremmo, però, indagare il nocciolo della questione, contrariamente a trasmissioni televisive edulcorate, dove vengono evidenziate estreme situazioni d’eccellenza e dove viene reiterato il « ruolo dei “nuovi” centri per l’impiego » ( millantare, spesso, tende a snaturare la realtà ), mentre noi, banalmente, affermiamo, che il capitale vive il lavoro subordinato come profitto ( sfruttamento ) e quando la subordinazione viene negata nella sua sussistenza, si ottiene la massimizzazione del profitto ( dello sfruttamento ).

Chi viene delegato a gestire i Servizi per l’impiego, riteniamo, debba possedere qualità umane particolari, che devono interagire con capacità professionali, sensibilità e volontà ad impegnarsi a difesa dei meno tutelati ( al di là dei benefit individuali, che spesso alterano i migliori intenti).

Da quale parte ci collochiamo, non necessita ribadirlo, ma le nostre ragioni ( che sono quelle di coloro quali non trovano difesa presso le istituzioni ), le faremo valere nei momenti più opportuni, non essendo la prima volta, che poniamo l’attenzione su alcune carenze dei Centri per l’impiego, purtroppo, con scarso riguardo.

Non possiamo dimenticare gli ultimi degli ultimi: gli immigrati.

Con la 189/02 ( Bossi-Fini ) e successive integrazioni e modificazioni, paradossalmente, scaturisce il rifiuto dell’immigrazione, contemplata solo come risorsa per l’attività lavorativa, riaffermando la continuità fra le varie normative, garanti delle logiche di mercato e delle esigenze imprenditoriali. La Bossi/Fini, inoltre, legando il soggiorno al contratto di lavoro, riduce lo straniero a degradazione e servilismo, senza possibilità d’”integrazione”ed è chiaramente influenzata dai criteri di flessibilità e indebolimento dei diritti dei lavoratori, dovuti alla liberalizzazione del mercato del lavoro, che trova la sua massima espressione, ma non unica, nella legge 30.

In breve: la vigente normativa, oltre a vedere l’immigrato come oggetto di repressione, lo considera merce di scambio nel mercato del lavoro e per la sua condizione di “esercito manuale di riserva”, nella ricerca di una nuova occupazione, lo straniero, rispetto l’italiano, può solo offrire “braccia” competitive.

Spesso sentiamo affermare, che non è agevole individuare e contrastare situazioni di sfruttamento, evasione contrattuale e contributiva, perché atomizzati e difficilmente verificabili. Falso: manca la volontà politica e l’implementazione di adeguati mezzi ad osteggiare l’illegalità diffusa nelle imprese.

Abbiamo detto, che fra gli obblighi delle aziende, c’è quello di comunicare l’assunzione ai Centri per l’impiego diffusi sul territorio provinciale: nelle comunicazioni vengono inserite le qualifiche, il livello d’inquadramento, l’orario ed il periodo di lavoro, oltre, naturalmente, i dati dell’azienda e anagrafici del lavoratore. Se, ad esempio, ogni Centro per l’impiego si dotasse di un “organo di controllo”sulle assunzioni, potrebbe segnalare agli enti competenti, le “anomalie” in esse riscontrate e si evidenzierebbe che: a parità di qualifica, lo straniero, viene assunto con rapporto part-time, rispetto l’autoctono ( e ciò risulta inconcepibile in settori come quello edile o dei pubblici esercizi ); vengono usati inopinatamente contratti a progetto per lavori generici, anche da ambulanti o da cooperative; alcuni lavoratori, già assunti da un specifica ditta, tornano ad essere riassunti dalla medesima, dopo le “dimissioni”, in prossimità della scadenza del permesso di soggiorno. Non affermiamo nulla di nuovo: questo mercimonio è consolidato ed investe molte tipologie di datori.

Sembra esserci in circolazione troppa ipocrisia e scarsa considerazione per un fenomeno, che investe i lavoratori tutti ed in particolare quelli immigrati. Un fenomeno, che, a chi è aduso ad ergersi a difensore dei suddetti, dei diritti sociali e farsi portavoce delle istanze dei meno garantiti non dovrebbe sottovalutare. Un fenomeno, che non riesce ad emergere causa le complicità, le distrazioni e le omissioni di larga parte del mondo politico,sindacale ed istituzionale.

Le dinamiche sopra menzionate, investono una serie di problematiche, che naturalmente si proiettano in ambito sociale e riguardano:

1 ) i diritti degli immigrati e la loro eguaglianza con gli autoctoni nell’ambito del mercato del lavoro;
2 ) la prevenzione e la lotta allo sfruttamento e alla filiera d’illegalità, che esso implica ( a qualsiasi livello e contesto );
3) la scomparsa di fenomeni xenofobi e razzistici, derivati dalla “concorrenza” dello straniero, troppo frequentemente individuato come un ladro di lavoro;
4 ) la riqualificazione salariale per tutti i lavoratori ed il rafforzamento dei diritti sindacali.

Ricapitolando: ai Centri per l’impiego giungono le comunicazioni di assunzione, moltissime inerenti contratti a progetto, sicuramente molti di dubbia validità, anche rispetto l’attuale normativa. Potrebbero verificarsi ipotesi di illegittima somministrazione di lavoro ed elusione di contributi INPS ( immaginiamo, infatti, versamenti conteggiati sulla base dei minimali convenzionali di cui godono le cooperative ). Innegabilmente, i soggetti interessati a tali rapporti di lavoro, fanno parte di categorie svantaggiate e quindi più ricattabili. Avallare tutto ciò, non dotarsi di strumenti adeguati a contrastare tale scempio, equivale a rendersi complici.

Questa è una realtà a cui nessuna operazione di marketing, nessuna verbosità mediatica, nessun convegno, potranno porre rimedio. Sicuramente il mercato del lavoro ha toccato il fondo, ma i Servizi per l’impiego, quando non si fanno forti di fondi rivolgendoli all’assistenzialismo, non possono affermare di stare a galla.

La “realtà” dei fatti ( e misfatti )

Di seguito, verranno proposti alcuni fantasiosi esempi ( certamente non esaustivi ), di come potrebbero implementarsi contratti a progetto. Tale tipologia contrattuale, non è esclusivo appannaggio delle cooperative, ma trova applicazione in un contesto ampio di piccole e medie imprese, spesso consigliate e guidate da ”consulenti” ( non molti ), che non si fanno scrupoli pur di mantenere in “carico” l’azienda.

Il contesto interessato è molto più ampio di quanto si è potuto appurare, se solo si considera, che nel 2006 i contratti avviati a progetto sono migliaia.

Alcune “perle”:

ditta A ( esercizio ambulante ), assume co.pro extracom.;

ditta B ( esercizio autorimesse ), assume co.pro. extracom. di sesso maschile, specificando nel contratto i diritti in caso di gravidanza: evidente lo standard di modello usato;

ditta C ( ristrutturazioni edili ), assume co. pro. extracom. come “addetti al marketing”;

ditta D ( esercizio ambulante ), assume co.pro. extracom. come “addetto al marketing”;

ditta E ( edilizia ), assume immigrati a 10 ( dieci ) ore settimanali, presso “vari cantieri”;

ditta F ( trasporti ) assume facchini per recupero materiale ferroso con contratto co.pro., sono previste misure di sicurezza per l’uso di videoterminali ( sic! ) : il facchino immigrato, a fine anno, percepirà un reddito inferiore di mille euro, rispetto l’autoctono;

ditta G ( studio associato ), assume co.pro. ostetrica, occupandola, come da programma, presso la casa di cura “*”, con l’”obiettivo” della completa soddisfazione degli impegni assunti dallo studio nei confronti di “*”….”; così come per la ditta G1 ( srl ), con appalto a fornire operatori socio-sanitari;

ditte H e I ( edilizia ), stesso proprietario e amministratore unico, assume extracom. come co.pro., con retribuzione netta di 400 euro mensili nella prima e lorda ( sempre 400 euro mensili ) nella seconda a parità di mansioni;

ditte L, M, N, O ( esercizi ambulanti ), assumono co.pro. extracom. come “addetti al marketing”;

ditta P ( autorimessa ), co.pro.garagisti extracom.;

ditta S, T, U con 85%, 90%, 95% di personale a progetto…….ecc……ecc…..ecc……..

Questi potrebbero essere alcuni casi esplicativi, che, forse, sarebbe possibile trovare nelle comunicazioni di assunzione recepite dai Centri per l’impiego. Non occorre essere dei giuslavoristi, per comprendere, che ipotesi di elusione e prevaricazione della normativa vigente, possono essere contestate a tali imprese. Si preferisce, invece, crogiolarsi sulle superficiali indagini statistiche, che trasmettono dati confortanti, riguardo la crescita dell’occupazione su tutta la Provincia ed il “laboratorio” romano, ma dietro quei dati, esistono cittadini senza diritti, che si massacrano intere giornate a svolgere lavori umili, che meriterebbero altro rispetto. Lavori, che permettono l’arricchimento di chi li utilizza e il soddisfacimento dei nostri bisogni materiali.

Pontificare di precariato ( altrui ), non è difficile, troverai sicuramente chi è disposto a darti ragione, anzi ognuno è pronto ad offrire le proprie ricette ed anche essere solidale, meglio se il tutto viene condito con qualche dichiarazione alla stampa, un dibattito televisivo ed un convegno ( guai se mancasse! ) indignati. Il precariato ( come il lavoro nero e grigio ) diviene astrazione mediatica e come ectoplasma, continua a vagare, senza che nessuno riesca ad afferrarlo ed esorcizzarlo.

Da parte nostra, abbiamo voluto fare un minuscolo passo concreto, aggiunto naturalmente a tanti altri non effimeri, allorquando siamo stati investiti da piccoli, ma interessanti “casi”, indubbiamente non unici ( considerate le potenzialità del nostro ufficio vertenze e dello sportello immigrati ). Nel contempo, abbiamo cercato di comprendere come mai, chi fosse in possesso di appropriati strumenti, non operasse in termini adeguati avverso questi “episodi”, agevolando la lotta allo sfruttamento e favorendo maggiori introiti alle casse erariali ( piuttosto che proporre innalzamenti all’età pensionistica).

Sicuramente c’è insufficiente consapevolezza del fenomeno, certamente mancano le professionalità, ma innegabilmente, anche la volontà politica a colpire settori trasversali della politica economica.

Basterebbe verificare e troveremmo una fucina di contratti a progetto, tutti a basso contenuto professionale, di cui “fruiscono” indistintamente italiani e stranieri. Sarebbe sufficiente un poco di attenzione e potremmo incappare, forse, in un tracimare di ulteriori scoperte e conferme: contratti fotocopia l’uno dell’altro, implementazione di “progetti” per le più banali attività, bassi contenuti professionali e retributivi, reiterazioni di medesime attività “progettuali”; singole cooperative, che assumono facchini, fornai, autisti, cassieri, camerieri, scaffalasti, pulitori; cooperative, che applicano la medesima paga oraria per diverse qualifiche…. Basta verificare…..Dove, si sa…

Ma i Centri per l’Impiego, questi sconosciuti, queste misteriose entità per iniziati ( e conviene siano tali ), meriterebbero ben altri accertamenti

Vorremmo essere informati su finalità e risultati ( verificabili ) di tanti “progetti” implementati con supporto o autonomamente dall’ ”Ente strumentale” Capitale-Lavoro spa, terminale anche di fondi europei ( vogliamo ricordare l’ Obiettivo 3, Asse A Mis.A1, che prevede, tra l’altro, la formazione per gli operatori dei Servizi per l’impiego ).

Desidereremmo conoscere dove siano allocate quelle figure professionali previste dai vari “Master Plan”.

Chiediamo se la qualità dei servizi offerti rientri nei parametri di tolleranza della cosiddetta ( come piace oggi affermare ) “customer satisfaction”: accoglienza e informazione, orientamento, obbligo formativo, sinergie con la Formazione professionale, applicazione Decreto 181/00, come modificato dal 297/02…..

Saremmo lieti di navigare in un portale ( Informaservizi ) sempre aggiornato sulla normativa, da cui si possa scaricare modulistica, che informi compiutamente su temi inerenti le “politiche attive del lavoro e della formazione” e che abbia link attinenti la sua specificità.

Gradiremmo usufruire di una Banca dati aggiornata ed efficiente, così come di beni strumentali, non lesinati ed obsoleti ( a differenza della Capitale Lavoro spa ).

Pretendiamo riqualificazione e formazione degli operatori, che forniscono un Servizio Pubblico al cittadino, il quale è sempre meno propenso ad usufruire di effimere e raffazzonate soluzioni.

Concludiamo questa lunga digressione, proponendo un’ulteriore dichiarazione d’intenti estrapolata dalla “Nota congiunturale sull’andamento del mercato del lavoro del Lazio” ( anno 2006 n. 4 ):


Per svolgere in pieno il proprio ruolo, ai Servizi per l’impiego è richiesto di:

• Contribuire al rilancio occupazionale, promuovendo la emersione del lavoro sommerso e vigilando sulle esperienze mascherate di lavoro irregolare, attraverso attività più strutturate di tutoraggio e monitoraggio;

• Investire nella qualità dei Servizi offerti, soprattutto nelle attività di incrocio tra domanda e offerta di lavoro, che va personalizzata e velocizzata;

• Incrementare la rete con altre strutture pubbliche……..per aumentare quantità e qualità dei servizi, in particolar per le fasce più deboli…..;

• Ridisegnare il modello dell’offerta formativa;

• Attivare sistemi di monitoraggio delle politiche occupazionali promosse.

ROMA, GENNAIO 2007

SPORTELLO IMMIGRATI COORDINAMENTO REGIONALE
RdB-CUB ROMA RdB-CUB PUBBLICO IMPIEGO

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