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(14 Agosto 2012) Enzo Apicella

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Pensioni: sulle dichiarazioni del ministro del Lavoro, Cesare Damiano

(4 Gennaio 2007)

Il ministro del Lavoro, in interviste e conferenza stampa, ha sostanzialmente messo sullo stesso piano due ipotesi “estreme”. Da un lato coloro che vogliono mantenere lo “scalone” della riforma Maroni, cioè il pensionamento per anzianità a 60 anni e dall’altro coloro che vogliono che anche nel 2008 si possa andare in pensione, come oggi, con 57 anni di età e 35 di contributi. E’ chiaro che mettere sullo stesso piano queste due posizioni non significa giocare agli opposti estremismi, ma scegliere di aumentare l’età pensionabile, magari in misura più attenuata di quanto prevede la riforma Maroni.

Non ci siamo. L’incremento dell’età pensionabile è inaccettabile sul piano sociale e ingiustificato su quello economico, visto che il governo ha già recuperato più di 5 miliardi di euro con l’incremento dei contributi pensionistici con la Finanziaria. Inoltre c’è il recupero in atto, e che dovrà continuare, dell’evasione contributiva. Quindi il mantenimento della pensione d’anzianità a 57 anni e la cancellazione dello “scalone” Maroni, sono già pagate.

Neppure è accettabile che si continui a parlare di revisione dei coefficienti di calcolo delle pensioni future, magari mentre si afferma la necessità di dare di più ai giovani. La revisione dei coefficienti colpirebbe infatti prima di tutto coloro che sono oggi più lontani dalla pensione, i più giovani, coloro che già subiscono i danni del contributivo, ed è perciò socialmente iniqua.

Se il governo arriverà al tavolo delle trattative proponendo l’innalzamento, seppure più graduale di quanto previsto da Maroni, dell’età pensionabile, il sindacato dovrà rispondere con un no netto e conclusivo e dare avvio alla mobilitazione necessaria ad ottenere un risultato di giustizia sociale.

Roma, 4 gennaio 2007

Giorgio Cremaschi

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