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Apologia di reato

(15 Febbraio 2007)

Non so, alla fine, cosa rimarrà in piedi del pesante castello di accuse che ha portato in galera 15 “presunti terroristi” e ha messo sotto inchiesta decine di compagni. Fin ora i fatti concreti contestati sono ben pochi al di là di un generico reato associativo che, comunque, basta da solo a far comminare decenni di anni di galera.
Il polverone invece è notevole. E così pure le ipotesi di reato che si susseguono: “terrorismo nazionale e internazionale”, legami con tutte le espressioni possibili e immaginabili dell’eversione politica e della delinquenza organizzata (da Al Qaeda alla ...mafia ... passando per gli anarco-insurrezionalisti e gli indipendentisti sardi). Insomma, l’intero arco del “male assoluto” in tutte le sue possibili varianti. Tutti gli incubi peggiori che una classe dirigente di un paese possa aver mai sognato concentrati in quei 15 fra sindacalisti e giovani frequentatori di centri sociali che di colpo sono diventati il nemico principale dello Stato, del Sindacato, della Democrazia... della stessa Convivenza Civile!
Provare a ricordare che (ancora almeno formalmente) esiste la presunzione di innocenza (principio cardine del diritto borghese) e che esprimere solidarietà umana a chi è in carcere non può essere considerato un reato, può perfino diventare un rischio per la propria libertà personale. Un comportamento da censurare perché “oggettivamente fiancheggiatore” di un’associazione eversiva. Un’azione da “cattivo maestro” e quindi da complice (se non mandante) dei “malfattori” così tanto efficacemente individuati e perseguiti.
Quella stessa presunzione di innocenza, più volte richiamata quando a finire in galera sono finanzieri d’assalto o politici concussi, ladri di risparmi altrui o procacciatori e distributori di tangenti (i quali peraltro rimangono innocenti e riveriti anche quando vengono condannati o amnistiati) non può essere invocata nei confronti di chi è stato già bollato e condannato come eversore.
E così si finisce in galera per aver affisso dei manifesti in cui si afferma che “...terrorista è chi ci affama e fa le guerre...” anche se non si capisce per quale reato visto che (come ci informa virgilio news) “...c’è una sorta di incertezza giuridica sul tipo di reato dal momento che la propaganda sovversiva originariamente ipotizzata dalle prime voci era stata abrogata un anno fa (dal governo Berlusconi!) “ ...comunque i quattro sono adesso a disposizione dell'autorità giudiziaria.” ...ben custoditi in attesa che qualcuno scovi, fra le righe di qualche codice, la “motivazione” giuridicamente certa per il loro arresto.
E così diventa apologia di reato provare a ragionare fuori dal coro del “dagli all’untore”, diventa sospetta qualsiasi analisi seppur critica nei confronti di chi possa aver scelto (cosa che è comunque ancora da dimostrare) la “scorciatoia” della “lotta armata”.
Diventa “oggettiva partecipazione a banda armata” denunciare l’operato di uno stato che toglie risorse alla sanità e alla scuola per foraggiare le sue avventure guerrafondaie.
Diventa “intelligenza col nemico terrorista” scendere in piazza per impedire l’alienazione di ampie fette di territorio nazionale a uno stato imperialista e aggressivo che le utilizzerà come trampolino per nuove e più pericolose avventure belliche (non senza averle prima riempite di sofisticati ordigni e di bombe nucleari le quali, si sa, sono sicuramente meno pericolose delle centrali elettriche iraniane).
Di fronte a un apparato statale che (a torto o a ragione) si sente assediato, ritorna la vecchia ricetta di sempre: impedire il dissenso, chiudere sedi e giornali, restringere il diritto di parola solo a chi (politicamente corretto) da sicure e certe garanzie di affidabilità “democratica”. Bloccare le lotte sociali e criminalizzarne i soggetti individuati come “terreno di cultura” dell'eversione, prosciugare “l’acqua” dove i “terroristi” nuotano liberamente.
E a nessuno sorge il dubbio che quel terreno di cultura, quell’acqua, è un fatto “strutturale” che nessuna legge di polizia mirante a impedire la critica contro lo sfruttamento, nessuna operazione di contenimento ideologico, più prosciugare.
Ma davvero pensate che un precario di un call center a 400 euro al mese (con contratto a tre mesi) possa provare simpatia per chi ha dato il suo nome alla legge che lo ha condannato alla precarietà? O che i lavoratori socialmente utili minacciati di licenziamento per “scarsa produttività” possano applaudire chi gli vuole togliere il pane di bocca?
O davvero pensate che il vostri giornali, le vostre televisioni, i vostri consulenti (ben pagati) siano così bravi da convincere tutti che questo è il migliore dei mondi possibili?
Davvero pensate che impedendo la denuncia, restringendo i già ristretti spazi democratici, trasformando le organizzazioni di massa in controllori occhialuti del disagio sociale, inviando a marciare alla testa dei movimenti antimperialisti gli alleati di Bush, quel terreno di cultura possa isterilirsi?
Quel terreno di cultura è fatto da milioni di precari, di disoccupati, di disperati che non riescono più a pagare l’affitto di un tetto sotto il quale abitare. E' fatto di pensionati ridotti alla fame, di operai ricattati, di giovani senza futuro costretti a marcire nella miseria delle periferie ghetto.
Quel terreno di cultura è fatto di oppressione e voglia di emanciparsi e insieme di disillusioni e sconfitte, di speranze e di tradimenti. Di battaglie per abolire il precariato che hanno portato al governo chi il precariato non lo abolirà mai, di lotte contro la guerra “senza se e senza ma” che hanno portato al governo chi la guerra continuerà a farla (e a farcela pagare).
Lasciamo gli sconsolati servi (sciocchi o furbi che siano) della borghesia a scandalizzarsi della presenza fra gli inquisiti di operai, di giovani ...persino di sindacalisti!
La loro meravigliata reazione è, per molti versi, simile alla reazione della baronessa siciliana che si trovò inchiodata al portone del suo sicuro palazzo ad opera di quegli stessi suoi pacifici contadini da sempre ossequiosi e pazienti, e che non riusciva a capire che forse la colpa di tale “increscioso” episodio non era da ricercarsi nelle idee liberali e garibaldine ma molto più concretamente nelle sue ruberie.
Chi vive nel mondo reale conosce bene la carica di frustrazione e di violenza compressa che alberga dentro gli strati più sfruttati delle masse popolari. E’ la ribellione spontanea spesso assume forme estremiste e primitive. Spesso, nella ricerca di impossibili scorciatoie, al metodico e necessariamente lungo lavoro di organizzazione delle masse, si sostituisce l’azione esemplare del singolo o del piccolo gruppo. Spesso la “voglia di cambiare” (oggi e non in un nebuloso futuro) spinge a scelte drastiche la cui utilità è difficilmente comprensibile. Spesso nell’isolamento si inserisce la provocazione, l’uso strumentale degli apparati di uno stato che (come in questo caso) a pochi giorni dalla manifestazione di Vicenza, di un’azione così “esemplare e efficiente” ne aveva proprio bisogno!
...spesso...
Ma noi – i comunisti – dovremmo pur provare a domandarci quale prospettiva, quale speranza, quale concreta organizzazione di lotta e di emancipazione siamo riusciti a dare a chi cerca di liberarsi dalla condizione di miseria e di sfruttamento in cui si trova a sopravvivere?
Quale azione abbiamo fatto per trasformare la rivolta spontanea in coscienza organizzata?
Quali “gambe” abbiamo saputo dare alla nostra battaglia “teorica”, quale concretezza abbiamo dato al nostro essere forza rivoluzionaria?
Quale punto di riferimento siamo riusciti a costruire in questo paese se non l’immagine grottesca di una pupattola in cashemire che, dal seggio più alto di Montecitorio, disquisisce di non-violenza sotto l’ombrello dei missili nato.
Se il “terrorismo” è la pena che dobbiamo scontare per i nostri peccati di opportunismo, è una pena troppo onerosa perché la si possa scontare senza un sussulto di dignità. Lo dobbiamo alle nostre “certezze”, alla nostra “storia”, ma anche a quei tanti artefici della lotta di classe spontanea che continueranno a marcire in galera, per anni e anni, pagando un prezzo che ne loro ne noi possiamo più permetterci di pagare.

14 febbraio 2007

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