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Gli ex alunni della scuola Diaz

Gli ex alunni della scuola Diaz

(15 Novembre 2012) Enzo Apicella
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C'e' un fantasma che s'aggira per l'italia ...

(15 Febbraio 2007)

A fronte della dimensione un po' dimessa delle pur inevitabili kermesse di più o meno credibili "esperti" e/o sopravvissuti, che segnarono la ritualistica "celebrazione" dei precedenti decennali, bisogna senz'altro rilevare l’insopportabile moltitudine di trionfanti fanfare e di tronfie majorettes delle più svariate tipologie, che da mesi, con solerte precipitazione, vanno facendo lievitare, ad autentico megaspettacolo, la commemorazione del trentennale di quell'ancora "oscuro" giro di boa che comunque fu segnato dal/con il "movimento del '77".
"Oscuro", soprattutto perchè tale lo si è voluto mantenere da parte di chi operò con frenesia anche assassina, affinché venisse represso, infranto, sconfitto e definitivamente rimosso quel coagulo di soggettività, in certo senso “residuale” ma al contempo profondamente innovata, che in esso si espresse come una sorta di ultimo soprassalto radicalmente conflittuale, del decennio apertosi con la deflagrazione del "68/69".
Ma si sa che il rimosso tende spesso a riappalesarsi ... soprattutto in presenza di situazioni che ne evochino ambiti similari a quelli in cui si diede l'esperienza appunto non elaborata e impositivamente negata!
Da qui, oggi, quel titolo «la paura fa '77» che ha giustamente apposto ad un suo recente editoriale, Sergio Cararo! La paura connessa ai «rischi della formazione di un nuovo soggetto sociale», capace di una sua autodeterminazione sul piano politico-progettuale. Quella paura che nel 1977, in tempi già allora “di sinistra al governo", recò grave scandalo e disturbo ai "timonieri", incalzandoli da presso e denunciandone con pervicace radicalità quella prima forma di esplicito e codificato "concertazionismo", che aveva trovato allora i suoi capisaldi, nella "svolta dell'Eur" sancita dalla "Triplice" confederale, così come nel "Compromesso storico di unità nazionale" sostenuto dal Pci, quali basilari supporti per il primo violentissimo giro di vite in chiave antioperaia, introdotto con la "politica dei sacrifici".

Oggi, per strana ma non paradossale coincidenza, si ripropongono condizioni storico-sociali per alcuni non irrilevanti aspetti assai simili a trenta anni fa.
Dietro le spalle – come allora fu, in certo senso, con il “biennio rosso 68/69” - abbiamo l'esperienza di un ciclo di lotte che di fatto è riuscito a spezzare l'atomismo passivizzante che connotò l'ultimo ventennio del secolo passato, devastato dalla lunga risacca della disfatta subìta a cavallo fra i settanta e gli ottanta: il "vento di Seattle", in qualche modo evocato/pre-annunciato dalla precedente irruzione nella comunità globale degli indios zapatisti della Selva Lacandona, ha saputo sospingere "il sociale" a ritrovarsi, a riesprimersi, a ritornare protagonista, al di là e contro l'afasia coatta, indotta dall'egemonia del pensiero unico neoliberista per lunghi terribili anni.
E abbiamo alle spalle anche il lento esaurirsi del movimento attivatosi sotto la spinta di quel “vento”, o meglio, il suo faticoso cammino verso un graduale riassestamento dei suoi obiettivi, del suo stesso immaginario: dopo la centralità di un rifiuto all’omologazione universale coniugata nel lessico della sopraffazione culturale ed economico-mercantile da parte del “Nord-Ovest” del mondo (in qualche modo paragonabile al primissimo “stadio studentesco” del “biennio rosso ’68/’69”), si è saputo giungere a mettere a fuoco la nuova spinta più scopertamente e tragicamente necrogena, veicolata dalla “guerra permanente preventiva”, unilateralmente scatenata da improbabili quanto incontrollabili “nuovi crociati”, sempre più disvelantisi come autentici razziatori genocidari. E in tale nuova, agghiacciante consapevolezza, quel movimento s’è come ritratto, di fronte alla drammatica enormità della posta in gioco: quella del potere “economico-militare” di un capitale globale ormai palesatosi come affrancato dai vincoli eventualmente imposti dal lessico della politica, così come operativamente articolato dagli stati-nazione o anche dagli odierni organismi internazionali, più “di consultazione” che di effettivo coercitivo “controllo democratico”.
Ma in Italia – e questo è un altro punto di similarità rispetto al fatidico “77” -, l’avvento del “governo di sinistra” ha vieppiù rimarcato la suddetta fase di “sbandamento”, disilludendo in modo devastante tutti coloro (ed evidentemente erano molti, come molti erano stati i voti che nel 1976 si dirottarono dalle patetiche liste della “gruppettistica ex-extraparlamentare” verso il Pci”) che avevano preteso illudersi di una qualche effettiva positiva distonia dell’Unione, rispetto al coro neoliberista della Cdl !

Ed ecco, quindi, che puntualmente, oggi, per Lor Signori si riaffaccia l’incubo: proprio il crollo di quella illusione, che non a caso aveva influito pesantemente sulle mobilitazioni “NO-war” dell’anno precedente alle elezioni politiche e dei mesi immediatamente successivi - nella speranza (vana!) di poter temporaneamente “soprassedere”, privilegiando la compattezza del “fronte antiberluskoniano”, che certamente avrebbe prodotto una nettissima “discontinuità” con la politica bellicistica degli arkoriani (?!?) -, proprio quel tracollo di fiducia nei propri neo-eletti rappresentanti sta oggi RI/sospingendo amplissimi comparti sociali verso una nuova volontà di protagonismo diretto, di presa di parola dal basso, di rifiuto della delega “ai Palazzi”.
E ciò, vedi caso, non solo sul versante “etico” del rifiuto (costituzionale!) della guerra, MA anche sul piano di una definitiva quanto diffusa consapevolezza che tutto ciò che l’interventismo guerrafondaio divora, in termini di finanziamento (ora per giunta incrementato!), viene ad assommarsi al già tremendo salasso che il “risanamento dell’azienda Italia”, sacralizzato dal solito Mortadellone & C., sta cominciando ad operare ai danni soprattutto dei redditi bassi e medio-bassi (100 €uro di maggior fiscalizzazione su salari/stipendi sotto i 2000 €uro non hanno il medesimo impatto di 1.000 €. su introiti da 10.000, pur essendo dimezzati come aliquota complessiva). Laddove, peraltro, già morde da lunghissimi anni un costante processo di precarizzazione selvaggia del lavoro, in qualsiasi sua specifica espressione. La merce forza-lavoro, infatti, non risulta “in esubero” soltanto là dove (terzo e quarto mondo) essa si è andata ammassando, verso la fine del trascorso secolo, in forza di un definitivo processo di proletarizzazione universale messo in atto dal capitale globale, ma anche nelle stesse cittadelle del cosiddetto “benessere”, dove si può (e si dovrà sempre più) essere flessibilizzati/precarizzati anche in presenza di un alto tasso di professionalità (altro che le balle sull’aggiornamento!), perchè il capitale oggi necessita di tale passiva ed assoluta “plasmabilità/disponibilità” del lavoro che intende di volta in volta mettere a valore, nel proprio sempre più “scarno” ciclo accumulativo.
E anche qui, dunque, la realtà odierna riverbera a livello ormai dispiegato, quel dato specifico ed innovativo (rispetto al ’68/’69) del “popolo del ’77”, che fu appunto l’essere generazionalmente giovane e già stretto nella morsa di una ormai dilagante destrutturazione di quelle rigidità che avevano connotato il lavoro operaio del precedente ciclo: non a caso una scritta assai eloquente comparsa sui muri dell’università romana, quell’anno, fu “Come il 68 ? NO peggio: oggi c’è la CRISI” !!!
Il che chiude definitivamente il cerchio, radicando almeno virtualmente lo stesso discorso “NO-war”, sul ben concreto terreno della contraddizione di classe, al di là della pur auspicabile permanenza, dentro l’orizzonte di tale tematica, anche di un pacifismo specificamente etico. Laddove appunto, per il governo “di sinistra”, il gioco rischia di farsi davvero duro ed impone quindi opportune contromisure preventive ...

Ed ecco che, puntuali come furono le stragi sin da Piazza Fontana nel 1969, o l’assalto armato fascista a La Sapienza di Roma e l’assassinio sbirresco di Francesco Lorusso a Bologna nel ’77 (per citarne solo una “minuscola campionatura”!), anche oggi, ripartono, sia pur con “più oculata tempestività preventiva” (?!?), le solite manovre “securitarie”. Manovre, cioè, di contenimento/sviamento ai danni degli eventuali processi di espansione e radicalizzazione di una conflittualità che, smaltita la sbornia elettoralistica, torna a disvelarsi come l’unica maniera di farsi protagonista diretto, per un “sociale” via via sempre più in grado di riconoscersi come costitutivamente alternativo, sul piano degli interessi e dei bisogni concreti, rispetto all’astrattizzante mediazione della politica politicante dei Palazzi, inevitabilmente prona solo agli interessi di quei “grandi elettori” in grado di garantirle la propria castale autoriproduzione: i cosiddetti “poteri forti” nazionali, a loro volta immanicati inestricabilmente con i “sette nani” della finanza globale !
Come altrimenti intendere la sortita del Dottor Sottile Amato, e la sapiente sua “imparzialità” nel non scegliere fra le due ipotesi, solo formalisticamente alternative, di una Fiom passivamente inquinata dai “brigatisti”, o di quadri sindacali scientemente convertitisi al lottarmatismo, a fronte di una premurosa indagine di quella magistratura milanese che già tanto aveva fatto per i suoi padrini politici, sul fronte del «resistere, resistere, resistere» ai berluskoidi (carina, nel merito, la recentissima battuta di Rinaldini in merito a tale oggettiva ambivalenza della Procura di Milano) ?!?
D’altronde, sul versante “opposto” (?!?), come intendere la salute mentale di due arrestati che si dichiarano tout court “prigionieri politici” ... oggi !?!, prima ancora di aver potuto ricevere debito riscontro dei capi d’imputazione loro rivolti ?!?
Il tutto all’immediata vigilia della manifestazione a Vicenza contro tutte le basi amerikane, giacché proprio questa sta ormai diventando la vera parola d’ordine di una mobilitazione originariamente iniziatasi, invece, sull’unico obiettivo di interdire l’ampliamento ulteriore della base colà già esistente, e via via radicalizzatasi soprattutto proprio grazie all’insipiente arroganza di un governo sostanzialmente prono ai diktat della cricca di Bush, anche se formalmente capace di farsi pure dare delle sonore quanto immeritate “bacchettate”, dal padrino d’oltre Oceano.
Insomma, le condizioni per una delegittimazione di massa della compagine governativa “di sinistra” ci sono tutte, e sembrano esserci anche tutte le condizioni perchè torni ad instaurarsi una qualche perversa spirale, assai simile a quella che si ingenerò contro il “77” !
Quel movimento, come scrive il già citato Cararo, fu letteralmente stroncato dalla «galera per migliaia di persone» e i suoi superstiti furono sepolti sotto «il boom dell’eroina (oggi praticamente scomparsa)» - per non contare i “puri e semplici” suicidi -, e malgrado ciò Lor Signori si sentirono obbligati «ad una certa capacità di gestione delle contraddizioni sociali, tramite la spesa pubblica fino ai primissimi ’90!».
Onde evitare un avvitamento perverso di tale tipo, sarebbe forse urgente ed indispensabile riandare all’esperienza di quell’anno cruciale, onde ricavarne idonei insegnamenti.

Al contrario, non parrebbe che tale sia l’intenzione reale di quelle moltitudini di trionfanti fanfare e di tronfie majorettes delle più svariate tipologie, cui facevo riferimento in apertura di questo scritto! No, decisamente l’andazzo sembra per ora confermare la solita litania di un “77 duro ed armato”, a fronte di un giocosamente pacifico “68” (laddove semmai fu proprio quest’ultimo che fece, del recupero della pratica della forza e della prospettiva rivoluzionara - che non è un pranzo di gala – un asse cartesiano della propria identità collettiva, di contro alla revisionistica quanto castrantemente immobilistica “coesistenza pacifica” imposta con Yalta). E ciò, dando luogo a due fronti uguali e contrari: quelli che cianciano di “foto di famiglia”, e coloro che predicano di “autonoma partenogenesi delle P38” ... entrambi falsificando la realtà specifica di quel movimento.
Unica novità, peraltro assai preoccupante, sembra essere una certo minoritaria tendenza a voler quasi recuperare il ”77”, come una sorta di prima istanza di autentica libertà, finalmente disvelatrice del “cuore di tenebra” dell’intera esperienza del movimento operaio e comunista novecentesco: in certo modo, un antesignano di quell’indebolimento del pensiero, con conseguente istericizzata messa in mora delle cosiddette “grandi narrazioni”, che contraddistinse, vedi caso, l’immediata ricaduta, fra le fila di un’intellighèntsia già fideisticamente/presuntivamente “organica alla classe”, della disfatta simbolicamente epocale, consumatasi davanti ai cancelli di Mirafiori nell’autunno del 1980.
Un “77”, insomma, più liberista che libertario, nel suo blasfemo assalto alle organizzazioni della “sinistra storica ufficiale”. In tale prospettiva, ad esempio, l’Annunziata gode narcisisticamente, vantando ex post che «a me di Luciano Lama non fregava assolutamente nulla», senza capire alcunché del fatto che, in buona sostanza, tutto il decennio ‘68/’77 non se ne era «fregato» granché del sindacato, visto più che altro come un livello di “rappresentanza sociale” ancora praticabile dall’autonomia (con la minuscola!) della classe, se non altro come potenziale “megafono” dei suoi contenuti, cosa puntualmente capitata con i consigli di fabbrica, i quali, da mera gabbia burocratica di contenimento che avrebbero dovuto essere appena ideati a Corso Italia, divennero di fatto autentica rete di trasversalizzazione dei contenuti dell’autunno ‘69, ben al di là di quel triangolo industriale, ove essi furono espressi al livello più alto e avrebbero rischiato di rimanere relegati.
Ma anche da un’intervista a Kossiga (“la Repubblica” 25/1/2007) viene fuori qualcosa di simile. Dopo aver elargito la sua “paterna bonomia” nei confronti dello «sfogatoio dell’autonomia» del suo grande amico Negri, ch’egli erroneamente «stroncò», involontariamente così «spingendo le teste calde verso la violenza armata», il vecchio “gladiatore” ammette con perfido candore che, nel ‘77, il Pci fu all'altezza della gravità della situazione e pienamente responsabile, sostenendo il pugno duro e non ostacolando minimamente l'azione repressiva da lui esercitata come ministro dell'interno. Giunge anche a riconoscere che dalle Botteghe Oscure, anzi, si sollecitò in alcuni casi una maggiore durezza, MA.non ci si volle però assumere apertamente e pubblicamente quella responsabilità, cercando di smarcarsi, seppur timidamente, dall'ombra della Dc: facendo consapevolmente un gioco sporco e però cercando di apparire, all'esterno, puliti. Tanto che anche dentro il partito la responsabilità fu addossata solo ad alcuni (come il ben noto e “bruciatissimo” Pekkioli), mentre altri, tra cui gli attuali dirigenti Ds, si chiamavano ipocritamente fuori. Il tutto, condito ovviamente di svariati messaggi in stile mafioso, alla fin fine sembra voler essere un “sibilato” avvertimento/consiglio, per l'oggi, da parte del “benemerito presidente” Kossiga, a D’Alema & C.: «cari Ds, anche se fate finta di averlo dimenticato, siete stati bravi in passato, avete bastonato la piazza quando doveva essere bastonata. Perchè avete paura di rifarlo oggi, se dovesse servire?».
Ed ecco che, assolutamente puntuale, arriva la provvidenziale retata addirittura preventiva, contro l’ennesima filiazione combattentistica !?!
Ma qui, come già accennato, bisognerà davvero ritornare al “77” e lì mettersi a scavare criticamente ... non foss’altro per contrastare la gran kermesse di un assordante/stomacante “memorial day” che si trascinerà per almeno due anni ininterrottamente, stante il prossimo quarantennale del “68” !!!

Roma, 14-02-2007.

Marco Melotti per “Vis-à-Vis”

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