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La lezione di Vicenza

(22 Febbraio 2007)

Sono opportune, e necessarie, alcune riflessioni sullo straordinario evento della manifestazione di Vicenza, che ha mobilitato oltre 200 mila persone, anche alla luce di un altro avvenimento straordinario, ma non certo imprevedibile – o inevitabile -, vale a dire la rocambolesca e fantozziana caduta del governo sulla mozione dalemiana in materia di politica estera e le doverose dimissioni presentate al Quirinale dal ragionier Fracchia/Prodi.

Anzitutto, va fatta una considerazione positiva sull’esito della manifestazione.

La manifestazione di sabato 17 febbraio a Vicenza si è svolta senza il minimo incidente. L’unico scontro registrato, è stato un litigio tra cani (esattamente un “feroce” mastino napoletano – sempre i soliti meridionali – e un piccolo, ma combattivo esemplare di razza bastarda – un extracomunitario), visto che in tanti, tra i manifestanti, sono stati accompagnati, non solo dalle rispettive famiglie, ma altresì dall’amico più fedele dell’uomo (che non è Emilio Fede).

Inoltre, qualcuno ha sparato un rumoroso petardo… Ma cosa si pretendeva, il clima era anche un po’ carnevalesco, per cui qualche botta e qualche scherzo, lazzi e frizzi, erano proprio adatti all’occasione! Eppure, le vere, tragiche buffonate e mascherate, sarebbero ancora dovute venire, ma altrove, in altre sedi e in altre circostanze, che non hanno nulla a che spartire con la piazza e con l’esperienza vicentina. Mi riferisco alla farsa e alla tragicommedia messa in scena al Senato il 21 febbraio, giorno delle Ceneri, data di inizio della Quaresima, che è tempo di digiuni e penitenze (per noi comuni mortali, non certo per loro, immortali, nel senso che non si staccheranno mai dallo scranno su cui hanno appoggiato i loro “sacri” deretani) fino alla Pasqua, secondo i precetti sanciti dalla chiesa cattolica apostolica romana.

Non si tratta di una coincidenza puramente casuale! L’idea che nella caduta del governo c’entri lo zampino-zampone dell’eminenza grigia Ruini e delle gerarchie vaticane, non è un’ipotesi tanto azzardata. Come si cercherà di evidenziare nel seguito del presente articolo.

Per il momento soffermiamoci ancora sul tema iniziale.

La vergognosa ed infame strategia della tensione, messa in opera nei giorni immediatamente precedenti la manifestazione vicentina, ha miseramente fallito. Ha fallito miseramente, in modo comico e grottesco, chi, sia negli organi di informazione, sia tra gli esponenti del ceto politico (in entrambi gli schieramenti, centro-destra e centro-sinistra), ha puntato a creare un clima di panico, di psicosi collettiva, di allarmismo eccessivo, per spaventare ed inquietare l’opinione pubblica, al fine di indebolire ed isolare il movimento. Un movimento che, invece, si è riunito e mobilitato in massa a Vicenza. Ha miseramente fallito chi ha agitato e sbandierato lo spettro delle presunte “nuove Brigate rosse”, giungendo persino ad insinuare ed avanzare assurde, farneticanti e deliranti connessioni tra la lotta armata (che in realtà nessuno degli arrestati aveva ancora messo in pratica) e il popolo di Vicenza, ossia il popolo della pace. Un movimento assai contaminato, variegato, eterogeneo, che ha coinciso con il popolo dell’intera sinistra, non soltanto di quella cosiddetta “radicale”, ovvero con una parte consistente della società italiana, rappresentata a Vicenza da un campione di oltre 200 mila persone in carne ed ossa. Un movimento che ha dato vita ad un’imponente manifestazione pacifista, assolutamente pacifica e non violenta, allegra e divertente, colorata e fantasiosa, impartendo una memorabile lezione di civiltà politica e di buon senso, di superiorità e di forza morale, mettendo a tacere quanti, anche tra le fila governative (si pensi all’ex Ministro degli Interni Giuliano Amato e all’ex vice-premier Rutelli), si erano improvvisati oracoli e cassandre, ovvero profeti di lutti e sciagure che non si sono avverati, non per puro caso o per fortuna, ma per l’eccezionale vigore morale e civile del movimento, per il senso di maturità e responsabilità effettivamente mostrato, per la tenacia e la spinta ideale che ha saputo esprimere e che hanno animato l’esperienza vicentina, che non è stata priva di conseguenze, anzi. Come abbiamo poi visto.

Infatti, il ragionier Fracchia/Fantozzi (alias Prodi) si è immediatamente affrettato ad applaudire ed elogiare (in pratica ad irridere ed ingannare, ancora una volta) i cittadini che hanno manifestato in massa, aggiungendo una chiosa, ossia che le manifestazioni non rappresentano la “forma suprema della partecipazione politica” e non sono “il sale della democrazia” (allora, ragioniere, ci dica quali e dove sono il “sale della democrazia” e “la suprema partecipazione politica”, forse nei banchi, e sotto-banchi, governativi e parlamentari?), concludendo che in ogni caso il governo non avrebbe affatto cambiato la decisione già presa (ma da chi?) in merito all’allargamento della base NATO di Vicenza. Bene, un caloroso applauso a mister Fracchia!

Già questa sprezzante prova di insulsa e sciocca arroganza, di assoluta incapacità, o assenza di volontà, di ascoltare ed apprezzare in concreto le istanze di pace (e non solo di pace, ma anche di giustizia, di equità sociale, di rispetto della sovranità nazionale, di osservanza dei principi costituzionali, eccetera) provenienti dal basso, dalla gente reale (in particolare dagli elettori del centro-sinistra, perché di questo si tratta), avrebbe meritato una lezioncina.

Ma costoro quando capiranno, quando impareranno a vivere, e a governare? Giammai!

Si sapeva, e si sa, che il movimento non si sarebbe certo arrestato dopo la manifestazione di Vicenza, anzi avrebbe proseguito, e proseguirà nelle mobilitazioni e nelle lotte, con la giusta e necessaria fermezza, continuando anzitutto a presidiare la zona del Dal Molin, al fine di creare un solido blocco di resistenza popolare e territoriale, come già accaduto in Val di Susa e altrove. Questo nessuno l’ha capito, o comunque l’ha ponderato, tra i boss dell’Unione che ambivano velleitariamente a governare alla stessa stregua del berlusconismo, senza però avere il Berlusca (vale a dire “l’uomo forte”, “l’uomo della provvidenza”, ovvero “l’unto del Signore”, e via discorrendo), ossia con metodi autoritari e antidemocratici, in forme plebiscitarie e populistiche, senza tuttavia la prepotenza e la spinta trascinatrice del populismo berlusconiano, insomma non solo nei contenuti, ma persino nei modi e nelle procedure formali del berlusconismo, pur avendo alla guida dell’esecutivo Fracchia, e non la Belva Umana.

Ma non dobbiamo dimenticare che costoro sono, come al solito, “forti con i deboli (noi miseri sudditi) e deboli con i forti”, vale a dire i poteri forti che da sempre condizionano in maniera pesante e determinante la vita politica e sociale in Italia. E non mi riferisco solo al Vaticano, alla Confindustria e alla NATO, bensì pure a quei poteri occulti quali mafia, massoneria (leggi P2), servizi segreti, più o meno deviati, nostrani ed esteri (leggi soprattutto CIA e Mossad). Poteri verso cui qualsiasi governo si è dimostrato sempre subalterno e succube.

Insomma, una piccola lezione se la sono proprio cercata!

E’ indubbio che il governo è caduto da solo e si è fatto male da solo. Mister “baffetto sparviero” poteva fare a meno di chiedere e di effettuare la verifica sulla “sua” politica estera, eppure l’ha fatto ugualmente, commettendo un grave, fatale errore/orrore di ingenuità, o di presunzione. Come mai? Il fatto è che una verifica parlamentare era davvero opportuna e doverosa, proprio alla luce di quanto era successo a Vicenza. Pur nella sua nota arroganza e furberia, il baffetto è stato politicamente corretto e scorretto nello stesso tempo.

Nel frattempo, infatti, c’è stata Vicenza, dove hanno sfilato, pacificamente (smentendo tutti gli artefici e i complici della suddetta strategia terroristica e allarmistica), oltre duecentomila persone del popolo della sinistra, non gente di Berlusconi (sebbene, per onestà, occorra ammettere che all’interno dei comitati cittadini contro il Dal Molin ci fosse anche qualche simpatizzante leghista o della destra locale), ma dell’intera sinistra, dalla CGIL a Rifondazione comunista, da Pax Christi all’area dei centri sociali e dell’antagonismo anarchico.

Dunque, l’esperienza di Vicenza ha innescato un meccanismo tale da indurre all’esplosione, comunque inevitabile, di quelle contraddizioni insite sin dall’inizio nella coalizione governativa, troppo eterogenea e troppo composita, in cui i vari boss – presunti leader e statisti – si sono rivelati assolutamente incapaci di conciliare e mediare tra le posizioni contrapposte.

Come dicevo all’inizio, nella rovinosa caduta del governo c’è con molta probabilità lo zampino dei poteri forti, in particolari del Vaticano e della Confindustria. Vediamo perché e come.

La rappresentanza parlamentare di alcune lobbies, quali quella delle gerarchie vaticane e confindustriali, è simbolicamente concentrata e segnalata in due illustri e potenti figure/figuri, e nei loro voti decisivi. Infatti, l’astensione del senatore Giulio Andreotti (uomo del Vaticano, abilissimo maestro nel far cadere tanti governi nella storia della Prima repubblica, ed ora anche della Seconda Repubblica) e l’astensione del senatore Pininfarina (uomo della Confindustria, un po’ più inesperto, ma non meno abile del primo) soltanto in apparenza sono da collegare direttamente alla votazione sulla mozione presentata da D’Alema – baffetto perfetto – in materia di politica estera, ma in effetti celano ben altri significati ed altre implicazioni politiche più occulte, di stampo quasi massonico-mafioso, riconducibili ad altre materie oggetto dell’attività di governo negli ultimi mesi, vale a dire il disegno di legge sui DI.CO. e la legge economico-finanziaria – di lacrime e sangue.

Ora ci attende una fase si inciuci e compromessi, di politica politicante, di trattative sotto banco, di opportunismi e trasformismi, che probabilmente condurrà ad allargare e rafforzare la base del consenso parlamentare al governo, puntando ovviamente al centro del centro-destra, per indebolire e marginalizzare ulteriormente l’ala della cosiddetta “sinistra radicale”.

E così avremo un Prodi bis-chero!

Lucio Garofalo

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