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Il governo è stato sfiduciato a Vicenza prima ancora che al Senato

(22 Febbraio 2007)

Dobbiamo dirlo con franchezza. Il primo voto di sfiducia sulle sue scelte di politica estera il governo Prodi lo ha ricevuto sabato 17 febbraio nelle strade di Vicenza, con una enorme manifestazione popolare e antimilitarista che aveva inviato un segnale forte rispetto al quale la relazione e la replica di D’Alema al Senato sono rimasti sordi.

In nessun paese del mondo si può pretendere fedeltà subalterna quando le scelte concrete vanno nella direzione opposta da quella richiesta dal proprio popolo. Occorre solo essere arroganti o subordinati per chiedere e fare cose in contraddizione tra loro a seconda delle sedi in cui si discute.

Il governo Prodi ha pagato la sua supponenza e la sua scarsa adesione alla realtà. Secondo uno schema piuttosto astratto, non aveva esitato a usare la mano pesante verso la sua stessa base sociale nella prima fase della sua legislatura (vedi la Finanziaria e la continuità sulle scelte di politica estera) contando di recuperare consensi in una fase successiva.

1. Il governo lamenta oggi le defezioni di due senatori della sinistra ma non si era accorto di una defezione ed una ostilità popolare e di massa ben più pesante dentro la società. La contraddizione tra le aspettative maturate con la sconfitta di Berlusconi e le scelte concrete operate dal governo Prodi era dunque esplosa nel paese ancora prima che nelle aule parlamentari.

2. Ai senatori Rossi e Turigliatto va riconosciuto il merito della coerenza con gli obiettivi su cui il movimento contro la guerra è sceso in piazza in questi anni e nuovamente pochi giorni fa a Vicenza. Ad essi va riconosciuta anche la dignità di aver espresso una posizione politica chiara dentro l’avvilente opportunismo che ha caratterizza il ceto politico della sinistra di governo in questi mesi.

3. E’ altrettanto indubbio però che alla sconfitta del governo Prodi al Senato abbiano contribuito anche tre senatori a vita rappresentanti di lobbies consistenti e di strategie esplicite che puntano allo spostamento in senso centrista del governo, inglobando nuove forze moderate che corrispondano meglio alla priorità degli interessi dei poteri forti (dalla Confindustria alla NATO, dalle banche al Vaticano) dentro le scelte del governo.

Le soluzioni che si prospettano risentiranno più di questo secondo fattore che del primo. Il governo del centro-sinistra se vorrà rimanere in piedi (e questo chiedono i poteri forti) dovrà spostarsi su posizioni ancora più moderate e conservatrici sul piano economico, sociale, internazionale e sui diritti civili. Colpisce, in tal senso, la subalternità di Rifondazione Comunista a questo scenario e la fragilità del PdCI, che appaiono oggi più impegnati nel linciaggio politico e umano di due coerenti senatori della sinistra piuttosto che dalla ragnatela che li sta logorando dall’esterno e anche dall’interno. L’altra soluzione è quella di un governo di unità nazionale che faccia la riforma elettorale e convochi nuove elezioni, in pratica un suicidio per il centro-sinistra e la vittoria degli spiriti animali liberticidi ormai vaganti nel paese.

Ma dentro questo imbuto ci siamo arrivati anche per responsabilità dei partiti della sinistra di governo che hanno operato scelte concrete – coscientemente o meno e non per questo ne possono essere assolti – di subalternità al nucleo duro della maggioranza di governo e che oggi si vedono costretti a pagare tutte le cambiali in bianco sottoscritte con Prodi, inclusa quella che ha portato Bertinotti a fare il Presidente della Camera.

Non possiamo nasconderci che lo scenario sarà comunque rognoso. Ma ci preoccupa rovesciare tale scenario più all’interno della società – tra i lavoratori, nei movimenti sociali, nelle periferie metropolitane – piuttosto che negli scranni di un Parlamento che votando comunque una nuova legge elettorale maggioritaria tenterà di metterà fine ad ogni libera espressione democratica sul piano elettivo.

22 febbraio

La Rete dei Comunisti

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