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    Solidarietà ai compagni Rossi e Turigliatto.

    (22 Febbraio 2007)

    Decidere di intervenire in Afganistan ed accettare che la missione di guerra comunque prosegua è la stessa cosa. Ma non è soltanto una questione militare o politica ma è anche etica.

    Sui problemi etici, da sempre, si riconosce la libertà di coscienza. Di recente tale libertà è stata rivendicata all’interno dell’Unione a proposito dei DICO e da più tempo essa viene riconosciuta e praticata ,con l’obiezione, negli ospedali per quanto riguarda l’aborto.

    A sostegno della libertà di coscienza in ambito politico sta l’art. 67 della Costituzione che recita “ ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. E non per niente la nostra Costituzione è considerata “rigida”.

    Per questo intendo innanzi tutto esprimere solidarietà ai senatori Rossi e Turigliatto che hanno fatto uso di tale diritto costituzionalmente garantito. Non c’è ragione alcuna , perciò, che questi compagni abbandonino il parlamento. Mi auguro che non commettano questo errore. Nel momento in cui un presidente della repubblica si permette di definire il popolo che manifesta con il termine spregiativo di “piazza” e negare che anche questi movimenti rappresentino “il sale della democrazia”, è bene che alla camera ed al senato ci sia chi da voce alle istanze di questo popolo e di questi movimenti.

    In ciò che è accaduto in di queste ore e nella canea che è stata montata contro i due “reprobi”, rei di lesa maestà, rivedo gli avvenimenti che nel 1998 portarono alla caduta ( per un solo voto) del primo governo Prodi. Allora il “reprobo” furono Bertinotti e Rifondazione comunista che oggi, invece, stanno dall’altra parte ed usano il medesimo linguaggio che l’Ulivo usò nei loro confronti.

    Adesso, come nei giorni scorsi secondo una scaletta predeterminata, tutto ruota attorno al quadro politico e non c’è riflessione alcuna sul merito delle cose, cosa che invece dovrebbe essere fatta per evitare che quanto si andrà a costruire in futuro, se sarà di centro-sinistra, non regga ancora sulle sabbie mobili.

    Il discorso di D’Alema al senato, al di là del linguaggio forbito, è stato nella sostanza una polpetta avvelenata. Che Rifondazione tutta, spentasi anche la voce degli ultimi comunisti rimasti in quel partito, sia stata disponibile a mangiarla, non ne cambia la natura.

    D’Alema ha parlato di discontinuità rispetto al precedente governo di centro-destra ma non ne ha dato prova convincente. A parte il ritiro dall’Iraq avvenuto soltanto un mese prima di quanto non fosse stato già stabilito dallo stesso governo Berlusconi e dopo tante e ripetute scuse agli Stati Uniti, sugli altri temi caldi di politica estera, forse sono diversi i comportamenti ma la sostanza non è minimamente cambiata. Non certamente sul medio-oriente dato che l’Italia sostiene e mantiene l’embargo nei confronti del legittimo governo palestinese e continua a fornire armi e tecnologie militari ad Israele;

    non ugualmente sull’Afganistan dove l’Italia rimane con duemila uomini non prioritariamente per costruire case, strade ed ospedali bensì per fare volenti o nolenti la guerra; non certamente attraverso il consenso all’ampliamento della base americana di Vicenza che servirà da avamposto delle truppe americane già impegnate in Afganistan o altrove secondo i piani della guerra preventiva. Nemmeno la missione in Libano convince ( semmai abbia del tutto convinto) da quando, interferendo negli affari interni di quello Stato, il governo italiano ha manifestato il suo appoggio al governo Seniora , riconosciuto unanimemente come governo filo-americano e filo-francese. Le scelte di contorno: la conferenza di pace ( ben sapendo che non verrà fatta o se fatta non approderà a nulla perché gli Usa e la Nato portano avanti esclusivamente l’opzione militare), le maggiori risorse destinate alla cooperazione, persino la decisione di non fornire ulteriori truppe ( ma aerei si!) e di allargare l’area dell’intervento, sono soltanto dei palliativi, oggettivamente interessanti, ma sostanzialmente ininfluenti ai fini della discontinuità vera che starebbe almeno in quella exit-strategy che il governo Prodi ha sempre rifiutato di prendere in considerazione.

    Quello che va rimproverato alla “sinistra radicale” ed al suo sostanziale fallimento in questa fase politica è quella di non affrontare apertamente ( come peraltro è avvenuto nel corso della stesura del programma) le questioni di fondo che, per quanto riguarda la politica internazionale, riguardano le alleanze, il modo con cui si sta nelle alleanze, i limiti ai limiti della sovranità nazionale e l’interesse generale del paese.

    Quando D’Alema dichiara che rifiutare l’ampliamento della base di Vicenza significa compiere un atto “ostile” agli Stati Uniti; quando Romano Prodi va in Bulgaria ( strana coincidenza con il precedente berlusconiano sulla Rai) per annunciare il consenso all’ampliamento; quando un ministro della difesa va in Parlamento ed afferma che non ci sono accordi per la base e dopo una settimana afferma il contrario senza peraltro produrre alcuna prova, quando nel programma di governo si parla esplicitamente di revisione-riduzione delle servitù militari e poi invece le si aumenta, senza moratoria alcuna, come nel caso di Vicenza , ciò significa che c’è qualcosa che non va davvero nel rapporto governo-cittadini tanto esaltato al momento delle primarie e delle elezioni.

    E’ difficile accettare l’affermazione che un accordo, internazionale o meno, assunto da un governo non possa essere revocato dal governo che segue. Se così davvero fosse avremmo dovuto far rimanere i nostri soldati in Iraq secondo i tempi stabiliti dal governo Berlusconi e per analogia dovremmo tenerci leggi come la legge 30, la Bossi-Fini, quelle ad personam ecc.ecc.. ( cosa che non è escluso che sia..).

    I dirigenti della “sinistra radicale” che fino a non tanti anni fa stavano in piazza con lo slogan “Fuori l’Italia dalla Nato e fuori la Nato dall’Italia” quando esisteva il Patto di Varsavia, dicano se hanno mutato opinione ora che il Patto di Varsavia non c’è più e la Nato da organizzazione di difesa si è trasformata in organizzazione di offesa e se sì per quali ragioni e con quali prospettive. Dicano se ritengono che gli interessi degli Usa siano davvero comuni agli interessi del popolo italiano così come viene detto e ripetuto dagli esponenti riformisti del governo Prodi e dallo stesso Presidente della Repubblica. E spieghino come sia possibile stare nel movimento che non vuole l’ampliamento della base americana, che vuole il ritiro delle truppe in Afganistan e poi andare in parlamento e votare per l’ampliamento della base e rifinanziare la parte militare di quella missione. Non si può stare con il piede in due staffe!

    C’è paura per un possibile ritorno di Berlusconi? E’ sicuramente una ragione da non sottovalutare ed un evento sicuramente da non augurarsi ma non può essere considerata così decisiva da accettare che, cambiati i suonatori, la musica continui ad essere sempre la stessa.

    I media di regime ( giornali e tv) individuano nella “sinistra radicale” la responsabile del difficile traghettamento di questi mesi del governo Prodi. Dicono che dai e dai la corda, per colpa loro, si è spezzata. L’atteggiamento remissivo di questi giorni, la difesa ad oltranza di Prodi ( “incondizionato appoggio” ha detto il segretario di Rifondazione) sembra avvallare questa tesi. A nessuno viene in mente che a tirare troppo la corda non siano stati coloro che stanno dall’altro capo della corda stessa: Margherita e DS ,azionisti di quel futuro partito democratico che è propedeutico ad una alleanza centrista cui si sta lavorando dall’indomani delle elezioni? Se così fosse, la remissività sarebbe un grave errore strategico che la stessa sinistra radicale pagherebbe cara.

    Lucio Costa - Cadoneghe (PD)

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