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L'angoscia dell'anguria

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(24 Luglio 2013) Enzo Apicella

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Crisi di governo e riallineamento sistemico

(26 Febbraio 2007)

In questo momento non siamo in grado di prevedere l'esito della campagna acquisti in corso al Senato della Repubblica (degna dei bei tempi del mitico “Gallia”: l'albergo milanese dove, negli anni'60, si contrattavano i passaggi di società dei calciatori) per reperire una qualsiasi maggioranza favorevole al governo Prodi: possiamo, però, provare a sviluppare una analisi più approfondita, e un poco controcorrente, rispetto a quelle circolanti sui giornali e nei comunicati delle direzioni dei partiti.

Con buona pace dei “senatori dissidenti”, dei leader movimentisti, dei sommovimenti interni alla sinistra critica, non è la loro la responsabilità della crisi; così come non è dei senatori a vita che hanno abbandonato il governo, dei transfughi alla De Gregorio, o degli oscillanti alla Pallaro.

Egualmente: gli oggetti del contendere non sono i DICO-PACS, la base di Vicenza, la missione in Afghanistan o quant'altro. Tanto meno i 12 punti del cosiddetto “Bignami” del muovo programma di governo.

In realtà è in corso da tempo un processo di “riallineamento sistemico” del quadro politico italiano, che prende le mosse dalle modificazioni nel rapporto economia/ politica a partire dalla metà degli anni '90, dal prevalere del concetto di governabilità su quello di rappresentanza (con quello che ciò ha comportato in materia di meccanismi elettorali e di funzionamento delle istituzioni): soprattutto, come ci è capitato di far notare in altre occasioni, si è profondamente modificato il rapporto tra struttura e sovrastruttura, portando l'insieme dell'attività politica ad essere – sostanzialmente – un'industria (ricordate le polemiche sul partito – azienda? Ebbene questo processo si è, più o meno, completato) e, di conseguenza, la logica nella gestione del potere ha assunto i tratti caratteristici dei, per così dire, “consigli d'amministrazione” e non certo di quelli tradizionali derivanti dalle assemblee elettive (in questo senso impallidiscono, o meglio risultano proprio di altra natura, termini aborriti: quali partitocrazia e consociativismo; vocaboli ormai scomparsi dal lessico abituale in uso alla scienza politica, dopo aver dominato la scena per qualche decennio).

Attorno a questi elementi di fondo è avvenuto l'adeguamento dei partiti di sinistra allo stato di cose correnti e, dunque, tutte le loro mosse non avvengono per opportunismo o, ancor peggio, per “tradimento del popolo”, ma in un ossequio ad una logica assunta da tempo, introiettata, metabolizzata culturalmente e già alla prova da tempo, almeno dall'adeguamento compiuto da Rifondazione Comunista alle logiche del maggioritario (poi ci furono scarti, impennate, bizze, anche per tenere assieme il più possibile anime diverse: ma la strada era stata tracciata).

Torniamo, quindi, alla crisi di governo e al “riallineamento sistemico”: la vera posta in gioco, l'effettivo elemento che segnerà un punto di svolta, sarà la formazione del Partito Democratico e gli equilibri che si produrranno al suo interno.

Badate bene: questi equilibri e la lotta in corso sono finalizzati alla costruzione di un centro di potere nella logica della “politica/struttura”, quindi si tratta del controllo di banche, della gestione dei grandi servizi pubblici (in una logica di privatizzazioni di stile ex-sovietico), di relazioni privilegiate con le grandi lobbies.

Ciò che si determinerà a quel livello poi assesterà tutto il resto: la Sinistra Europea, aggregando l'attuale opposizione nei DS e Rifondazione, parteciperà marginalmente a questo tipo di discorso, ricavandone vantaggi elettorali (che serviranno alla logica del “partito – azienda “ ricordiamolo sempre), senza preoccuparsi minimamente dei contenuti (anche perché, appunto, quelli che possono apparire come importanti contenuti programmatici, risultano del tutto ininfluenti attorno ai grandi nodi del contendere).

Nel centro – destra è in atto un processo analogo: paradossalmente con la progressiva marginalizzazione di Berlusconi (ricco di suo, inventore del “partito – azienda”, ma adesso più utile al centro – sinistra come spaventapasseri da presentare come bersaglio ai propri elettori, che alla propria parte politica) e le mosse di UDC e AN, che fra l'altro presentano – nelle loro logiche sostanziali – sempre più forti affinità con la Margherita e con parti dei DS (qui, dunque, la formazione del PD conterà anche sul piano degli equilibri politici).

In ultimo il tema della legge elettorale: nella situazione che ho cercato di presentare pare proprio che, al di là delle resistenze verbali, il bipolarismo non regge e non reggerà, non è più utile. Quindi, la previsione più probabile è quella di una svolta in “senso tedesco”.

Detto questo: che fare a sinistra?

Una questione deve essere chiara: il movimentismo non serve, non può essere il modello. Ci saranno momenti efficaci di dimostrazione in campo aperto, ma lo schema dei movimenti che premono sulla rappresentanza non è efficace; meno che mai quello che i movimenti si rapportano a partiti (e di conseguenza governi) “amici”.

Abbiamo individuato un preciso oggetto del contendere: quello di una idea della politica che torni “sovrastruttura”; o meglio di una soggettività politica che riprenda il marxismo, ne verifichi le contraddizioni, le adegui all'oggi, senza attardarsi nelle disamine relative agli errori del '900 (soprattutto quelli legati ai tentativi di inveramento statuale).

Attorno a questo elemento servirebbe un forte impegno che potrebbe venire da più versanti soprattutto sul piano della ricerca teorica: contemporaneamente però si aprono spazi sul terreno di una “contropolitica” immediata che proponga una opposizione di merito, per la quale esistono condizioni sicuramente importanti nella situazione attuale.

Servono, per perseguire entrambi gli obiettivi, soggettività adeguate: ebbene, questo è il punto sul quale avviare una ricerca concreta, di raccolta di forze che appare quanto mai urgente.

Savona, li 25 Febbraio 2007

Franco Astengo

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