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Fiat... prendi i soldi e scappa

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(7 Febbraio 2010) Enzo Apicella
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Operaie cinesi “importate” in Romania per cucire Benetton e Prada

(5 Marzo 2007)

Dopo le navi officina e le aste al ribasso nel napoletano, questa è l’ultima delle notizie shock.

La Wear company è un’azienda di confezione d’abbigliamento partecipata da capitali italiani con sede a Bacau, città a nord-est di Bucarest, che produce per conto di Benetton e Prada.

A corto di manodopera specializzata, nel 2006 ha cominciato ad attingere personale dalla Cina, attraverso canali sui quali le autorità rumene stanno indagando.

Oggi le operaie cinesi che lavorano per la Wear company sono circa 400, le prime ad essere impiegate legalmente in Romania, ma non sono affatto contente del trattamento che hanno trovato, e sono scese in sciopero.
Guadagnano 350 dollari al mese, ma ne chiedono il doppio per poter vivere e mandare soldi a casa.
Hanno pagato 5 mila dollari ciascuna a un intermediario cinese per assicurarsi il posto e ogni mese devono restituire una parte del debito, e gli interessi alle agenzie di collocamento in patria.
Vivono in isolamento assoluto, anche a causa della lingua, – ha raccontato ai giornalisti un’operaia - e da un anno combattono con i morsi della fame per via della scarsità e della cattiva qualità del cibo.

Il direttore della Wear company, Sorin Nicolescu, sostiene che le retribuzioni sono in linea con la media rumena e raddoppiarle sarebbe impensabile, pena il fallimento.
Si ripromette nuove assunzioni, ma questa volta da un’altra regione cinese. Intanto alcune operaie hanno deciso di tornare in Cina; in un centinaio, invece, si sono rimesse al lavoro per paura di ritorsioni.
La maggior parte, però, è ancora in sciopero.

La Romania è un paese sempre meno attraente per gli investitori del tessile (vedi Cotonella nella rubrica “Dal mondo delle imprese”, Newsletter n. 1/07). Il costo del lavoro è aumentato, la manodopera scarseggia attratta da migliori condizioni di lavoro nell’Europa dell’ovest, la saturazione del settore comincia a farsi sentire.
Ma nessuno avrebbe immaginato soluzioni tanto “creative”.
La Clean clothes campaign sta seguendo il caso.

(Fonte: BBC news, 25.1.2007; Clean clothes campaign)

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