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Fausto Bertinotti. Ovvero, la politica, lo spettacolo, il trasformismo.

Dalle ovazioni di Porto Alegre ai fischi della Sapienza

(31 Marzo 2007)

“Per il presidente della Camera sta giungendo il tempo di lasciarsi alle spalle anche Rifondazione Comunista e di tentare una esperienza politicamente più significativa: una grande sinistra che alle politiche si allei con il più moderato Partito Democratico:” Cosi il Corriere della Sera del 19 marzo scorso, commenta, con perfetta cognizione di causa, l’ultimo escamotage politico scelto da Bertinotti per uscire definitivamente dal comunismo storicamente conosciuto.

Il giorno prima, in una intervista al Messaggero, Franco Giordano, segretario in seconda di Rifondazione, ha persino resa nota la tabella di marcia di questa ennesima svolta del suo tutore politico: “A giugno terremo l’assemblea fondativa della Sinistra europea. Un processo costituente è già avviato. La nascita vera e propria del nuovo soggetto penso possa avvenire entro l’anno prossimo, a prescindere dalle scadenze elettorali”.

La procedura seguita non è nuova e appartiene allo stile profondamente “innovativo” cui ci ha abituato da tempo l’ambizioso Fausto. Quando propone un cambio di linea lo fa con l’assoluta certezza che il suo pensiero possa resistere ad ogni dubbio scettico: “cogito ergo sum”. Dunque non perde tempo nel chiedere pareri e consigli, nemmeno al suo più stretto entourage. Lui comunica, punto e basta. Nessuna delle sue svolte è mai stata sottoposta ad una preventiva e seria discussione congressuale, come si usava nel lontano 20° secolo d.c. nel movimento comunista. Per sapere cosa è stato aggiunto o tolto dal repertorio politico e ideologico di Rifondazione, o quanti mesi di vita rimangano al Partito, non è necessario comprare Liberazione, basta schiacciare il telecomando o comprare il Corriere o la Repubblica.

Pur sempre affascinati dai preziosismi semantici e dal delicato linguaggio impressionistico con il quale Fausto Bertinotti cerca di stupire qualsiasi uditorio, non è difficile cogliere in questa sua ultima svolta lo stile acrobatico con cui l’ex (?) segretario di Rifondazione ha sempre cercato, come un abile giocatore di poker, di eludere con un rilancio gli esiti fallimentari delle sue eclettiche iniziative. Anche la penultima delle sue svolte a destra, (la non brillante riuscita dell’operazione “Sinistra europea sezione italiana”), lo costringe ad alzare ancor più l’asticella delle sue ambizioni personali. Ha capito che restare in mezzo al guado, tra il comunismo ripudiato e il Partito socialista europeo, non conviene. La congiuntura è favorevole. La nascita del PD, l’uscita del Correntone dai DS è un’occasione da non perdere che renderà più agevole raggiungere la sponda protettiva dell’Internazionale socialista.

Le prove tecniche di questo ritorno sono già cominciate con la nascita della nuova rivista dal nome non equivoco: Alternativa socialista. Tutto sommato per Bertinotti, dopo anni di sofferta coabitazione con molti insopportabili vetero comunisti, si tratta di un ritorno alla vecchia casa madre. La soluzione di ricambio è stata ovviamente architettata da un gruppo selezionato del suo staff con l’assistenza tecnica di Achille Occhetto che di uscite (fallimentari) dal comunismo è uno che se ne intende. E così riappare, in versione bertinottiana, il dejavù che ci perseguita fin dall’epoca dello scioglimento del PCI. Il teatrino dell’assurdo si ripete: il leader politico che sta portando all’autodistruzione il suo partito, di cui è stato segretario per oltre un decennio presenta questa sua catarsi come una svolta geniale e creativa. E’ uno dei comici paradossi della politica italiana che, dalla Bolognina in poi, hanno cadenzato la discesa verso il basso della sinistra postcomunista. Da Occhetto a Fassino, da Cossutta a Bertinotti. La curva cartesiana che segna i risultati ottenuti da Bertinotti come segretario del PRC somiglia molto alla traiettoria di un missile terra-terra: parte da un 5,2% ottenuto alla Camera nel 1992, raggiunge l’apogeo con quasi l’8%, ricade, dopo 14 anni, al 5,4% nel 2006. Stando ai sondaggi di oggi avrebbe poco più del 4%.

Con un simile bilancio un qualsiasi manager sarebbe licenziato in tronco. Bertinotti invece no. Anzi, il suo trasferimento da segretario del PRC all’ambita poltrona di Presidente della Camera è stato una sorta di trattamento di fine rapporto, sontuoso e gratificante. E ora ci riprova con un nuovo partito.

Il percorso è stato lungo, faticoso, talvolta complicato e spesso incomprensibile ai comuni mortali. Dalle farneticanti previsioni a Porto Alegre che indicavano nei Social Forum il motore di una possibile rivoluzione mondiale antiliberista, al completo appiattimento ipergovernista di oggi. Da fervente ammiratore della guerriglia zapatista ad aedo apologetico di Romano Prodi.

Il bertinottismo non è solo espressione di un “fregolismo” trasferito dal palcoscenico del varietà a quello della politica. Esiste ovviamente anche una componente narcisistica ed egocentrica che conferisce al personaggio la non comune abilità di farsi scritturare stabilmente dalla TV e di sapersi mantenere in bilico sulla border line che separa la politica dallo spettacolo. Ma non si tratta solo di questo. La sua capacità di padroneggiare come pochi affabulatori gli spazi mediatici gli ha consentito di supportare ogni sua mutevole scelta politica – e sappiamo quanto frequenti siano state queste mutazioni – con spregiudicate incursioni liquidatorie nella storia del comunismo e con sistematiche demolizioni dei personaggi che l’hanno teorizzata e costruita. Senza sconti per nessuno: da Marx a Lenin, da Gramsci a Togliatti, da Mao a Ho Ci Minh a Fidel. Bertinotti è uno dei pochi ex che può ben dire “missione compiuta”. Al suo confronto l’astuto pifferaio di Andersen appare un modesto dilettante.

Ha fatto e sta facendo tutto con molta abilità alternando colpi di clava a raffinatezze polemiche, dichiarando e smentendo, rompendo e ricucendo rapporti personali, alternando tolleranza a insofferenza repressiva, costruendo intorno a sé un piccolo apparato di sostegno di fedelissime guardie del corpo ansiose di fare carriera.

Sebbene il suo “neocomunismo” sia stato giudicato folkloristico da Romano Prodi, perciò inoffensivo, non ha esitato a mostrare i denti contro i suoi oppositori interni.

E qualche volta, abbandonato il suo far play, gli è capitato di perdere le staffe dimenticando i buoni consigli di un grande scrittore; “Quando un cattivo si traveste da buono è un pericolo, ma quando un buono si traveste da cattivo è solo un pirla”.

Ma si sa, nessuno è perfetto. E così anche i “buoni”, “tolleranti” dirigenti del Prc hanno finito per riscoprire, fuori tempo massimo, antiche pratiche ormai abbandonate anche dal Partito comunista della Mongolia. Espulsioni, commissariamenti di federazioni, licenziamenti in tronco, censure. Tutte misure che – ahi! ahi! – rischiano di essere seppellite da una risata assassina come fa Woody Allen, nel film Manhattan, contro la corte maccartista che lo sta giudicando.

Non si può comunque negare che il personaggio disponga delle qualità necessarie per meritarsi un posto di assoluto rilievo nella galleria dei grandi comunicatori.

Jaques Chirac, che sicuramente è un grande comunicatore, è stato definito da Canard Enchainè un grande della politica non solo perché recita in video come un consumato attore della Commedie Francaise, ma perché è capace, mentre abbraccia e bacia in pubblico un bambino, di fregargli dalle tasche le caramelle che gli ha appena regalato. Bertinotti, fatte le debite proporzioni, appartiene a questa nobile razza. Ed è questa sua istrionica versatilità che lo ha sicuramente premiato. Pur di apparire davanti ad una telecamera è capace di provarci con il baseball, lo scintoismo, la cucina vegetariana. Titolare, come ci ha raccontato Riccardo Iacona su RAI 3, di una robusta denuncia IRPEF che lo protegge da presenti e future precarietà economiche, possiede anche una straordinaria e poliedrica cultura che gli permette di dissertare con chiunque e dovunque di qualsiasi argomento, da Pasolini a Toqueville, dalle astronavi ai tostapane. Si è esibito senza tabù davanti a qualsiasi platea, i banchieri della City di Londra, nel salotto di donna Almirante, negli sciccosi saloni di Cernobbio del banchiere Ambrosetti, davanti ai giovani neofascisti di AN e, in qualche rara occasione, persino davanti ai cancelli della FIAT, ricevendo sempre convinti applausi. Ma è proprio questo che fa sorgere qualche dubbio sulla coerenza politica e ideale di Fausto Bertinotti.

Con tutto il rispetto e senza offesa per nessuno, c’è qualcuno capace di spiegarci cosa c’entri il comunismo con un simile personaggio?

Sergio Ricaldone

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