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Israele non vuole la pace

(13 Aprile 2007)

Il momento della verita' e' arrivato e va detto: Israele non vuole la pace. L'arsenale di scuse e' finito, il coro di rifiuto suona ormai a vuoto. Fino a poco tempo fa era ancora possibile accettare il ritornello del "non abbiamo un interlocutore" per la pace e del " non e' ancora tempo" di negoziare con i nemici. Oggi, la nuova realta' di fronte ai nostri occhi non lascia spazio a dubbi e lo stancante ritornello " Israele e' per la pace" e' caduto in frantumi.

E' difficile determinare quando c'e' stata la rottura. E' stato l'assoluto rigetto dell'iniziativa saudita? Il rifiuto di riconoscere quella siriana? Le interviste di Pasqua del primo ministro Olmert? La ripulsione alle dichiarazioni rilasciate a Damasco da Nancy Pelosi, la portavoce della camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, che presumevano che Israele fosse pronto a rinnovare il dialogo di pace con la Siria?

In Israele intere generazioni sono state svezzate nell'illusione e nell'incertezza della possibilita' di realizzare la pace con i nostri vicini. Nei nostri giorni piu' verdi, David Ben-Gurion ci diceva che avrebbe portato la pace, se solo gli fosse data la possibilita' di incontrare i capi arabi. Israele ha chiesto negoziazioni dirette per una questione di principio e gli israeliani ne hanno tratto grande orgoglio per il fatto che il loro quotidiano impegno per la pace celava le piu' alte ambizioni dello Stato. Ci era stato detto che non c'erano interlocutori per la pace e che la piu' grande ambizione degli arabi era di distruggerci. Abbiamo bruciato i ritratti del "tiranno egizio" nei nostri falo' del trentatreesimo giorno dell'Omer ed eravamo convinti che tutte le colpe per la mancanza di pace erano dei nostri nemici.

Dopo arrivo' l'occupazione, seguita dal terrorismo, Yasser Arafat, il secondo summit di Camp David fallito e l'ascesa di Hamas al potere, ed eravamo sicuri, sempre sicuri, che era tutta colpa loro. Neppure nei nostri sogni piu' feroci avremmo potuto credere che sarebbe venuto il giorno in cui l'intero mondo arabo ci avesse teso la mano in segno di pace e che Israele avrebbe voltato le spalle al gesto. Sarebbe stato ancora piu' pazzesco immaginare che Israele si tirasse indietro adducendo come scusa quella di non volere fare arrabbiare l'opinione pubblica domestica.

Il mondo e' stato capovolto ed ora e' Israele che sta in prima linea nel rifiuto. Quella che era la politica di rifiuto di pochi, una avanguardia degli estremisti, e' ora diventata la politica ufficiale di Gerusalemme. Nelle sue interviste di Pasqua, Olmert ci ha detto che " i palestinesi sono di fronte al bivio di una decisione storica ", ma la gente ha smesso di prenderlo sul serio da tempo. La decisione storica e' nostra e siamo noi che stiamo scappando dal bivio e da queste iniziative, come dalla morte stessa.

Il terrorismo, usato da Israele come l'ultima scusa per il suo rifiuto, serve solo ad Olmert per fargli recitare, ad nauseum, "Se i palestinesi non cambiano, non combattono il terrorismo e non ottemperano a nessuno dei loro obblighi, allora non usciranno mai dal loro perenne caos". Come se i palestinesi non avessero preso dei provvedimenti contro il terrorismo, come se fosse Israele a dovere determinare quali sono i loro obblighi, come se Israele non fosse responsabile per il perenne caos che soffrono i palestinesi sotto occupazione.
Israele considera importante fissare prerequisiti e credere di averne l'esclusivo diritto. Ma il tempo passa e Israele continua a evitare il piu' basilare dei prerequisiti per una pace giusta, quello di porre fine all'occupazione. Di tutte le domande fatte durante le interviste di Pasqua, nessuno si e' disturbato di chiedere a Olmert perche' non ha reagito con entusiasmo alla recente iniziativa araba, senza precondizioni. La risposta e' una: il controllo delle colonie.

Non e' solo Olmert che fa resistenza. Una figura di primo piano del Labour party ha detto la scorsa settimana che " ci vorranno da cinque a dieci anni per riprendersi dal trauma ". Ora la pace e' niente di piu' che una minacciosa ferita, e nessuno che ne parli ancora in termini di benefici sociali di massa che essa apporterebbe allo sviluppo, alla sicurezza e alla liberta' di movimento nella regione e nell'istituire una societa' piu' giusta.

Come una piccola Svizzera, oggi ci stiamo concentrando piu' sul tasso di cambio del dollaro e sulle dichiarazioni di malversazione sollevate contro il Ministro delle Finanze che sulle fatidiche opportunita' che svaniscono ai nostri occhi prima di riconoscerle tali.

Mai abbiamo mai avuto un'opportunita' come questa. Anche se non e' sicuro che le iniziative siano davvero solide e credibili, o che siano basate sull'inganno, nessuno ha fatto un passo avanti per sfidarle ne' tanto meno riconoscerle. Quando Olmert sara' un nonno anziano, che cosa dira' ai suoi nipoti? Che ha fatto di tutto in nome della pace? Cosa diranno i suoi nipoti?

(Traduzione di Nicola Flamigni)

Gideon Levy

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