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Eric Hobsbawm

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Tra elezioni francesi e Partito Democratico

(10 Maggio 2007)

Esiste un nesso tra l'esito delle elezioni francesi e la formazione del Partito Democratico in Italia?

Naturalmente il sistema politico d'oltralpe è molto diverso dal nostro, così come le complessive situazioni sociali, eppure – correndo il rischio del massimo della semplificazione – un elemento comune, assolutamente decisivo, lo si registra: l'esito delle elezioni francesi e la formazione del Partito Democratico rappresentano, egualmente, uno spostamento complessivo a destra del quadro politico, cui la sinistra risponde in maniera subalterna.

Il Partito Socialista Francese infatti si divide fra chi intende rincorrere il centro, ripercorrendo in una certa misura l'itinerario italiano, e chi si arrocca sulla tradizione, evitando una risposta complessiva all'attacco sferrato dall'avversario ed ignorando le forti contraddizioni emergenti al proprio interno, in particolare sulla questione europea.

In Italia, alla formazione del Partito Democratico che avviene tra veleni correntizi, personalistici, di gruppo, in un quadro complessivo del tutto “grigio” rispetto ai contenuti, si risponde confusamente, attraverso “convention” nelle quali si agita la bandiera dell'unità della sinistra, senza – anche in questo caso – definirne contenuti e linee, tra proposte di approdo meramente nominalistiche come quelle relative al Partito Socialista Europeo o alla Sinistra Europea (un modo elegante quest'ultimo, per indicare una ulteriore svolta di Rifondazione Comunista).

In realtà la subalternità e la confusione di queste risposte all'attacco della destra derivano da un limite culturale di fondo, che accomuna le sinistre, più o meno riformiste o più o meno radicali in Italia come in Francia (ed in altri paesi europei).

E' fin qui mancata una analisi compiuta sul mutamento avvenuto nelle forme del capitalismo nel corso di questi ultimi anni: ci si è limitati ad accenni alla “globalizzazione”, senza andare a vedere come – in questa parte del mondo – si stia uscendo da una precisa forma dell'era industriale, non soltanto attraverso il meccanismo della finanziarizzazione dell'economia (anche questo un vecchio arnese dei ceti dominanti, oggi reso soltanto più immediato e distruttivo dall'uso delle nuove tecnologie) ma attraverso una drastica concentrazione del know- how tecnologico, che ha portato una progressiva marginalizzazione (anche geografica) della produzione industriale ridotto ai grandi mercati “compradori” dell'Oriente ( e qui sta il nocciolo dello scontro con i nuovi regimi “socialisti” del Sud America) e dei beni di servizio, in Occidente.

Insomma: non è nemmeno più questione di controllo di materie prime o di “esportazione di democrazia”.

Ripartire per sinistra deve voler dire due cose:

l'espressione di una assoluta vocazione “internazionalista” sul terreno della pace e del confronto fra le diverse aree del mondo. Prestando sì attenzione a tutte le soluzioni possibili per fermare la guerra, ma senza perdere di vista il reale gioco di interessi che si avviluppa attorno alle diverse crisi internazionali;

la ripresa di una identità politica fondata sulle reali condizioni materiali, sui concreti bisogni dei ceti subalterni, nella loro complessità ormai non riducibile alla centralità della contraddizione capitale/lavoro, ripartendo da questo punto per recuperare le concrete scaturigini della possibile attualità del conflitto di classe.

Su queste basi, in Italia come in Francia, l'alternativa politica della sinistra si colloca ben al di fuori dalle “compatibilità governiste”.

Savona, li 9 Maggio 2007

Franco Astengo

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