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(13 Agosto 2011) Enzo Apicella
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Cuba, si salvi chi può… lettera al giornale Liberazione

(2 Giugno 2007)

Se lo lasci dire, caro direttore,
che con un giornale al minimo della fogliazione, con tirature paragonabili ai giornalini di quartiere e con notizie spesso in ritardo rispetto anche al del tam tam della rete, permettersi il lusso di mandare un’inviata a La Habana per un reportage di una intera pagina, dove si rimarca che Cuba non è il paradiso, ma invece un paese dove esistono più ragioni per non credere più alla società socialista che quelle per cui crederci ancora, per disilludere i nostri giovani sul mito dell’uomo nuovo proposto dal Che e per troncare ogni possibile idea che un altro mondo è possibile…

Non è certamente una grande iniziativa politica e anche non mi sembra, giornalisticamente parlando una grande idea, visto e considerato che già lo fanno, e da parecchio tempo, il 98% dei giornali e delle agenzie italiane.

Di come sia difficile vivere a Cuba lo sappiamo tutti, amici e nemici di Cuba, non lo nascondono nemmeno i cubani, che con la loro espressione “es una lucha” lo continuano a testimoniare giornalmente, nel fare la spesa, nel cercare di sistemare il loro alloggio, nel trasporto per andare al lavoro, per la carenza di mille cose, la voglia di partire, ecc.

Non c’è bisogno di inviare nessuno, lo hanno già raccontato in tutte le salse e lo riscontriamo in molti altri paesi dove non esiste il socialismo.

Invece di raccontarci, ancora una volta, scelte e idee personali di alcuni giovani cubani, non sarebbe meglio far conoscere ai lettori di come un paese affronta le problematiche dettate dal neoliberismo e da un embargo economico da più di 45 anni? Non sarebbe meglio raccontare che i giovani tagliatori di canna, con il riordino della produzione di zucchero e la chiusura del 50% delle Centrali (zuccherifici), invece di essere cacciati sulla strada hanno trovato un salario frequentando scuole di specializzazione agraria e tecniche sulla lavorazione dei surrogati dello zucchero (cose da pazzi!) e che alla fine la resa produttiva è aumentata sia in temine di zucchero che di energia? O raccontare di quei giovani che abbandonato lo studio, sono stati avvicinati da altri giovani, operatori sociali, e stimolati a riprendere gli studi con un salario quasi pari ad un professore? E di quelle migliaia di giovani che partono per missioni internazionaliste e, udite udite, ritornano a fronte di qualcuno che invece "evade" e che l'inviata non riesce a trovarne stime?(basta chiedere a Miami).

Perchè trattare con superficialità indegna il tema dei cinque agenti cubani (si parla di terrorismo, di vittime...).

Davvero si vuole raccontare che la vera causa del problema casa a Cuba sono i soppalchi? (mostriamo invece il nuovo piano delle costruzioni rilanciato dopo aver ripreso la produzione di cemento e del materiale edilizio, con grande ricerca nella bioedilizia e nell'energia pulita), Parliamo dell’emigrazione dei giovani, foraggiato attraverso le scandalose politiche migratorie degli USA, (con conseguente furto di specialisti e atleti quasi a costo zero) e del mito del consumismo..

Persino sulla “vergine miracolosa”, credenza pre rivoluzionaria sul modello “Giulietta e Romeo”, la nostra Angela riesce a trovarne punti di dissenso e critica alla rivoluzione.

Tra le molte imprecisioni dell’articolo quella che più mi ferisce è l’affermazione su Giustino Di Celmo, che conosco personalmente. Lui non è andato ad abitare a Cuba, ci abitava già da molto tempo, non è un testimonial del regime, ha solamente giurato di battersi fino alla morte per ottenere giustizia per suo figlio, e Cuba, a differenza dell'Italia, gli ha dato spazio in questa battaglia comune, ma sembra che questo dia fastidio al nostro giornale e alla sua inviata. Che senso ha denigrarlo, invece di appoggiarlo nella sua sacrosanta richiesta di estradizione di Posada Carriles.

Per ultimo e per la precisione, a Cuba si possono aprire i ristoranti privati, alcuni sono gestiti dalla comunità cinese (nel barrio cino), altri dalle varie associazioni di origine spagnole (galleghi, valenciani, ecc.) o da centri culturali. Molti altri sono a gestione familiare denominati “paladar”, se ne trovano ovunque e, cara Angela, da brava inviata dovresti saperlo, questi paladar non possono avere più di 12 posti (limitazione del regime). Avrai quindi notato che la Pizzeria Fabio è molto più grande: nemmeno al nostro caro Giustino è stato permesso trasgredire una legge cubana, infatti è un locale della catena Rumbos, a partecipazione minoritaria straniera, e nel caso della pizzeria il socio minoritario è proprio Giustino.

Censurate pure se volete, io comunque la invio a tutti i nostri parlamentari, senatori, sezioni, circoli e associazioni.

Paolo Rossignoli
Edizioni Achab
http://www.edizioni-achab.it

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