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No alla deriva socialdemocratica, salviamo il Prc e la sua autonomia

Contributo alla conferenza d’organizzazione 2007 della segreteria provinciale del PRC della federazione di Vicenza.

(17 Marzo 2007)

LA CONFERENZA D’ORGANIZZAZIONE : UN’OCCASIONE PERSA
“premessa sul regolamento della conferenza”


La conferenza d’organizzazione poteva essere un’occasione per ridare slancio al partito in un momento in cui le sue difficoltà sono evidenti. Essa poteva offrire la possibilità di riaprire un confronto interno ispirato ad una vera tensione unitaria, poteva permettere di operare un riaggiustamento della linea politica per ricostruire una connessione con i soggetti sociali e con i movimenti, per tentare di ridare al partito quel ruolo antagonista e alternativo nella società italiana che, in larga misura, oggi sta ormai perdendo.

Il regolamento della conferenza esaspera proprio quelle pulsioni correntizie che a parole , nel documento di maggioranza, si dice di voler evitare. Esso infatti, modificato strumentalmente all’ultima ora, impone ai membri di ogni Comitato federale di aderire preventivamente all’ uno o all’altro dei documenti di “corrente” presentati al CPN scorso, frustrando in partenza ogni propensione alla discussione libera e trasversale, costringendo i compagni ad un allineamento preventivo ai vertici di questa o quella componente nazionale.

Il vizio d’origine è stato quello di voler imporre un documento di maggioranza sostanzialmente chiuso, tutto impostato in funzione del progetto di costruzione della Sinistra Europea e totalmente elusivo della crisi di consenso del governo Prodi rispetto al popolo di sinistra e ai lavoratori. Sarebbe stato molto più ragionevole aprire una discussione seria sulla base di un documento aperto, costruito con il contributo di tutte le sensibilità presenti nel partito.

In questo modo si sarebbe incoraggiato ogni iscritto, a partire dai circoli, ad affrontare una discussione non precostituita, a partire da un testo-base di discussione (emendabile) elaborato unitariamente da maggioranza e minoranze (e quindi da tutto il partito). La Segreteria ha invece respinto la proposta delle minoranze di costruire insieme un testo, ovviamente aperto e problematico, che fosse base di discussione e che consentisse un confronto trasversale sullo stato del partito, sul suo radicamento sociale: problemi di tutti, al di là delle mozioni congressuali.

In merito al regolamento approvato denunciamo il fatto che la platea nazionale sia già stata predeterminata, nella sua composizione, dalle percentuali di voto ottenute all’ultimo CPN dai diversi documenti. Il documento di maggioranza, nelle varie Conferenze di federazione, potrebbe addirittura essere messo in minoranza , o comunque percentualmente ridimensionato e , alla conclusione nazionale della Conferenza d’organizzazione (aprile 2007) nulla cambierebbe!!. Ma non si era abbandonato lo Stalinismo ?

La nostra federazione prende atto altresì che una maggioranza (peraltro assai ristretta) del gruppo dirigente nazionale di “Essere Comunisti” ha deciso di non presentare un documento alternativo bensì degli emendamenti. Pur condividendone i contenuti riteniamo che essi non siano esaurienti per la discussione in atto nel Partito. A nostro avviso il documento di maggioranza contiene in sé delle opzioni politiche che riteniamo oggi, come le ritenevamo all’ultimo congresso di Venezia, del tutto inaccettabili.

Restano prioritari per la nostra federazione alcuni obbiettivi fondamentali : salvare il PRC dalla deriva verticistica ed antidemocratica della propria vita politica interna e dalla deriva socialdemocratica ormai del tutto evidente.

Per questo motivo, proseguiremo con il nostro percorso politico e ci prepariamo ad affrontare il prossimo congresso del 2008 assieme a tutti quei compagni che riterranno opportuno tener fede ai principi ispiratori della Rifondazione Comunista, opponendosi pertanto alla deriva – in atto da anni – del Partito causata dalla linea politica di maggioranza.

Per quanto riguarda la Conferenza di organizzazione, dobbiamo comunque, costretti dal regolamento nazionale e al solo scopo di non farci escludere dalla discussione in atto, dichiarare l’adesione al documento di maggioranza, così come modificato dagli emendamenti presentati dall’Area Essere Comunisti

CRISI DELLO STATO DEL PRC
“Strettamente correlato con la crisi della politica ? No, non solo !”


Affrontare seriamente la questione della crisi del partito significa, in primo luogo, fare un discorso di verità. E’ grave e per certi versi inconcepibile che il documento di maggioranza, dopo tanto parlare di “centralità dell’inchiesta”, non fornisca un solo dato sul numero di iscritti e sulle variazioni degli ultimi anni; sulla loro composizione sociale, generazionale e di genere; sul numero, dimensioni e stato dei circoli territoriali e di lavoro, ecc. Ovvero sulla radiografia concreta, precisa della nostra organizzazione.

Non giova alla soluzione dei problemi omettere la natura della crisi o attribuirne l’origine a fattori esterni. Questi esistono naturalmente. La crisi della politica è un fenomeno che investe anche altre organizzazioni e, a sua volta, essa discende da fattori generali, attinenti alla fase, ma ciò non toglie che nell’attuale situazione esistano responsabilità specifiche che vanno ricercate nelle scelte compiute in questi anni, oltre che nel modello organizzativo applicato. Un gruppo dirigente responsabile deve avere il coraggio di affrontare a viso aperto i limiti della propria azione. Questi limiti risiedono, in primo luogo, in scelte politiche approssimative, spesso sbagliate. Il patrimonio di Rifondazione comunista era, fino alla metà degli anni ’90, assai consistente, con una influenza elettorale proiettata verso il 10% ed una capacità di mobilitazione che trovava conferma ogni anno in manifestazioni nazionali di partito con 100-200.000 persone. Questo patrimonio si è andato progressivamente ridimensionando. Certamente la scissione subita nel ’98 ha fortemente penalizzato il partito, ma ciò non toglie che le scelte successive abbiano contribuito pesantemente a non far ridecollare il Partito sia in termini elettorali ( dato stabilizzato attorno al 5-6 % ) sia in termini di iscritti. In merito dello stato di salute del PRC va evidenziata inoltre una vera e propria crisi di militanza. Gran parte dei circoli di base esiste solo sulla carta e vive in condizioni di coma profondo. Il turnover degli iscritti, entrati e usciti dal Prc dalla fondazione a oggi, ha ormai superato la cifra astronomica del mezzo milione : il che, su un partito di circa 80.000 iscritti, segnala un indice preoccupante di instabilità politica, organizzativa, identitaria.

A questo quadro non si sottrae nemmeno la nostra regione Veneto : i circoli di numerose federazioni esistono ormai solo sulla carta e le lotte clandestine interne alla stessa maggioranza hanno ridotto il Partito in Veneto ad una vera e propria “clack”. Basti pensare che, ad oggi, la federazione di Venezia non ha ancora risolto una situazione a dir poco imbarazzante ove è in atto, da mesi, una autentica guerra per bande (tutta interna alla maggioranza). I contrasti tra i gruppi di maggioranza hanno da tempo portato addirittura alla scomparsa di una direzione regionale degna di questo nome.

Sulla crisi del PRC riteniamo esistere pure dei problemi di natura strettamente politica :

1. CRISI DI IDENTITA’ : la Sinistra Europea, per una fascia crescente di militanti, è un progetto che rischia di mettere in discussione l’autonomia e l’identità comunista di RC. Non è ben chiaro inoltre, e la mancanza di chiarezza anche in questa conferenza d’organizzazione aumenta i nostri dubbi , se questo progetto sia finalizzato alla costruzione di un soggetto che abbia come obbiettivo l’alternativa di società o la socialdemocrazia.

2. CRISI POLITICA legata alla delusione dell’esperienza del governo Prodi. Le aspettative e le illusioni diffuse all’indomani della vittoria elettorale sono state fin qui pesantemente disattese. La linea che sta emergendo da questo esecutivo, a prescindere da ciò che sostengono mass-media e Confindustria, è a dir poco moderata e neo- centrista. Numerosi punti “qualificanti” del programma vengono giornalmente disattesi dai comportamenti concreti di questo governo. In questi giorni, nel mentre ci accingiamo a scrivere questo documento in vista della conferenza di organizzazione, il governo Prodi ha dato il via libera al progetto “DAL MOLIN” di Vicenza. Oggi, su tutti i giornali, le numerose forze del movimento ci chiedono a gran voce di uscire da questo governo di “GUERRA” oppure di uscire dal movimento stesso. Se aggiungiamo a questo gravissimo episodio il fatto che non più tardi di qualche mese fa abbiamo prolungato la missione in Afghanistan, inviato truppe in Libano e conseguentemente accettato l’aumento della spese militari in finanziaria, dobbiamo per forza dedurre che il progetto del nostro Partito nel governo è ormai miseramente fallito. Noi che al congresso ci siamo schierati contro un’idea astratta e idealistica della non-violenza sempre e comunque, ci chiediamo come possano conciliarsi scelte come la costruzione della più grande base USA dell’Europa sul nostro territorio, o la partecipazione dell’Italia alla guerra della NATO in Afghanistan, con la filosofia della non-violenza che ha riempito la vita e la cultura politica del PRC in questi ultimi anni.

Le dure contestazioni fatte al governo Prodi e ai sindacati dagli operai della Fiat di Mirafiori sono un segnale evidente che nemmeno sulla politiche del lavoro si è riusciti ad ottenere risultati credibili (come dimostra anche l’approvazione di una legge finanziaria assolutamente discutibile, per non dire altro). Nonostante dal vertice di Caserta non siano uscite decisioni, abbiamo buoni motivi per credere, e le dichiarazioni di DS e Margherita di questi giorni lo confermano, che non passerà molto tempo prima che questo governo metta mano alle pensioni. Poco o niente è stato fatto sul terreno della lotta alla precarietà. Potremmo continuare questa analisi parlando di PACS, di CPT ecc. ma preferiamo approfondire anche altri aspetti.

A questa crisi hanno contribuito anche gli ondeggiamenti di linea degli ultimi anni. Mentre in una prima fase si è fortemente enfatizzato il ruolo del movimento no-global (il “movimento dei movimenti”), fino a considerarlo inclusivo dello stesso movimento operaio e a teorizzare l’avvio di una nuova ondata rivoluzionaria, nella fase successiva, con una svolta brusca di 180 gradi, si è puntato a ricollocare il partito su un’opzione di governo e di alternanza, sottovalutando le consistenti diversità politiche e programmatiche presenti nella coalizione del centro sinistra e la netta prevalenza in esso delle componenti più moderate e neo-centriste. Prospettando una errata analisi di fase, si è illuso il partito sulle possibilità di svolta a sinistra e non lo si è attrezzato a reggere, specie sul fronte sociale, una sfida quanto mai pericolosa.

Queste evoluzioni disinvolte della linea politica non hanno giovato al rafforzamento del partito, esponendolo ad una continua oscillazione di iscritti e consensi elettorali. Né hanno giovato talune suggestioni “nuoviste” che hanno ingenerato nel partito, anziché un rafforzamento e un rinnovamento dell’identità comunista, uno smarrimento ideale e identitario. Così, la critica al ‘900 si è tradotta in un’operazione di fatto liquidazionista (si è gettato il bambino insieme all’acqua sporca); la negazione utopistica della nozione di “lotta per il potere”, considerata in sé come degenerativa, si è accompagnata ad una pratica spesso disinvolta e protesa al mero conseguimento di ruoli istituzionali. L’opzione della non violenza, oltre che alimentare collocazioni assai discutibili in campo internazionale (come nel caso della presa di distanza nei confronti della resistenza popolare irachena all’invasione americana, o nei confronti delle resistenze popolari armate in Palestina e in Libano), non ha impedito che con troppa facilità ci si piegasse alle logiche della maggioranza di governo su scelte decisive in campo internazionale disorientando e frustrando proprio quei settori più radicali del movimento per la pace cui ci si era in passato esplicitamente richiamati.

All’ultimo congresso dicemmo per tempo a tutto il partito (il tema fu centrale al congresso di Venezia) che, in assenza di una politica di autentica svolta a sinistra, la partecipazione diretta del PRC al governo avrebbe potuto avere gravi conseguenze sulla credibilità del Partito verso militanti ed elettori, verso quei settori sociali e di movimento che guardano a noi. Dicemmo che non ritenevamo corretta un’analisi di fase secondo cui la componente maggioritaria del centrosinistra si era spostata a sinistra.

In realtà, le forze “riformiste” dell’Unione non hanno operato alcuna sostanziale cesura rispetto alle politiche messe in atto nella seconda metà degli anni Novanta, su tutti i terreni qualificanti: le politiche economiche (privatizzazioni e “Patto di Stabilità”), le politiche sociali (pensioni) e del lavoro (flessibilità e precarizzazione), le questioni istituzionali (maggioritario), la politica estera (“guerre umanitarie” e fedeltà alla Nato), i cedimenti ad un revisionismo storico senza limiti.

Sempre all’ultimo congresso dicemmo che, se ancora una volta i costi della crisi e del risanamento fossero stati scaricati sulle classi lavoratrici e sui ceti più deboli, con la corresponsabilità del PRC, il nostro Partito avrebbe rischiato di essere travolto dal risentimento e dalla delusione (come era accaduto più volte al Partito comunista francese dopo ripetute e fallimentari esperienze di governo, svoltesi peraltro in condizioni assai più favorevoli di quelle odierne in Italia).

3. UNA SVOLTA SAREBBE NECESSARIA

A nostro avviso oggi il PRC dovrebbe intraprendere una forte azione di sostegno della lotta sociale, occuparsi di costruire un ampio schieramento politico alternativo a quello moderato neo-centrista, rafforzare il proprio radicamento conflittuale nella società. In campo internazionale, dovrebbe rilanciare il movimento contro la guerra e riproporre all’ordine del giorno il ritiro dei nostri militari dall’Afghanistan, sottraendo il governo ai vincoli NATO.

Dovremmo dare una sponda credibile alla lotta del popolo palestinese (e al suo governo legittimo) e alle resistenze popolari antimperialiste in Medio Oriente, a partire dalla richiesta di sospensione dell’accordo militare con Israele. Opzioni che, tra l’altro, renderebbero meno equivoco e contraddittorio il carattere di interposizione del nostro impegno in Libano, già sottoposto a segnali seri di stravolgimento.

Ma su questi terreni l’iniziativa langue, ci si attesta sulla difesa del programma (pur sapendo che alcuni limiti nell’azione attuale derivano proprio da quel programma). In questa stessa Conferenza il tema del governo è derubricato dal dibattito, mentre alcune scelte, come quella della Sinistra Europea, spostano l’attenzione su iniziative politiciste, anzichè sulla necessità di una forte mobilitazione che coinvolga l’insieme delle forze sociali e politiche di sinistra alternativa, che contrasti apertamente le pulsioni moderate presenti nella coalizione.

L’indicazione di fondo è chiara. Occorre riportare le scelte di collocazione nei confronti della politica del governo nella loro giusta impostazione, subordinandole – cioè - alla capacità/possibilità di indurre reali mutamenti nella condizione sociale e nella collocazione internazionale dell’Italia in una posizione che sia del tutto estranea ad ogni logica di guerra neo-imperialista, comunque mascherata. Sul tema della pace e della guerra, che investe questioni di principio, non è tollerabile una linea del “meno peggio” o della mera “riduzione del danno”, secondo logiche che in passato (guerra in Jugoslavia) tutto il gruppo dirigente del PRC ha duramente contestato ad altri.

COMBATTERE LA TENDENZA ALL’ISTITUZIONALIZZAZIONE DEL PARTITO
“alla parole dovrebbero seguire i fatti”


Sul partito non si riverberano solo i problemi relativi alla nuova collocazione di governo, ma anche un mutamento di cultura e prassi politica. Non si può condannare la tendenza all’istituzionalizzazione senza riconoscerne l’intreccio con le azioni concrete che si stanno compiendo. Anche qui occorre un discorso di verità. Negli anni scorsi la bussola per la costruzione di alleanze e per la partecipazione ai governi è stata quella della convergenza sui contenuti. Ora questo approccio viene di fatto superato da una scelta fondata sulla preminenza dello schieramento. Questo e non altro significa l’affermazione secondo cui l’alternanza è condizione per la costruzione dell’alternativa. Ciò in parte è valso nella definizione dell’accordo di governo, ma vale soprattutto nell’esperienza che a partire da quella nazionale si sta compiendo a livello locale, dove non solo il confronto programmatico viene considerato ormai un elemento subordinato rispetto alle scelte di schieramento, ma dove interi gruppi dirigenti si stanno ricollocando in ruoli istituzionali. Ciò avviene per precise ragioni. Nel momento in cui si offrono vaste opportunità in termini di incarichi istituzionali e l’attenzione del partito si sposta esageratamente su questo versante, i gruppi dirigenti locali non solo programmano il loro impegno nella prospettiva di uno sbocco istituzionale, ma puntano ad allargare anche artificialmente le possibilità di ruoli istituzionali ed eludono una verifica puntuale sul valore di tali esperienze. Se non si corregge questa impostazione di fondo, i rischi d’istituzionalizzazione e di deriva moderata non possono essere superati.

ESITO DEL PROCESSO DELLA SINISTRA EUROPEA
“Le rassicurazioni generiche sull’autonomia del PRC non bastano”


Sulla vita del partito, sulla sua autonomia e sulle sue prospettive grava una spada di Damocle : l’esito del processo di costituzione della Sinistra Europea. Non bastano rassicurazioni generiche sul fatto che Rifondazione Comunista non verrà sciolta, occorre un chiarimento di fondo sul suo ruolo futuro. Il rischio del tutto evidente è che il nuovo soggetto politico di cui si parla , ammesso che esso si costituisca, data l’evidente empasse in cui si è venuto a trovare per la scarsità di adesioni, esautori di fatto il ruolo del partito, anche se nominalmente questo viene mantenuto in vita.

La prospettiva che si affaccia è quindi, più che quella di una chiusura formale, sic et simpliciter, dell’esperienza di Rifondazione comunista, quella di una sua lenta eutanasia, attraverso la cessione al nuovo soggetto delle decisioni politiche, della titolarità della presentazione elettorale, della rappresentanza istituzionale.

E’ la parabola già vista nel caso di Izquierda Unida che in Spagna ha portato di fatto al superamento del PCE oltre che a un esito disastroso dal punto di vista elettorale. Che molti puntino e questo tipo di impostazione, lo dimostrano le iniziative che si sono venute producendo nell’ultimo periodo, a partire da quelle promosse da entità interne/esterne al partito. E’ il caso della proposta avanzata da Uniti a sinistra, Ars e Associazione rosso verde, con la sponsorizzazione del gruppo dirigente di Rifondazione Comunista, che considerando “superate le divisioni storiche fra socialdemocratici e comunisti”, ipotizza la costituzione di un nuovo soggetto politico d’ispirazione “socialista”.

Allo stato dei fatti, quindi, l’ipotesi di un superamento di Rifondazione Comunista in favore di un soggetto in cui confluirebbero in prospettiva settori di provenienza DS è tutt’altro che tramontata. Va da sé che qualunque ragionamento sul rafforzamento del PRC non può prescindere dalla chiarezza sullo sbocco di questo processo.

Per parte nostra consideriamo sbagliata prima che velleitaria qualsiasi scelta che punti a dar vita ad un nuovo soggetto politico che si candidi a sostituire l’attuale Rifondazione comunista nella rappresentanza istituzionale. Rifondazione deve rimanere in vita con la sua identità e deve poter continuare a svolgere pienamente il suo ruolo di forza politica autonoma a tutti i livelli per alcune ragioni sostanziali :

1 perché in questo paese occorre mantenere in vita una forza comunista che metta a valore un grande patrimonio politico ed ideale che continua a costituire la maggiore risorsa di questo partito e che non può essere liquidato.

2 perché, come dimostrano alcune operazioni ingegneristiche di costruzione artificiosa di nuove identità, sono destinate (come dimostra la vicenda dei DS) a produrre fenomeni politici evanescenti, senza forti caratterizzazioni e per ciò stesso destinate a loro volta ad essere superate.

3 perché l’esigenza fondamentale della sinistra di alternativa italiana non è quella di una aggregazione organizzativa, ma di una sua convergenza politica e programmatica, senza preclusioni ideologiche nei confronti di alcuno, che la renda in grado di incidere sulla scena politica. Da questo punto di vista, le semplificazioni organizzative compromettono spesso la ricerca di nuove e più solide basi politiche e programmatiche tra forze diverse.

ALTERNANZA CONTRO LA GRANDE COALIZIONE O ALTERNATIVA DI SOCIETA’?

Nel documento di maggioranza, si assume per la prima volta in modo esplicito il concetto di “alternanza”, da sempre contestato ai Ds e all’Ulivo , come espressione della politica attuale del partito. Il documento di maggioranza afferma : “siamo dentro una lotta per l’alternanza contro la grande coalizione, ma è l’alternativa di società il progetto per il quale già da oggi lavoriamo per il futuro” Questa affermazione è la riproposizione quasi testuale di quella politica dei due tempi che sempre, tutti insieme, abbiamo contestato alla sinistra moderata.

All’opposto, noi riteniamo che un’urgenza esista oggi nel nostro paese sul piano politico e sociale. Essa è la costruzione di un coordinamento di forze autonome, comuniste e di sinistra di alternativa, unificate da un impianto politico programmatico comune e da una comune capacità di iniziativa e di lotta, nel Parlamento e nel Paese. La costruzione di questo campo di forze è assai urgente , i segnali inquietanti d’involuzione in senso moderato della situazione politica ce lo impongono.

Questa operazione è l’opposto di quello che si propone di fare con la Sinistra Europea. Questo processo va pertanto oggi rimesso in discussione, rinunciando all’idea di dar vita ad un nuovo soggetto politico e praticando invece l’unità di quanti sono stati protagonisti, a partire dalla lotta per l’art. 18, di una battaglia di resistenza contro le nuove pulsioni moderate e contro ogni politica di guerra (a cominciare dall’Afghanistan e dal Medio Oriente).

L’esperienza dei primi due anni di vita della Sinistra Europea conferma tutti i problemi che erano già emersi alla sua fondazione. Sia nella sua dimensione europea, che nella sua variante “italiana”, la SE continua a rappresentare un elemento di divisione, che ostacola la convergenza unitaria dei comunisti e delle forze della sinistra anti-capitalistica e di alternativa. Si tratta invece di operare - con pazienza e lungimiranza strategica - per la costruzione di luoghi e occasioni capaci non di dividere, ma di unire i comunisti e le sinistre anticapitalistiche di tutto il continente al fine di creare almeno un clima e una interlocuzione aperta che possa in prospettiva favorire dinamiche ricompositive.
I promotori del progetto italiano di Sinistra Europea, che operano in sintonia con la segreteria del PRC, parlano ormai apertamente di “una nuova soggettività da organizzare su base federale, che raccolga tutti i riformisti di radice socialista e socialdemocratica”. Dichiarano la loro disponibilità “per la nascita di un nuovo soggetto di matrice socialista”, di una forza di “sinistra autonoma e unitaria, forte di pensiero alternativo e di capacità di governo”, di “una nuova e grande sinistra di ispirazione socialista”. Si prospetta un’asse politico-programmatico e ideale di matrice neo-laburista e socialdemocratica, in cui svanisce ogni istanza anti-capitalistica e antimperialista.
Nell’ambito dell’attuale alleanza di governo prenderebbe corpo così una nuova articolazione del centro-sinistra. Da una parte ci sarebbe il Partito democratico, caratterizzato da un segno moderato; dall’altra, una nuova sinistra non comunista, pienamente compatibile con l’attuale governo, in cui potrebbe – gradualmente e con eventuali passaggi intermedi - confluire la minoranza DS che rifiuta l’adesione al Partito democratico e che apertamente dichiara la proprio appartenenza al campo del “socialismo europeo”, cioè all’Internazionale socialista. Tutto ciò determinerebbe peraltro (sta già determinando) un drastico ridimensionamento delle istanze politiche e programmatiche più radicali presenti all’interno di Rifondazione, ed un prevalere delle istanze segnate da una crescente moderazione governista.
Ci chiediamo inoltre il motivo per il quale, se è vero quel che si dice rispetto alla volontà di allargare il bacino di influenza di Rifondazione Comunista e della sinistra di alternativa, non siano state coinvolte, oltre alla sinistra DS, anche altre forze di sinistra alternativa quali i Verdi ed i Comunisti Italiani.
La federazione di Vicenza, nonostante negli anni sia stata tacciata dalla maggioranza veneta del partito di essere chiusa (addirittura vetero-stalinista), ha costruito con una grande varietà di soggetti, sociali e politici, tra cui Verdi e PDCI, un proficuo lavoro di coordinamento ed azione comune molto importante – a partire dai temi dell’ambiente, della lotta al precariato, della tutela degli immigrati; non ultimo vi è il rapporto costruito con il movimento NO DAL MOLIN, oggi messo in gravissima crisi dall’operato del governo Prodi.
Il progetto della Sinistra Europea, secondo la nostra opinione, ha come punto d’approdo la formazione di un soggetto politico di tipo socialdemocratico (nel profilo politico-ideologico) e riformista-governista sul piano programmatico. Lo scenario e i rischi che incombono sono quelli di una sorta di “normalizzazione di sistema” nel centro-sinistra, con una variante social-liberale ed una socialdemocratica, che tendono ad archiviare la questione comunista e la presenza di una forza organizzata di massa non omologata.
Temiamo inoltre che la maggioranza abbia già deciso, nel medio termine, di far sparire il nome e la simbologia comunista del PRC nelle competizioni elettorali e nella rappresentanza istituzionale. Come ha precisato il nuovo segretario Giordano, il nuovo soggetto politico avrà “un simbolo, una lista, un gruppo istituzionale unitario” che non potrà che essere il simbolo della Sinistra Europea ( con conseguente sparizione del simbolo del PRC ).
Sempre prendendo ad esempio la situazione spagnola, Izquierda Unida nacque su una piattaforma politica e programmatica anti-capitalista e anti-NATO. Prima di approdare, nel tempo, all’attuale collocazione riformista ed “eco-socialista”, essa si proponeva di unire tutte le componenti della sinistra anti-capitalistica spagnola e in quel contesto di riunificare in un solo partito tutti i comunisti spagnoli, all’epoca frazionati in tre raggruppamenti distinti.
Il nuovo soggetto (la Sezione italiana della SE) nasce già su una piattaforma socialdemocratica; divide la sinistra alternativa italiana (ne ingloba una parte, ne esclude un’altra) ed è lontana anni luce dal proporsi un progetto di riunificazione dei comunisti; anzi, ne approfondisce le divisioni, sia quelle interne al PRC, sia quelle esterne e di matrice comunista.
Per questo motivi ribadiamo la nostra netta contrarietà al progetto della Sinistra Europea e non in nome di arroccamenti settari o nostalgici, bensì riproponendo una diversa ipotesi basata sulla convergenza e sul coordinamento unitario e strutturato di tutte le forze comuniste e di sinistra di alternativa, senza preclusioni nei confronti di alcuno, valorizzando i forti legami sin qui acquisiti con i settori più avanzati del movimento contro la guerra, del mondo del lavoro e della cultura.
Se non si corregge questo percorso o se il percorso non dovesse naufragare per conto proprio, lo scenario che incombe è quello di una “normalizzazione di sistema” del centrosinistra, con un polo social-liberale (il Partito Democratico, l’Ulivo) ed uno socialdemocratico (la Sinistra Europea), volti entrambi ad archiviare la questione comunista e la presenza di una forza organizzata, con basi di massa, non piegata alle compatibilità di sistema. Il tutto dentro un quadro di alternanza bipolare della vita politica del Paese.

SUPERAMENTO DELLE CORRENTI, DEMOCRAZIA INTERNA
“valorizzazione e partecipazione delle diverse anime e posizioni o annientamento delle stesse”


In questi anni la maggioranza si è spesa più volte sulle politiche della partecipazione. Le scelte strategiche del partito, le aggregazioni elettorali e le politiche vanno decise attraverso la partecipazione democratica. Ricordiamo, solo per fare qualche esempio, l’esaltazione delle primarie e delle politiche della partecipazione nei comuni dove il PRC ha importanti ruoli di amministrazione della cosa pubblica.

Tutto questo stranamente non è valso e non vale tuttora per la vita interna del Partito. Anche qui, solo per citare qualche esempio, ricordiamo quanto fatto nella composizione delle liste elettorali alle ultime politiche. Una maggioranza uscita da un congresso con una maggioranza del 59 % ha fatto man bassa del 90 % dei parlamentari e dei senatori. All’area Essere Comunisti, che aveva ottenuto poco meno del 30% sono stati “concessi” 5 parlamentari su oltre 70 e nessun deputato europeo. Una situazione che non ha paragoni con la condizione delle minoranze in nessun altro partito italiano!

Fa sorridere che la maggioranza si stia stracciando le vesti per ottenere il rispetto delle percentuali di genere negli organismi dirigenti e non faccia altrettanto rispettando le percentuali ottenute dalle varie sensibilità al congresso. Come già detto, da un lato si dice di voler superare e comunque garantire a tutti il diritto alla parola, nei fatti si adotta una pratica che definire Stalinista è dir poco. Anche in questo caso, per esempio, ricordiamo le vicende dei compagni che si sono opposti al rifinanziamento della missione militare in Afghanistan. Il vero e proprio “processo” che questi compagni hanno subito solo per aver rifiutato le logiche imperialiste americane e il servilismo italiano agli USA è a dir poco grave, indecente e indegno.

SALVARE IL PARTITO DALLA DERIVA SOCIAL DEMOCRATICA
“per garantire la sopravvivenza di un partito comunista anticapitalista ed antimperialista in Italia”


La nostra federazione ha già dato negli anni scorsi alcuni contributi alla discussione sull’organizzazione e la vita interna del Partito (si veda il documento SALVARE IL PARTITO approvato il 10 novembre 2003 – per gli interessati visitare il seguente link : http://www.geocities.com/prcschio/SALVAREILPRC.htm )

La valorizzazione delle istanze sociali e territoriali di base (cioè circoli e nuclei organizzati capillarmente sul territorio e nei luoghi del conflitto sociale), al fine di costruire un Partito Comunista radicato nella società e con influenza di massa; e la contemporanea costruzione di un progetto di ideale comunista del 21° secolo, sono in sintesi le linee guida di come vorremmo che fosse il PRC oggi.

La degenerazione antidemocratica, verticista, elettoralista e politicamente socialdemocratica ci impone “ahinoi”, in prima battuta, una battaglia difensiva per mantenere intanto e semplicemente in vita il nostro Partito. Crediamo infatti che il progetto della Sinistra Europea porti con sé l’idea di chiudere definitivamente con l’esperienza del PRC.

Molti diranno che non è così e rivendicheranno il fatto che nel documento preparato dalla maggioranza è scritto il contrario. L’assoluta mancanza di una chiara definizione delle modalità con le quali si andrà a costruire la SE e di quelle che dovrebbero essere le regole di convivenza tra le varie forze che andranno a comporla ci induce a vedere ben oltre le parole scritte nel documento.

Se la maggioranza del Partito, come presumibilmente sarà, non farà alcun passo indietro su questo terreno, ci prepariamo sin da oggi ad affrontare il percorso che ci porterà al congresso del 2008 con un unico e principale obbiettivo : unire tutte le forze disponibili nel Partito per arginare questa deriva.

Lavoriamo, a partire dai circoli e dalle istanze di base, per la costruzione di una nuova maggioranza nel partito che sia coerente con le sue ragioni fondative.

Un ricambio dal centro alla periferia sarebbe salutare per numerosi autorevoli dirigenti del PRC che in quest’ultimo anno in particolare, ma non solo, hanno completamente dimenticato quella che dovrebbe essere la base di riferimento di un partito che ad oggi ha la pretesa di chiamarsi Comunista.

Sabato 17/03/2007

PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA
FEDERAZIONE DI VICENZA

Fonte

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