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Esopo ad Assisi

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    (Imperialismo e guerra)

    La giornata romana

    (10 Giugno 2007)

    L'esito della giornata romana del 9 Giugno 2007, quella dell'intrusione in Italia del “guerrafondaio” Bush, appare chiaro sia sul piano delle conseguenze politiche, sia sul terreno delle dinamiche di movimento.

    Basteranno quindi, alcune brevi considerazioni, al fine di inserirsi nel dibattito già aperto sul “Che fare, dopo il 9 Giugno?:

    La parte più avanzata, e largamente maggioritaria, del movimento pacifista si è collocata naturalmente dove doveva collocarsi. Disponiamo, sotto questo aspetto, di una lunga tradizione e di una forte maturità del movimento di rendersi “non dipendente” dall'imposizione di determinati condizionamenti. Esiste, in Italia, un pacifismo che i giornali borghesi definiscono “unilaterale” e magari “conservativo” e “nostalgico” della vecchia logica dei blocchi ma che, invece, dispone degli strumenti culturali per capire che non può esserci una “lotta per la pace” fine a sé stessa, che serve individuare con precisione i nessi tra dimensione capitalistica, logica imperiale e guerra, stabilitisi in questo ultimo periodo, quello della sola “superpotenza” USA per intenderci, nella logica petroliera della “esportazione della democrazia”. Dunque lotta per la pace e resistenza alla guerra appare – ed è – l'intreccio logico di questa posizione, che non può collimare con la sindrome del “governo amico”. Sotto questo aspetto, lo si è già letto da qualche parte, non possono esistere “governi amici” che si collocano, sostanzialmente, nella stessa logica di espansione economica con la guerra come braccio operativo di questa espansione. Attenzione, però, la situazione sta mutando e vanno rapidamente aggiornata i nostri strumenti di analisi, perché ci sia – da parte del movimento – una capacità di adeguamento alle nuove forme di confronto multilaterale che stanno emergendo, a livello globale. Occorre, comunque, riflettere sul come mantenere fermi tre punti: a) l'identità di movimento; b) il rifiuto assoluto della crescita esponenziale degli armamenti (sotto questo aspetto potremmo anche trovarci, fra qualche tempo neppure troppo lontano, in una situazione simile a quella degli anni'80); un altro “no” da mantenere fermo che riguarda le missioni militari, sotto qualsiasi egida (è il punto di discontinuità, nell'utilizzo di questo strumento, che la cosiddetta “sinistra di governo” reclama rispetto al passato e va contestato, da parte nostra, in toto, comprendendo anche che si tratta di un punto decisivo di identità);

    L'altro elemento di riflessione riguarda la situazione politica interna, alla vigilia di una fase che si preannuncia particolarmente complessa (scrivo, è bene ricordarlo, in precedenza all'esito dei ballottaggi nelle elezioni amministrative: esito che si presterà, probabilmente, ad ulteriori considerazioni). Ribadisco quanto già esposto nel punto precedente di questo intervento: le logiche e le dinamiche di movimento, appartengono – appunto – al movimento in quanto tale, e non sono immediatamente utilizzabili nella prospettiva politica. Questo elemento deve essere chiaro. Purtuttavia per chi, almeno dal 2003, cerca di ragionare sulla necessità di esistenza di una “sinistra non governativa” può essere rimarcato con soddisfazione un fatto, ritengo inoppugnabile, relativo all'esistenza di discriminanti ideali, contenuti programmatici, riferimenti sociali e – adesso – spezzoni di “domanda politica” (una domanda molto diversa da quella di mera “partecipazione”, avanzata da “popolo delle primarie”, “girotondini” e quant'altro). Esiste, lo affermavamo già all'indomani del primo turno delle amministrative 2007 commentando – tra gli altri – il risultato del PCL, una traccia evidente “anche di spazio politico”. Emerge, evidente, un problema di comunicazione politica, di circolarità “virtuosa”. Mi permetto un solo invito alle tante compagne e compagni che sono sicuramente in grado di confrontarsi adeguatamente con questo tema: non perdiamo tempo, non guardiamoci soltanto alle spalle.

    Ci sarebbe, poi, un terzo punto e riguarda il declino irreversibile di Rifondazione Comunista: occorrerà, però, uno spazio a parte; si tratta di un declino che viene da lontano (dalla scelta “maggioritaria” del 1993 che impostò, di fatto, quella “deriva politicista” che oggi vediamo esplodere con tanta evidenza) e che merita un ragionamento di fondo che non è possibile svolgere, in questa occasione.

    Savona, li 10 Giugno 2007

    Franco Astengo

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