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aggiornamento sulle posizioni di padronato, governo e sindacati

(29 Novembre 2002)

La fine della Fiat con tanto si sconfitta operaia non è ancora stata scritta. Alle 24 di ieri [25 novembre - ndr] non sono partite le lettere con cui 8.100 lavoratori della Fiat avrebbero dovuto perdere il posto di lavoro.
La Fiat ha momentaneamente piegato la testa.
La Fiat dice che non è disposta a concedere nulla, i conti sono conti e i piani sono piani.
I volumi produttivi vanno ridotti del 20-25% e dunque chi è di troppo deve togliere il disturbo.
I sindacati dicono che non sono disposti a trattare il numero di esuberi e il modo di buttare fuori la gente dalle fabbriche, vogliono un vero piano industriale, un rilancio del settore investendo in ricerca, sviluppo, innovazione del prodotto.
Solo con un piano di questo genere si può discutere di come gestire la fase di crisi in modo solidale.
E chiedono al governo se l'Italia è disposta a cedere ai ricatti di una famiglia, a perdere l'industria dell'automobile e per di più a pagare i costi di questo omicidio, ovviamente insieme ai lavoratori?

Il governo ha proposto alla Fiat di apportare qualche minima modifica al piano contestato e e ai sindacati di accettarlo, così da concedere all'esecutivo di concedere gli ammortizzatori sociali e chi s'è visto s'è visto.
La Fiat ha tentato di stare al gioco ripetendo però, per bocca del direttore generale Alessandro Barberis che non è un falco ma è tenuto a sostenere la linea dei falchi, che Termini Imerese deve chiudere per parecchi mesi, che il piano non si tocca, che i debiti vanno onorati, che 8.100 lavoratori devono comunque togliere il disturbo, che per il futuro chi vivrà vedrà cosa ordina il mercato.

Al massimo, dice Barbreris, possiamo trasferire un po' di produzione del restyling della Punto da Mirafiori a Termini Imerese quando a Torino entrerà in produzione la Punto monovulume.
In ogni caso, mercato e operai torinesi permettendo, di posti di lavoro a Termini Imerese se ne potrebbe riattivare la metà, e per di più tra un anno.

Si toglie un po' di lavoro al nord per darlo al sud, ma nulla cambia.
I sindacati non ci stanno, vogliono la sospensiva delle procedure che sarebbero dovute partire ieri a mezzanotte.
Letta inizia una tornata interminabile di incontri a due con i duellanti sostenendo la proposta di sospensione delle lettere per due settimane, avanzata da Fini.
La Fiat dice di no.
Letta sonda i sindacati, irremovibili.
Fini teme la rabbia operaia, e fa bene.
Fuori da palazzo Chigi due assembramenti: uno di giornalisti impazienti, l'altro di dissobbedienti che hanno sposato la lotta degli operai Fiat.

Alla fine, dopo quattro ore e mezza, i sindacati ottengono che le lettere non saranno inviate per dieci giorni, se ne riparlerà il 5 dicembre.
Con un altro piano, però, dicono o sperano i sindacati.
Su quello attuale non c'è discussione né trattativa.
10 giorni di sospensione per aprire finalmente una trattativa.
10 giorni che per i sindacati non sono un vincolo, ma un punto di partenza.

Centro di documentazione e lotta - Roma

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