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Un fil di fumo

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    Accordo pensioni: Non ci resta che bocciarlo

    Forse nessuno se ne accorge, ma il salario previdenziale non c'è più

    (25 Luglio 2007)

    L'accordo sulle pensioni firmato la notte del 20 luglio è una resa con consegna incondizionata della cassa previdenziale dei lavoratori dipendenti nelle mani del Tesoro che da oggi diventa quello che deciderà delle nostre pensioni senza più sentirsi in dovere di sentire i sindacati, e che potrà fare dell'attivo previdenziale (visto che gli è stata concessa la titolarità) quello che più gli aggrada.

    Fino a ieri (anche se la legge Dini aveva già compromesso le cose in questo senso), l'equilibrio del conto previdenziale che i lavoratori accantonavano (versando mensilmente un contributo) per finanziare la propria pensione veniva verificato sulla base del rapporto tra le entrate (versamenti) ed uscite (pagamento delle pensioni).

    Se il conto era in attivo non c'erano problemi, se era in passivo i detentori del fondo (i lavoratori) avrebbero deciso come sistemare le cose, magari aumentando un poco il contributo da versare (cosa che è già successa). In fin dei conti è così che funzionano e dovrebbero funzionare tutti i fondi, compreso quello sanitario di recente introduzione in alcuni contratti nazionali.

    L'accordo ha ora massacrato questo impianto, semplice e facilmente comprensibile, sia con la riedizione dello scalone in altra veste (anche peggiore di quella originale), ma sopratutto togliendo dal controllo del fondo i detentori del fondo stesso, ossia quelli che versano i contributi per finanziarlo.

    A far da cardine di questo massacro è l'introduzione dell'automatismo nella definizione dei coefficienti di rendimento. Da oggi infatti, il coefficiente di calcolo delle pensioni non sarà più verificato e calcolato sulla base dell'equilibrio del fondo previdenziale (che sappiamo essere ancora oggi in attivo) ma sulla base di parametri esterni, come l'andamento demografico, l'andamento del PIL, e gli obiettivi di bilancio dello Stato. Così, ogni tre anni, un Ministro del Tesoro farà qualche calcolo, verificherà l'andamento dei parametri sopra citati, calcolerà quale sia il bisogno dello Stato per finanziare i suoi programmi di spesa per l'assistenza, e quindi deciderà quanto la cassa previdenziale deve dare per sostenere queste spese. Conseguentemente deciderà di quanto il coefficiente di calcolo delle pensioni deve essere abbassato per liberare le risorse che gli servono a fare altro.

    Tutto questo automaticamente, cioè senza alcun obbligo di discussione con le parti sociali.

    Forse nessuno se ne è accorto ma con questo accordo il salario differito pensione non c'è più. Rimaniamo noi che continuiamo a versare i contributi che vanno in un fondo che noi pensiamo serva a pagarci la pensione, ma su cui non abbiamo più alcun controllo.

    Da oggi la nostra aspettativa di pensione sarà determinata, da un lato dall'andamento dei titoli in borsa a cui abbiamo regalato una parte del nostro salario ed il nostro TFR, e dall'altro dal grazioso interessamento di un Governo (oggi di centrosinistra, domani di centrodestra) che avendoci rubato il controllo sulla cassa previdenziale deciderà quanti soldi destinare alle pensioni, di volta in volta, a seconda di quanti sono i soldi di cui ha deciso di avere bisogno lui per altre cose, e questo indipendentemente dal fatto che i contributi versati superino in valore le uscite.

    Padoa Schioppa ha enormi motivi per gioire (come ha fatto e pure sfacciatamente). La tesoreria dello Stato ha oggi conquistato nella sua totale disponibilità una cassaforte (e pure piena) da cui stornare le risorse che gli servono, e non dovrà più rendere conto a nessuno delle spese assistenziali (che dovrebbero essere a carico dello Stato) oggi abbondantemente finanziate dai nostri contributi previdenziali, semplicemente perchè quei contributi, da oggi, non sono più nostri, ma suoi. Al massimo dovrà rendere conto a se stesso .... sai che fatica !.

    Se si riduce l'accordo sulle pensioni al suo nocciolo duro (come abbiamo sintetizzato sopra) viene fuori chiaro ed evidente che questo accordo è una follia.

    Rimane da domandarci. Ma il sindacato (il nostro sindacato) dove era ? e se c'era ... dormiva ?

    A ben guardare già c'era tra i lavoratori molta perplessità e preoccupazione sulle modalità con cui i nostri segretari nazionali stavano conducendo la trattativa. Della trattativa si sapeva qualcosa solo da informazioni (per altro manomesse) quasi esclusivamente ricavate da interviste TV o da articoli di giornali, senza mai la possibilità di discutere in assemblea, senza mai la possibilità di poter vedere un sindacalista per potergli dire cosa ne pensavamo.

    Ma nessuno onestamente pensava ad un disastro come quello che infine si è determinato.

    A ben ricordare il nostro sindacato ci aveva chiamati due anni fa alla mobilitazione contro lo scalone Maroni spiegandoci che non c'erano motivi per allungare l'età pensionabile perchè i bilanci dell'Inps erano in attivo, Ci avevano anche detto che bisognava invece (e finalmente visto che è dal 1995 che il Governo si era impegnato a farlo) dividere i conti previdenziali da quelli assistenziali, combattere l'enorme evasione contributiva prodotta dal lavoro nero e contrastare la precarietà in quanto riduce nel tempo le entrate nella cassa previdenziale aprendo seri problemi su quella che sarebbe stata la pensione dei giovani.

    A ben ricordare anche il Governo Prodi aveva nel suo programma l'abrogazione dell'iniquo scalone Maroni, lanciando l'idea che andasse invece restituito un debito sociale a quanti negli anni passati già erano stati massacrati dalle logiche liberiste, in materia di pensioni, di mercato del lavoro, di salario.

    A ben ricordare, solo a febbraio scorso, i nostri sindacati si erano accordati per una posizione (anche se mai discussa nelle fabbriche e neppure mai distribuita ... infatti lo abbiamo saputo dalla stampa e non certo da un volantino di Cgil Cisl Uil) che se anche non ci convinceva sosteneva però una certa rigidità verso ipotesi di aumento dell'età pensionabile (si diceva di mantenere il rapporto 57 anni di età per 35 di contributi) e sopratutto conteneva un secco no a qualsiasi revisione dei coefficienti.

    A ben ricordare solo qualche settimana fa (spazientiti per le difficoltà del Governo nel trovare lo slancio per darci la pulagnata finale) Angeletti ed Epifani, erano usciti con due dichiarazioni di fuoco dicendo che i conti Inps erano a posto, e che il governo voleva solo fare cassa con un eventuale accordo. Certo parliamo di dichiarazioni compromesse dal fatto che Cgil Cisl Uil rimanevano comunque aggrappati con unghie e denti ad un tavolo concertativo di cui nessuno (a parte loro) capiva l'urgenza e che aveva proprio come ordine del giorno l'innalzamento dell'età pensionabile e la riduzione dei coefficienti, ma erano dichiarazioni che facevano pensare con una certa dose di ottimismo forzato che forse, ancora, e nonostante tutto, Cgil Cisl Uil sapessero come stavano in realtà le cose e che non si sarebbero fatti prendere per i fondelli fino al punto che poi abbiamo invece visto.

    Epifani si era addirittura lanciato (due settimane fa) in un richiamo nervoso e spazientito al PRC che spingeva sul Governo perchè abbassasse le sue pretese, quasi a dire al PRC di lasciare fare a lui che meglio di loro sapeva rappresentare le aspettative del mondo del lavoro e che sapeva bene (lui ... il sindacalista) come si gestiscono queste cose (.. purtroppo si è visto ..)

    Che i nostri segretari nazionali non abbiano brillato di lucidità rivendicativa, compressi tra la fedeltà al Governo amico (guai a dargli dei dispiaceri) ed il tenere buona la sua base perchè non si mobilitasse troppo lo si capiva da tempo, era una sensazione diffusa nei luoghi di lavoro.

    Tutto il mondo sapeva che il Governo voleva tagliare le pensioni (su età e rendimenti), ma loro, alle richieste di discutere di decidere, di mobilitarsi, rispondevano che ancora non era conosciuta la proposta del Governo e che quindi non vi erano argomenti su cui discutere, decidere, mobilitarsi.

    Poi, di colpo, la nottata tra il 19 ed il 20 luglio, la voragine, il buco nero.

    I nostri sindacati firmano un accordo, che non solo smentisce tutto quanto detto al tempo della legge Maroni, non solo smentisce anche quella specie di piattaforma unitaria i cui paletti erano stati venduti come insuperabili, non solo si contraddicono rispetto alle loro recenti dichiarazioni, tanto da arrivare a concordare un innalzamento dell'età pensionabile che è anche peggiore della Maroni, ma arrivano a fare di peggio. Concordano che sia il Ministero del Tesoro, d'ora in poi, sulla base di parametri che non c'entrano nulla con l'equilibrio della spesa previdenziale, a decidere per decreto come variare di volta in volta i coefficienti di calcolo delle pensioni, e così facendo, concordano il fatto che la pensione non sia più parte del salario differito (legato agli accantonamenti versati) ma salario sociale (ossia deciso unicamente per decreto dal Governo, fuori da ogni controllo sindacale).

    Cgil Cisl Uil hanno consegnato la nostra cassa previdenziale nelle mani del Ministro del Tesoro, quasi a dirgli ... "d'ora in poi pensaci tu".

    Come per l'accordo del 1992, dove il danno maggiore ai nostri salari non è venuto tanto dalla debolezza rivendicativa sulle quantità salariali ma dall'aver cancellato il meccanismo della scala mobile eliminando così e per sempre quanto ancora di difensivo aveva la struttura salariale, oggi il danno maggiore non è nel non essere riusciti a fare un buon accordo sulla difesa dell'età pensionabile, quanto dall'aver cancellato la pensione dalla voce del "salario differito".

    Non è cosa da poco. Non ci troviamo quindi solo di fronte ad un accordo brutto o insufficiente. Paradossalmente (molto paradossalmente) si sarebbe potuto spiegare un innalzamento dell'età pensionabile come il risultato di una mediazione o di rapporti di forza sfavorevoli (come nella contrattazione, io chiedo 100 ma posso ottenere 70 se non ho la forza sufficiente), ma quello che nessuno può spiegare è l'aver capitolato sui coefficienti, gettando alle ortiche quel poco di potere contrattuale che ancora i lavoratori possedevano consegnando alla controparte Governativa il potere di intervenire sui coefficienti secondo quanto gli aggrada e senza chiedere il permesso a nessuno.

    A spiegare questa follia ci ha provato Epifani con le sue dichiarazioni immediatamente dopo l'accordo, nelle quali si lamentava di non essere riuscito ad ottenere di più ma che, purtroppo, si sarebbe trovato di fronte ad un muro insormontabile di difficoltà finanziarie che lo avrebbero costretto a firmare quell'accordo.

    Epifani dovrebbe ora spiegare ai lavoratori a quale muro insormontabile si riferiva visto che non poteva certo riferirsi alla situazione del conto previdenziale (decisamente in attivo).

    La realtà è che Cgil, Cisl e Uil hanno dimostrato tutta la loro inconsistenza nel respingere le pretese del Governo che (come loro stessi denunciavano fino a qualche giorno prima) voleva solo fare cassa da questa operazione e garantirsi di poter utilizzare d'ora in poi la cassa previdenziale come fondo da cui stornare risorse per altro. Il muro insormontabile di difficoltà finanziarie, di fronte al quale i nostri segretari nazionali si sono spaventati fino a sentirsi costretti a firmare l'accordo, era in realtà il bisogno urgente del Governo di rastrellare quelle risorse che lo avrebbero messo a posto con la possibilità di finanziare i suoi bilanci e che gli avrebbe permesso di presentarsi alle autorità finanziarie europee e mondiali come campioni del liberismo economico. Il muro insormontabile era quindi "non far cadere il Governo".

    La cosa buffa (e tragica) è che lo stesso Epifani solo due gironi prima dell'accordo aveva detto che il sindacato non sarebbe caduto stavolta nella trappola del 1992, che nessuno oggi avrebbe costretto il sindacato a firmare. I conti vanno bene, non c'è nessuna emergenza finanziaria.

    Invece, di fatto, si è ripetuto lo stesso assurdo pasticcio del 1992, dove una burocrazia sindacale senza linea e strategia, si è alla fine sentita costretta a firmare un accordo solo per l'incapacità di affermare la propria autonomia ed indipendenza dagli equilibri politici e dagli obiettivi di sopravivenza di un governo "amico", e questo in assoluta solitudine, lontani mille miglia dalla loro base, decidendo sulle loro teste.

    Per tutte le ragioni sopra richiamate non si può semplicemente liquidare questo accordo sulle pensioni come un brutto accordo. Si tratta in realtà di una vera e propria capitolazione che porta con sè conseguenze enormi.

    Sul piano salariale, con la perdita di controllo sulle politiche previdenziali, e sul piano della rappresentanza, segnata dall'avvento di una burocrazia sindacale che si è eletta ormai pomposamente a soggetto indipendente dalla base che dovrebbe rappresentare.

    Per questo il Referendum che bisogna chiedere ed ottenere sull'accordo, assume una importanza che va oltre l'accordo stesso.

    Bocciare questo accordo non è solo il passaggio fondamentale per riaprire l'iniziativa in difesa delle pensioni pubbliche sulla base di una vera piattaforma sindacale, ma è anche un passaggio necessario per sfiduciare una burocrazia sindacale che si è dimostrata assolutamente incapace di indipendenza dal quadro politico, e che ha voluto fin dall'inizio questo accordo, senza averne mai avuto alcun mandato da parte dei lavoratori, e senza che ne esistessero le ragioni.

    Che la burocrazia sindacale sia in difficoltà a spiegare le cose per come sono andate veramente e per come gestire il dopo accordo lo si vede da come sta andando il dibattito al direttivo della Cgil.

    La cosa più ovvia sarebbe stata che il direttivo Cgil fosse stato investito della possibilità di votare un primo giudizio sull'accordo, ma la segreteria e la maggioranza che oggi Governa la Cgil lo ha impedito, rimandando il direttivo ad un voto lunedì prossimo, non già sull'accordo in materia previdenziale (che è il cuore di tutta la faccenda) ma sull'insieme degli accordi firmati col Governo nel tentativo (difficile in realtà visto che anche gli altri accordi, come quello sulle pensioni minime, sugli ammortizzatori e sul mercato dl lavoro non brillano certo in quanto a soluzioni trovate) di annacquare il peso negativo dell'accordo sulle pensioni ed i suoi devastanti effetti.

    Per ora è solo la Rete28aprile che ha dichiarato il suo voto contrario e l'impegno a portare questo suo giudizio negativo ai lavoratori. Fiom e Lavoro Società, pur avendo manifestato critiche all'accordo sulle pensioni non hanno ancora comunicato la loro decisione di voto.

    Comunque in troppi, ed un pò dappertutto si stanno esercitando ultimamente in valutazioni generiche e di comodo del tipo "luci ed ombre".

    A questi vorremmo ricordare di non fare come un famoso sindacalista dei chimici che nel 1980, in una assemblea in una fabbrica Milanese in cui era stato firmato un accordo che di fatto riduceva gli organici, faceva saltare ogni normativa sull'orario di lavoro ed aumentava i carichi di lavoro, ha usato più della metà dell'assemblea per spiegare ai lavoratori che però lui era riuscito a mantenere inalterato il prezzo del pasto in mensa, sconfiggendo così le esose pretese del padrone.

    Luci ed ombre, appunto ... un classico del mimetismo sindacale.

    Ma i lavoratori non sono fessi, sono scoppiati tutti a ridere e lo hanno mandato via chiedendo gli mandassero un'altro sindacalista, più serio ... uno ... insomma ... che facesse il sindacalista e non il venditore di tappeti.

    22 luglio 2007

    COORDINAMENTO RSU

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