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(21 Luglio 2012) Enzo Apicella

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    Nota esplicativa sul "Protocollo su previdenza, lavoro e competitivita’ per l’equita’ e la crescita sostenibili"

    Il giudizio espresso sull’intesa dal Segretario generale della Fiom

    (30 Luglio 2007)

    Considerazioni generali

    Il governo ha raccolto in un unico protocollo tutti i temi discussi in questi mesi all’interno della maggioranza e nel confronto con le parti sociali. Il risultato è un protocollo di 7 parti e un allegato. A differenza di altri protocolli generali d’intesa tra le parti sociali, ultimo quello del 23 luglio del 1993, il testo è più un’insieme di temi, che un progetto complessivo. La premessa evidenzia il carattere unitario dei temi, ma poi su molti di essi si passa dalle dichiarazioni generali di principio all’elenco dettagliato degli interventi immediati. E’ evidente, quindi, che l’interesse concreto non può che rivolgersi ai singoli punti, soprattutto là dove vengono definite soluzioni che intervengono immediatamente sulla condizione sociale di lavoratrici, lavoratori e pensionati. In ogni caso, a conclusione della premessa, nella quale il governo sottolinea la necessità di una crescita economica duratura, equilibrata e sostenibile, c’è l’affermazione secondo la quale il governo e le parti sociali danno atto dell’impegno straordinario che determina una redistribuzione delle risorse volte ad aumentare l’inclusione sociale, la partecipazione al mercato del lavoro e la produttività.
    Per questo, pur considerando il protocollo un’insieme di provvedimenti, il governo stesso propone un giudizio complessivo su di esso.

    Pensioni

    Vengono aumentate le pensioni per tutte e tutti coloro che hanno una pensione mensile inferiore a 693 euro. Vengono inoltre aumentate le maggiorazioni sociali per le pensioni sociali, assegni sociali, invalidi civili, ciechi e sordomuti. L’aumento viene dato a tutti coloro che hanno più di 64 anni, uomini e donne e, per i pensionati previdenziali corrisponde a 29 euro medi mensili.

    Vengono indicizzate al 100% le pensioni fino a 5 volte il trattamento minimo.
    L’insieme dei provvedimenti riguardano circa 7 milioni di pensionati, di cui 3 milioni avranno l’aumento di 29 euro, 2.800.000 avranno l’indicizzazione della pensione, 290 mila con pensioni assistenziali avranno l’incremento fino al tetto di 580 euro mensili, mentre altri 900 mila godranno della pro-quota della indicizzazione delle pensioni. Gli altri pensionati non avranno modifiche della loro condizione.
    Gli oneri previsti per queste operazioni sono attorno al miliardo di euro all’anno e dovrebbero essere finanziati soprattutto con il “tesoretto”, che ha fatto entrare nelle casse dello stato 10 miliardi di euro come maggiori tasse e contributi.

    Intervento sulla riforma Maroni. La riforma delle pensioni del ministro Maroni prevedeva dal 1° gennaio 2008 la condizione minima di 60 anni di età e 35 di contributi (scalone). Nel 2011 l’età minima della pensione di anzianità con 35 di contributi saliva a 61 anni. Nel 2013 si sarebbe dovuto effettuare una verifica sull’andamento dei conti per decidere se innalzare l’età pensionabile a 62 anni con 35 di contributi o restare a 61.

    La revisione dello “scalone” viene così definita:
    dal 1° gennaio 2008 - 58 anni di età e 35 di contributi;
    dal 1° luglio 2009 - 59 anni di età e 36 di contributi (quota minima 95);
    Dal 1° gennaio 2011 - 60 anni di età e 36 di contributi (quota minima 96);
    Dal 1° gennaio 2013 - 61 anni di età e 36 di contributi oppure 62 e 35 (quota minima 97).

    Per i lavoratori autonomi gli scalini e le quote aumentano di un anno.
    Entro il 30 settembre 2012 si effettuerà una verifica sull’andamento dei conti per decidere se mantenere o spostare la data del 2013, fermo restando l’arrivo a 62 anni e 35 di contributi.
    I costi della revisione dello “scalone” e del fondo lavori usuranti, calcolati in una cifra pari a 10 miliardi vengono coperti dalla revisione degli Enti previdenziali, che a sua volta viene garantita dalla clausola di salvaguardia. A partire dal 2011 i contributi sulla busta paga di lavoratori dipendenti, parasubordinati e autonomi verranno aumentati dello 0,09% nel caso in cui il processo di razionalizzazione degli enti, che scade nel 2017, non dovesse dare i risultati previsti. Aumentano inoltre le aliquote contributive dei parasubordinati (1 punto all’anno dal 1° gennaio 2008 fino a 3 punti), e anche quelle dei parasubordinati non esclusivi. Viene sospesa per un anno l’indicizzazione delle pensioni superiori a 8 volte il minimo e vengono aumentate le contribuzioni per i lavoratori e i pensionati soggetti ai fondi speciali, con modalità da definire.
    Nella sostanza l’intera intesa sulla revisione dello “scalone” avviene a “costo zero” cioè tutti gli interventi sono finanziati all’interno stesso del sistema previdenziale.

    Per i lavori usuranti vengono definiti nuovi criteri che allargano la platea del decreto “Salvi” del 1999 ai lavoratori notturni secondo la Legge 66 del 2003, cioè a coloro che effettuano almeno 80 turni di notte all’anno. Ai lavoratori addetti a linea a catena e ai conducenti di mezzi pubblici pesanti.
    I lavoratori che rientrano nei requisiti godranno della riduzione di 3 anni (partendo comunque dai 57), rispetto al sistema “quote-scalini”.
    In concreto dal 1° gennaio 2011 potranno andare in pensione con 57 anni di età e 36 di contributi o con 58 anni e 35 di contributi e dal 1° gennaio del 2013 con 58 anni di età e 36 di contributi o 59 anni e 35 di contributi.
    In ogni caso, a prescindere dai requisiti, i lavoratori riconosciuti come soggetti al lavoro usurante saranno contingentati in numero di 5.000 all’anno, fino al 2.017. Una commissione tecnica dovrà quindi definire le graduatorie perchè i tetti numerici dovranno essere rigorosamente osservati.

    La riforma Maroni portava le finestre pensionistiche per chi ha 40 anni di contributi a 2 all’anno, con il rischio dell’allungamento fino ad un anno della permanenza al lavoro dopo la maturazione del requisito. Il “protocollo” prevede il ripristino di 4 finestre, con la riduzione del prolungamento dell’attività, che comunque rimane. Questo a condizione che vengano introdotte le finestre sulle pensioni di vecchiaia che oggi ne sono sprovviste. Pertanto le donne che dovrebbero andare in pensione di vecchiaia dai 60 anni in poi dovrebbero vedere prolungata con le finestre la loro permanenza al lavoro e la stessa cosa dovrebbe avvenire per gli uomini dopo i 65 anni. I risparmi ottenuti con le finestre sulle pensioni di vecchiaia oltre a finanziare l’intervento sui 40 anni di contributi, coprono la condizione di 5.000 lavoratori posti in mobilità che con gli “scalini” rischiano di non avere copertura fino alla pensione. Così pure i lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria entro il 20 luglio del 2007, trovano copertura dall’introduzione delle finestre sulle pensioni di vecchiaia.

    Coefficienti di trasformazione

    Si conviene sull’inderogabilità dell’adeguamento dei coefficienti di trasformazione sulla base della legge 335 (riforma Dini).
    Viene costituita una Commissione tra le parti che ha il compito, nel rispetto degli andamenti degli equilibri della spesa pensionistica di lungo periodo e delle procedure europee di verificare se siano possibili modifiche ai modelli di calcolo dell’adeguamento dei coefficienti. Questo distinguendo tra settori di attività, età media di attesa di vita e tenendo conto di altre grandezze economiche e demografiche, come l’afflusso dei migranti. Tali modifiche potrebbero portare le pensioni più basse dei lavoratori discontinui a un tasso di sostituzione (pensione rispetto alla retribuzione) del 60%.
    In ogni caso a partire dal 1° gennaio 2010, entra in vigore la revisione automatica dei coefficienti. Essa avverrà ogni 3 anni, senza verifica tra le parti, ma con decreto del governo. Allegata all’accordo c’è la tabella dei nuovi coefficienti che a partire dal 2010 riduce il valore delle pensioni calcolate con il metodo contributivo del 6-8%.
    Nella sostanza la commissione non può mettere in discussione l’obiettivo della riduzione dei costi e quindi ogni intervento deve avvenire garantendo comunque la riduzione di spesa prevista dal taglio dei coefficienti.
    La prossima verifica sul sistema dei coefficienti tra le parti avverrà nel 2017-2018, nel frattempo scatteranno le revisioni automatiche del 2010, 2013, 2016.

    Misure previdenziali varie

    Per i giovani e per i disoccupati, viene migliorata la copertura previdenziale durante i periodi di disoccupazione coperti dall’indennità. Viene prevista la riforma della totalizzazione, cioè la possibilità di congiungere tutti i contributi versati con varie voci e in varie casse. Vengono previste migliori condizioni di riscatto della laurea e, l’aumento graduale della aliquota dei parasubordinati. Quest’ultima misura però non viene accompagnata da impegni sulla quota previdenziale a carico dell’imprenditore che utilizza il lavoratore parasubordinato. Quindi l’aumento dei contributi può incidere sul reddito netto del lavoratore interessato.
    Sono inoltre previsti interventi diversi per le varie gestioni.

    Riforma degli ammortizzatori sociali

    Il governo annuncia un progetto di riforma complessiva degli ammortizzatori sociali: indennità di disoccupazione, mobilità, cassa integrazione ordinaria e straordinaria. I criteri di fondo della riforma saranno l’estensione della copertura del reddito, ma anche la unificazione complessiva della normativa tra i vari istituti, non facendo più distinzione tra gli ammortizzatori sociali in costanza di mantenimento del rapporto di lavoro e quello che interviene quando c’è la perdita del lavoro.
    Viene affermato che la riforma degli ammortizzatori sociali deve seguire il principio secondo il quale viene resa effettiva “la perdita della tutela in caso di immotivata non partecipazione ai programmi di reinserimento al lavoro o di non accettazione di congrue opportunità lavorative.”
    La Cassa integrazione ordinaria e quella straordinaria dovrebbero essere unificate, mantenendo diverse tipologie. Non è definito il futuro della indennità di mobilità.
    Il disegno di riforma prevede anche un forte ruolo degli Enti bilaterali anche per esercitare un controllo sul funzionamento dei vari strumenti di ammortizzazione del mercato del lavoro.
    A partire dal 2008 vengono elevate le indennità di disoccupazione al 60% dell’ultima retribuzione per i primi 6 mesi. Vengono aggiunti 2 mesi al 50% per chi ha meno di 50 anni e altri 4 mesi al 40% per i disoccupati con più di 50 anni. Restano comunque in vigore i massimali.
    Aumenta anche l’indennità di disoccupazione con requisiti minori.

    Mercato del lavoro

    1. Lavoro a progetto
    Vengono riproposte le iniziative di intervento sugli abusi, ma non c’è nessuna misura formale che ridefinisca questa forma contrattuale, al fine di ridurne drasticamente l’utilizzo. Anzi si consolida questa forma contrattuale con l’aumento dei contributi, in gran parte a carico del lavoratore.

    2. Contratto a termine
    Complessivamente questo capitolo peggiora significativamente la normativa in essere, definita dal Decreto legge 368 che la Cgil non condivise.
    Gli interventi correttivi del Governo non modificano in alcuna maniera la normativa che ha cancellato l’obbligo di precise causali per attivare i contratti a termine; conseguentemente rimane confermata la totale libertà dell’impresa di realizzare contratti di lavoro a tempo determinato a fronte di una generica necessità aziendale.
    Si rafforza la possibilità per le imprese di mantenere un lavoratore in contratto a termine senza nessun limite temporale in quanto, anche se il lavoratore supera i 36 mesi tra proroghe e rinnovi, l’azienda può stipulargli un nuovo contratto a tempo determinato, presso la Direzione Provinciale del Lavoro. E’ sufficiente che il lavoratore sia accompagnato da un rappresentante del sindacato a cui è iscritto o a cui ha dato mandato (è elevato il rischio di trovarsi di fronte al proliferare di sindacati di comodo). Si determinerà la concreta possibilità che il lavoratore, sotto il ricatto della stipula di un nuovo contratto a termine, rinuncia a far valere i suoi diritti anche sul piano legale e resti confinato in una condizione di precarietà permanente.
    Il protocollo non definisce alcun limite percentuale massimo di assunzioni a termine, ma demanda la materia alle contrattazione. Comunque si afferma il principio che i tetti percentuali decadono nelle fasi di avvio delle attività delle imprese, per attività stagionali e per sostituzioni, in questo caso non c’è limite alle assunzioni a termine.

    3. Lavoro interinale
    Nessun limite di alcun tipo, né quantitativo, né qualitativo, né nella reiterazione dei contratti, viene posto sull’utilizzo del lavoro interinale (contratto di somministrazione a tempo determinato). Viene così confermato integralmente quanto previsto dalla Legge 30 e dal Decreto 276.

    4. Staff leasing
    Contrariamente a quanto annunciato dal governo, lo staff leasing non viene abolito. Il contratto di somministrazione a tempo indeterminato viene mantenuto e anche sostenuto attraverso opportune incentivazioni, soprattutto erogate alle stesse agenzie di lavoro che collocano questi lavoratori. La materia verrà comunque affrontata da un’apposita commissione.

    5. Lavoro a chiamata
    Viene cancellato. In sostituzione di esso il protocollo propone di definire, con un’apposita commissione, una forma di part-time per brevi periodi che potrebbe assumere la stessa funzione del lavoro a chiamata. Con gli stessi impatti negativi per i lavoratori.

    6. Appalti
    Non viene accolta nessuna richiesta di rendere più esigibile e stringente la responsabilità del committente in materia di tutele, diritti, retribuzioni su tutta la filiera dell’appalto e si conferma solo quanto già definito sul testo unico in materia di salute e sicurezza.

    7. Part-time
    Si attribuisce ai Ccnl la possibilità di introdurre le clausole elastiche e flessibili per l’insieme dei lavoratori in part-time. Il diritto alla “doppia chiave”, cioè il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori part-time a dire di no alla modifica improvvisa dell’orario di lavoro e delle turnazioni, viene affermato solamente per le lavoratrici e i lavoratori impegnati in compiti di cura.
    Per la lavoratrice e il lavoratore assunti a parti-time non viene affermato il diritto di recesso dalle clausole elastiche e flessibili.

    8. Apprendistato
    Si tenta di riordinare l’intera materia attraverso la definizione di standard formativi nazionali tali da superare la frammentazione degli interventi formativi da parte delle regioni.

    9. Servizi per l’impiego
    Anche se si afferma l’impegno di rafforzare l’operatività dei servizi pubblici per l’impiego si conferma appieno il valore della presenza delle agenzie private e delle cooperative per realizzare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Questo in particolare nell’utilizzo dei contratti di lavoro flessibili e precari.
    E’ utile ricordare che nella riforma degli ammortizzatori sociali il governo assegnerà un ruolo rilevante agli Enti Bilaterali.

    Competitività

    Vengono incentivati sul piano industriale e competitivo i salari variabili contrattati a livello aziendale. La condizione per gli incentivi è che il salario sia incerto a priori, cioè possa essere annullato anche totalmente o modificato in alto e in basso nel suo ammontare (salario totalmente variabile).
    Il governo definirà i criteri di variabilità del salario aziendale che permettono di accedere agli sgravi contributivi e fiscali. Le quote fisse o garantite dai premi non sono ammesse a sgravi.
    Lo sgravio contributivo viene garantito per il 5% della retribuzione media-annua (oggi è il 3%). Al lavoratore viene comunque garantita la copertura pensionistica per il premio. All’azienda e al lavoratore, vengono concessi sgravi pro-quota. Ad esempio su 1.000 euro di premio variabile, per una retribuzione annua di 20mila euro, alle aziende vengono condonati 250 euro di contributi, al lavoratore circa 90 euro. Tutti questi interventi sono finanziati con un fondo triennale. Ove le richieste superassero i limiti del fondo ci sarà una verifica tra le parti. Analogamente il governo finanzia con un apposito fondo, nella legge finanziaria del 2008, la detassazione dei premi di risultato, le cui modalità verranno definite tra le parti.
    Considerando che i lavoratori registrati che usufruiscono di premi di risultato sono circa 2 milioni e che lo stanziamento è di 150 milioni di euro, l’importo medio della detassazione, se totalmente a vantaggio del lavoratore è di 75 euro in ragione d’anno.
    Viene inoltre decisa la riduzione dei contributi aggiuntivi per le ore di straordinario, introdotti dalla legge 28 dicembre 1995. In ragione di questa misura le aziende che effettuano un elevato numero di ore straordinarie pagheranno meno contributi. Non è possibile allo stato attuale calcolare l’effetto di questa manovra che incentiva lo straordinario e riduce la contribuzione all’Inps, ma si può ipotizzare che il risparmio complessivo delle imprese sia di diverse centinaia di milioni di euro all’anno.

    Giovani e donne

    Oltre alle misure pensionistiche e sugli ammortizzatori sociali annunciate il governo dichiara di voler elevare la partecipazione al lavoro alle donne con appositi finanziamenti, in particolare rafforzando il part-time.
    Per i giovani precari parasubordinati si introduce l’accesso al credito per coprire l’assenza di retribuzione. Questi lavoratori, in caso di disoccupazione potranno farsi prestare dallo stato un massimo di 600 euro al mese per 12 mesi, che dovranno essere restituiti con scadenza a 24 o a 36 mesi, a condizione di tasso interesse zero o molto basso.

    Tutte le misure del protocollo devono essere soggette al principio della compatibilità con gli equilibri della finanza pubblica.

    Giudizio espresso sull’intesa dal Segretario generale della Fiom nel Direttivo della Cgil

    Con questo Comitato Direttivo, siamo all’atto conclusivo del confronto con il governo che ha evidenziato con assoluta chiarezza un problema non risolto nella nostra discussione, nella nostra elaborazione, quella del ruolo, dell’iniziativa, dell’operare di un sindacato come la Cgil, autonomo e democratico, tanto più a fronte di un governo di centrosinistra.

    Un governo con una maggioranza parlamentare risicata che lo rende fortemente esposto alla crisi politica, ma che fa di questa debolezza, l’elemento di forza e di pressione nei confronti delle organizzazioni sindacali, come avvenuto anche in quest’ultima fase della trattativa.

    Sarebbe miope, peraltro, non vedere che la ridefinizione dell’assetto delle forze politiche determina per le organizzazioni sindacali, per la Cgil, una situazione inedita rispetto alla nostra storia, che va affrontata pena il rischio di un processo di balcanizzazione del sindacato.

    Essere arrivati alla fine di luglio, al tempo prevedibilmente utile per fare un accordo, per fare una mediazione senza avere messo in campo l’unico strumento a disposizione del sindacato quello della partecipazione e della mobilitazione, ha di fatto consegnato la soluzione di un confronto sindacale al rapporto tra le forze politiche che compongono il governo.

    Quando si considera irricevibile la proposta di un governo, il sindacato dichiara iniziative di mobilitazione a sostegno delle proprie posizioni e non risolve la questione cambiando la richiesta da “una proposta condivisa da tutte le forze politiche del governo” nella richiesta di una proposta ultimativa del Presidente del Consiglio, come se si trattasse di un lodo.

    I lavoratori e le lavoratrici sono diventati in questo modo semplici spettatori di un confronto sindacale, con una perdita di autonomia del tutto evidente.

    Siamo alla conferma di un nodo strategico fondamentale, già emerso con la finanziaria, e che oggi si ripropone come ineludibile per il futuro della nostra organizzazione. Comunque si concluda questa vicenda a mio avviso il problema è posto, non più rinviabile anche rispetto alle scelte congressuali: il futuro della Cgil come sindacato progettuale, democratico, autonomo e indipendente dalle forze politiche, dal governo e dai padroni.

    Nel merito dell’accordo ho già avuto modo di esprimere la mia contrarietà sul capitolo relativo alla previdenza e questo giudizio lo confermo sull’insieme dell’accordo in particolare sul mercato del lavoro e sulla contrattazione.

    Si apre adesso un percorso di consultazione delle lavoratrici, dei lavoratori e dei pensionati. È mia convinzione che questo deve avvenire con le assemblee e successivamente con il referendum.

    La democrazia, il voto certificato sono l’unico strumento perché le posizioni diverse possano esprimersi e misurarsi in un confronto democratico.

    Per queste ragioni, il mio voto di astensione – tanto più a fronte di documenti contrapposti – non è relativo al giudizio sull’accordo, su cui confermo la contrarietà che sosterrò al Comitato centrale della Fiom, ma semplicemente al fatto che adesso la parola e il giudizio passa ai diretti interessati.

    Il Comitato Centrale della Fiom esprimerà il proprio giudizio sul protocollo

    Fiom nazionale

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