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(7 Agosto 2007)
Il Presidente della Polo Nautico di Viareggio, ha organizzato, questa sera, una festa per presentare le sue imbarcazioni, Fipa e Maiora, appena varate.
Questa festa dovrebbe essere di tutti. Un riconoscimento a quanti, con il proprio lavoro, realizzano inbarcazioni di lusso.
MA CHE FESTA E’ quando questi prodotti da copertina sono realizzati violando la salute dei lavoratori?
Come si puo’ far festa nel luogo in cui sei mesi fà è morto un giovane di 23 anni - Joubert Tomphson - per mancanza di sicurezza, cadendo da un ponteggio?
Da allora poco è cambiato. Si continua a lavorare in condizioni di insicurezza, con uno sfruttamento selvaggio dei lavoratori degli appalti: si lavora con un orario disumano che spesso supera le 10 ore giornaliere, senza mensa, costretti a mangiare un panino per strada, a volte senza uno spogliatoio per cambiarsi, con una doccia per lavarsi e magari bisogna attendere dei mesi o addirittura “fare a botte” o minacciare di darsi fuoco insieme alla barca per essere pagati.
Non stiamo parlando di un cantiere nel sud del mondo dove ci si azzuffa per un tozzo di pane, ma di Viareggio, della Polo Nautica, delle barche di cuio vorremmo invece andare tutti orgogliosi.
Cosa avete da festeggiare?
Non è con questo modo di lavorare che si puo’ sviluppare e rendere piu’ competitiva la nautica: non è cosi’ che si assicura un futuro a Viareggio!
I lavoratori chiedono uno sviluppo di qualita’ capace di valorizzare il lavoro, la storia e la tradizione doi Viareggio, salvaguardando i diritti, la salute e la dignità di chi lavora, evitando di paingere altri Joubert.
QUESTA SI CHE SAREBBE UNA FESTA!
Ai cancelli della Polo Nautica, è stato pertanto organizzato da FIOM/ CGIL - Camera del Lavoro Versila un “picchettaggio” , presenti anche le RSU e il Vice PResidente del Senato Milziade Caprili
Letizia Tassinari
Cara Letizia, ho letto il Tuo articolo.
Non ci sono parole da spendere. Ci vorrebbero i fatti, leggasi: Ispettorato del Lavoro, SPISAL, Magistratura, una "Società Civile" intraprendente, ecc..
Purtroppo questi "fatti" tardano ad arrivare.
Travaglio ha recentemente bene sintetizzato una caratteristica della malazzata ideologia portante dell'epoca: "i fatti sono pregati di farsi da parte per lasciare spazio alle opinioni".
Aggiungasi che alcuni imprenditori si vantano di essere presenti anche nel "sociale". A tale proposito Ti invito a leggere qualche riga ("Etica, responsabilità e carta patinata") che ho scritto e che troverai ne:
http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o9136.
Mio fratello, che in gioventù ha lavorato presso i cantieri navali dell'isola della Giudecca di Venezia, me ne ha raccontate di veramente strazianti.
Ti "incollo" poi una letterina dove si può riscontrare come la Romagna non disti molto dalla Versilia e che, se ambedue piangono, Venezia non ride.
E' tutto molto angosciante e non vedo lontane lucine, sintomo di uscita dal tunnel.
Saluti,
Giorgio Zanutto
"Nel nome di Matteo
di Milziade Caprili
Matteo Valenti era un ragazzo di 23 anni «che aveva un sogno, la vita». Con queste parole, semplici e commoventi, si apre il sito Internet dedicato a Matteo e alla sua tragica storia. La storia di un ragazzo di 23 anni che, appunto, sul lavoro c’è morto. E che era di Viareggio, città che da quella morte rimase sconvolta ma che non ha mai smesso, come i genitori di Matteo, di farsi mille domande. Viareggio, dopo tanti anni, ancora si chiede, e con forza, perché un ragazzo così giovane è stato lasciato solo? Dov’era il suo datore di lavoro, unico responsabile della sicurezza? Perché in un posto di lavoro pericoloso e fatiscente non vi erano vie di fuga? Come si è potuto tenere aperto un posto simile? Domande precise e argomentate che puntano l’indice sulle responsabilità e i responsabili di una tragedia che si poteva evitare.
È nato, sull’onda di quella emozione, anche un comitato intitolato semplicemente così, «Matteo Valenti», e un sito Internet ( www.matteovalenti.org) ricco di materiale. A partire dalla sentenza del tribunale di Lucca. Sentenza che, su richiesta dell’imputato, dottor Pietro Martinelli (titolare della «Mobiliol», dove Matteo lavorava, e che oggi ricopre importanti cariche pubbliche, dalla presidenza della Confartigianato di Lucca, il che ne fa il responsabile della sicurezza e prevenzione nei posti di lavoro in oltre 4 mila aziende, a molte altre), si è risolta in una «condanna» di soli 1 anno e 8 mesi (meno persino dei 30 previsti dalla legge), grazie alla procedura del patteggiamento. Procedura che ha obbligato l’imputato a pagare le sanzioni previste per innumerevoli violazioni della norme sulla sicurezza ma che, in base alle pene previste dalla legge sull’omicidio colposo (da 2 a 5 anni), gliela ha ridotto in modo così risibile e ingiusto. Il sito Internet dedicato a quel giovane ragazzo che «amava la vita» è ricco, però, di tante altre cose, come le fotografie (belle e toccanti) di Matteo con i suoi amici.
Perché quando il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano parla, giustamente, di «strage infinita», in merito alle morti bianche, e suscita l’attenzione dei grandi media. Quando persino un giornale come l’Osservatore romano tiene aggiornato, con una tristemente puntuale contabilità, l’agghiacciante bollettino delle morti sul lavoro.
Quando, come è accaduto l’altro giorno, quattro lavoratori muoiono in Puglia (di cui ben due a Taranto, uno di loro lavorava all’Ilva: tutti morti in modo così drammatico) e sembra di stare di fronte a un vero e proprio «bollettino di guerra» che non dà requie. Ebbene, quando leggiamo queste notizie, usiamo spesso, nel descriverle, l’arma della retorica, perché «le parole per dirli», dolori così indicibili, sono le prime a venire meno. Ma quando la storia di una morte sul lavoro ci tocca da vicino, allora è tutto diverso.
Allora sì che possiamo toccare con mano il dolore, dare ad esso forma. Matteo, come abbiamo cercato di raccontare prima, era un ragazzo come tanti. Ricco di sogni, speranze, desideri. Aveva amici e amiche con cui amava soprattutto viaggiare. Viene assunto il 10 ottobre del 2004, Matteo, come apprendista dalla ditta «Mobiliol» di Martinelli, azienda che produce cere. L’8 novembre dello stesso anno scoppia un incendio e rimane intrappolato tra le fiamme. Muore dopo quattro giorni, il 12 novembre 2004, all’ospedale Grandi ustionati di Genova.
Matteo, la mattina dell’incidente, e su indicazione del titolare, quel giorno assente ma che risulterà anche come «l’unico» responsabile della sicurezza, nella sua azienda, stava portando a termine, e da solo, lavorazioni molto pericolose. Senza aver seguito nessun corso di formazione, all’interno di un’azienda che, a chi la vide, apparì peggio di una bottega dell’Ottocento e a contatto con materiali estremamente pericolosi, tutti infiammabili, Matteo si poteva salvare. Ma nessuno lo ha soccorso con tempestività. E così è morto.
Perché è successo a un ragazzo di 23 anni, si chiedono da allora, indomabili, i genitori di Matteo, che hanno dato cuore, linfa e gambe al comitato che chiede verità e giustizia per la sua morte, comitato che ha raccolto già 3 mila firme? Gia, perché? E perché la famiglia non è stata accettata come parte lesa, nel processo? E come è possibile che una prassi legislativa e processuale come quella descritta assicuri una sostanziale impunità ai datori di lavoro, penalizzando le famiglie delle vittime, i lavoratori e la lavoratrici tutte, in materia di sicurezza e salute sul lavoro?
Anche per e in nome di Matteo, dunque, era necessario approvare al più presto, da parte della Camera dei Deputati, il «Testo unico sulla salute e sulla sicurezza sui luoghi di lavoro» che il Senato ha già esaminato e votato con procedura d’urgenza. La legge delega ieri definitivamente approvata e che affida al governo, da parte del Parlamento, pieni poteri in materia, comporterà regole più stringenti e pene più severe, per dei datori di lavoro irresponsabili, ma anche migliori e più incisivi diritti e tutele per i lavoratori come per i parenti delle vittime. È una bella notizia, quella dell’approvazione di questa legge, legge che ha grande valore e importanza e alla quale ha continuato ad opporsi fino alla fine, con pervicacia, solo Confindustria. A maggior ragione, da senatore e da cittadino, chiedo, a fianco del comitato e dei suoi genitori, giustizia e verità per Matteo. Perché la sua morte non sia un sacrificio vano. Perché Matteo viva.
*vicepresidente del Senato ed esponente del Prc
L'Unità (04 agosto 2007)"
(8 Agosto 2007)
Giorgio Zanutto - RLS - Settore Credito - Venezia
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