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Estate al fresco

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(13 Agosto 2010) Enzo Apicella
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Coordinamento Nazionale dei Giovani Comunisti del 24 novembre

L'intervento di Fabiana Stefanoni, dirigente della sinistra del partito

(4 Dicembre 2002)

Cari compagni, care compagne, inviamo con questa circolare l'intervento fatto all'ultima riunione del Coordinamento nazionale dei Giovani comunisti (24 novembre) dalla compagna Fabiana Stefanoni, dirigente della sinistra del partito. Con questo e altri invii sul nostro intervento nei Giovani comunisti cerchiamo di supplire al totale silenzio che il giornale del partito, Liberazione, riserva al dibattito degli organismi dell'organizzazione giovanile.
 
saluti comunisti,
Francesco Ricci

Care compagne e cari compagni, la nostra attenzione è ovviamente volta verso i recenti gravissimi fatti che hanno coinvolto alcuni militanti del movimento antiglobalizzazione: gli arresti, le deportazioni nei carceri di massima sicurezza, le pesantissime imputazioni di "associazione sovversiva" e "cospirazione politica" riconfermano ancora una volta il carattere repressivo di alcuni settori di apparato dello Stato, pronti a rispolverare codici fascisti al fine di criminalizzare e ostacolare i  movimenti di protesta sociale e politica che stanno prendendo corpo in questi mesi in Italia. Una chiara provocazione cui è giusto che il movimento, e nel nostro caso specifico i GC, rispondano con la pronta mobilitazione per la libertà immediata dei compagni arrestati e per la difesa del diritto di lotta dei movimenti di massa. La riuscita della manifestazione di ieri a Cosenza ci conferma che c'è la disponibilità da parte del movimento a non lasciarsi intimidire dalla repressione.

Repressione che, non a caso, avviene all'indomani della grande manifestazione di Firenze che, con la sua straordinaria partecipazione di massa, costituisce un evento importantissimo, dalle enormi potenzialità: potenzialità che, come GC, dovremmo impedire che vadano disperse. Il fatto di trovarci oggi oggetto di una pesante repressione non deve né fermarci nelle lotte né esimerci dal riflettere su quelli che sono e restano, a mio avviso, i forti limiti dell'intervento dei GC - e del partito tutto - nel movimento stesso. Mi pare manchi da parte di molti compagni la consapevolezza del fatto che è in corso un tentativo, da parte di settori rilevanti del centrosinistra (penso in particolare all'"asse" Prodi-Cofferati) di subordinare il movimento ad un prospettiva borghese di alternanza, camuffandolo nei termini di "apertura al dialogo". Un disegno che porterebbe al tradimento delle lotte e delle mobilitazioni, assegnando loro un misero destino di collaborazione di classe, che di fatto le priverebbe di uno sbocco anticapitalistico - l'unico in grado di soddisfare veramente le istanze poste dal movimento.

Purtroppo il nostro partito non si muove certo con l'intento di contrastare queste dinamiche; anzi, si candida a referente privilegiato di quei settori di socialdemocrazia che mirano a rifondare il centrosinistra in vista del 2006. Il nostro segretario nazionale l'ha esplicitato in una recente intervista: cito dal Manifesto del 17 settembre "Il centrosinistra è una gabbia che imprigiona le forze del cambiamento (...) Bisogna rompere questa gabbia e far sì che l'opposizione si organizzi in 3 tronconi: centro moderato, sinistra riformista e sinistra radicale. Poi le due sinistre devono ALLEARSI e solo dopo vedere se ci sono le condizioni per un accordo con il centro moderato"... Anche il PRC, dunque, si impegna ad essere tra i protagonisti di una vera e propria riorganizzazione del centrosinistra, nella prospettiva di un governo per il 2006.

Per impedire che ciò avvenga, per impedire che il movimento finisca nelle braccia delle classi dominanti, necessario è che sviluppi una coscienza anticapitalistica, che traduca le proprie aspirazioni ad un mondo più giusto nella lotta per un'alternativa di sistema. La posta in gioco è alta: o lavoriamo per offrire al movimento un'alternativa di società e di potere oppure l'"altro mondo possibile" rischia di diventare una delle tante espressioni del capitalismo (magari gestito da un governo di centrosinistra).

Di fronte a questo pericolo, necessario è che i GC, attraverso il loro attivo intervento nel movimento antiglobalizzazione, contribuiscano a far sì che esso si doti di una piattaforma anticapitalistica, di un programma anti-sistema che metta in discussioni le basi del capitalismo e dell'imperialismo, che rifiuti con forza qualsiasi collaborazione coi governi della borghesia. Fin tanto che le rivendicazioni saranno moderate e di stampo riformista - come la tobin tax e il bilancio partecipato - estremamente facilitato sarà il lavoro di quelle forze, socialdemocratiche e liberali, che intendono subordinare il movimento a compatibilità capitalistiche.

Emblematico diventa il confronto con le lotte in Argentina, dove, fra l'altro, la scorse estate il tentativo di mettere fuori legge per "sovversione" una delle organizzazioni piquetere più importanti ha trovato un'imponente risposta popolare. In Argentina abbiamo assistito ad una ribellione di massa, che è stata in grado di cacciare in pochi giorni quattro governi, di darsi forme embrionali di autogoverno (le partecipatissime "assemblee popolari di quartiere"), di contrapporre nelle strade la propria forza organizzata agli assalti della polizia e dello squadrismo peronista. Ancor oggi, il movimento delle assemblee popolari, il movimento piquetero, il movimento delle fabbriche occupate avanzano piattaforme rivendicative estremamente avanzate: annullamento unilaterale del debito estero, l'esproprio sotto controllo operaio delle imprese in crisi, controllo popolare su produzione e distribuzione delle merci. Una delle parole d'ordine più diffusa è "Via il governo e il fondo monetario internazionale - Per un governo dei lavoratori".

Una parola d'ordine, quella della cacciata del governo, che invece il nostro partito e i giovani comunisti si ostinano a non portare nelle mobilitazioni di massa. Eppure è una parola d'ordine che risponde oggi al sentimento unitario di tutti i movimenti di massa, che potrebbe trovare una traduzione concreta, vista la grande disponibilità alla lotta dimostrata  non solo dal movimento antiglobalizzazione ma, soprattutto, dal movimento dei lavoratori e delle lavoratrici.

A questo proposito, una riflessione s'impone sullo sciopero generale del 18 ottobre, che, con la grande partecipazione operaia che l'ha segnato, è indice della potenzialità preziose del movimento operaio. La massiccia adesione allo sciopero nonché la grande partecipazione alle manifestazioni regionali ci dicono chiaramente che, di fronte all'offensiva dirompente del governo, il movimento dei lavoratori ha la forza di reagire e sconfiggerlo. La rottura tra CGIL e governo ha dato impulso alla mobilitazione generale ma, allo stesso tempo, è necessario riconoscere che questa rottura non configura affatto una svolta strategica della CGIL stessa: nessun reale cambiamento di rotta, nessuna volontà da parte del gruppo dirigente della CGIL di rompere definitivamente con la strategia della concertazione. Lo dimostrano del resto chiaramente la sottoscrizione dei contratti dei chimici e degli edili nonché i vari accordi firmati con il governo per i comparti pubblici. Lo dimostrano le gravi e recenti dichiarazioni di Epifani, che si è schierato contro l'estensione dell'art. 18, della quale il nostro partito si è fatto promotore attraverso i referendum. Lo dimostra il mancato bilancio di anni di politiche di concertazione e accordi contrattuali sul fulcro della flessibilità.

Ma, soprattutto, oggi la direzione CGIL ha delle enormi responsabilità, poiché, di fatto, è alla guida della protesta operaia. Sul terreno dello scontro sociale la sua politica concreta è di contenimento, con iniziative in sé importanti, ma limitate, distanti nel tempo (lo sciopero ogni 4-6 mesi), fondamentalmente di immagine e di pressione, senza piattaforma. Ben diversa dovrebbe e potrebbe essere la risposta del movimento di massa: un'azione di lotta prolungata che punti a bloccare l'Italia, a bloccare merci e servizi, prestazioni straordinarie e flessibili, sino al ritiro di tutte le deleghe e disegni governativi. Una proposta, questa, che va affiancata a quella di sciopero generale europeo contro la guerra, che denunci la natura imperialista del conflitto annunciato e smascheri la natura borghese dell'ONU, luogo di trattativa e mediazione per le grandi potenze imperialiste.

Una proposta, quella dello sciopero generale prolungato, che va affiancata al pieno sostegno alle lotte dei lavoratori FIAT, che stanno subendo il peso di una ristrutturazione funzionale agli interessi padronali. Di fronte ai tentavi da parte delle burocrazie sindacali di cercare una mediazione concertata con governo e padronato, occorre che i GC e più in generale l'intero partito avanzino una proposta che non tradisca la radicalità delle lotte. Occorre sviluppare tra i lavoratori la rivendicazione della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori; bisogna realizzare da subito lo sciopero a tempo indeterminato del gruppo FIAT e, soprattutto, passare all'occupazione di tutte le aziende del gruppo. Solo così sarà possibile sconfiggere la Fiat e sferzare un duro attacco al capitalismo italiano e al governo Berlusconi.

Concludendo, mi sembra evidente che oggi la principale urgenza cui, come GC, dobbiamo far fronte sia quella di ricomporre tutte le lotte e tutti i movimenti attraverso una vertenza generale unificante, che porti alla sconfitta di Berlusconi e ci permetta di prospettare una reale alternativa. Necessario, dunque, porci il problema di promuovere una direzione anticapitalistica, che sappia avanzare una piattaforma di classe. Non ci sono terze vie: o i GC rischiano di subordinarsi ai progetti di un futuro governo di centrosinistra, rappresentante privilegiato della borghesia italiana, oppure i GC si assumono la responsabilità di elaborare un programma in grado di rendere concreta una prospettiva rivoluzionaria.

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