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(7 Febbraio 2012) Enzo Apicella

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    (Capitale e lavoro)

    No al welfare di Prodi

    Occorre lo sciopero generale e la vittoria dei no al referendum dei lavoratori e dei pensionati per bloccarlo

    (30 Agosto 2007)

    Chi ha veramente a cuore gli interessi economici e sociali dei lavoratori, dei pensionati e delle masse popolari e non quelli dei capitalisti e dei ricchi borghesi in genere, divergenti e antagonisti, non può avere dubbi, non può avere tentennamenti: sulla proposta di nuovo welfare di Prodi, comprensiva dei provvedimenti sul "mercato del lavoro", contenuta nel "Protocollo su previdenza, lavoro e competitività" varato il 23 luglio scorso, ossia a fabbriche chiuse per ferie, deve esprimere un giudizio nettamente e totalmente negativo. Deve sviluppare una forte e risoluta critica sia ai contenuti di questo protocollo, sia ai metodi decisionisti e antidemocratici usati per imporlo, più in generale alla politica economica e sociale del governo della "sinistra" borghese la quale si muove in continuità con quella del precedente governo di "centro-destra" del neoduce Berlusconi e, per certi versi, va persino oltre. Tradendo così, in modo smaccato e plateale, le promesse elettorali di svolta e di rottura a favore dei "ceti più deboli". Importano fino a un certo punto le schermaglie e le contraddizioni tra le varie componenti dell'Unione, tra i partiti che si apprestano a formare il partito democratico da una parte e la cosiddetta "sinistra radicale" dall'altra, con in mezzo la sinistra democratica di Mussi; ciò che contano sono i provvedimenti che alla fine vengono assunti, conta sapere se questi provvedimenti difendono oppure demoliscono i diritti dei lavoratori e dei pensionati. In ogni caso il partito di Bertinotti e Giordano e quello di Diliberto non si possono nascondere dietro queste polemiche di palazzo: finché sono nella maggioranza ne condividono tutte le responsabilità.

    In questo contesto non possono essere fatti sconti ai vertici di Cgil, Cisl e Uil, per non dire di quelli dei sindacati di destra Ugl e Cisal anch'essi firmatari del documento governativo. Il loro operato, davvero indifendibile, deve essere fortemente contestato senza timidezze e titubanze: lo richiede la situazione che si è venuta a determinare, lo richiede la posta in gioco assai alta. Costoro hanno tradito vigliaccamente gli interessi e le aspettative delle lavoratrici e dei lavoratori, non hanno nemmeno tenuto ferma quella scarsa e generica piattaforma unitaria approvata per affrontare questa trattativa, si sono rimangiati più volte la parola data, hanno ceduto praticamente su tutti i fronti davanti alle pretese liberiste e antioperaie dei vari Prodi, Damiano, Padoa-Schioppa. La tanto decantata concertazione si è risolta, ancora una volta, nella piena subordinazione alle politiche del governo. Ciò che Epifani, Bonanni e Angeletti avevano rifiutato a Berlusconi, portando in piazza milioni di lavoratori, hanno concesso a Prodi con il sorriso sulle labbra e le pacche sulle spalle. Vergogna! Vergogna! Vergogna!

    Svenduti gli interessi dei lavoratori e dei pensionati

    Nel corso della trattativa, o per meglio dire degli incontri concertativi, abbiamo assistito alla seguente scena: da un lato il governo determinato a conseguire i suoi obiettivi, ossia la controriforma previdenziale, il mantenimento della legge 30 sul "mercato del lavoro" con qualche ritocco insignificante e ininfluente, ulteriori agevolazioni alle imprese per aumentarne la competitività, per nulla infastidito dai pigolii del PRC e del PdCI; dall'altro le segreterie sindacali che hanno operato senza consultare la base e senza il mandato dei diretti interessati, non hanno avuto il coraggio, o non hanno voluto, obiettare nemmeno su quei punti che avevano detto essere irrinunciabili, soprattutto hanno evitato la mobilitazione dei lavoratori, nonostante che essa spontaneamente avesse incominciato a svilupparsi, specie tra i metalmeccanici. Con queste premesse, l'epilogo non poteva che essere disastroso.

    Quando il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, afferma con una faccia tosta senza pari che quello sottoscritto dal governo, i sindacati e le associazioni padronali è l'accordo migliore degli ultimi 25 anni fa della demagogia pura e semplice, dice una balla grossa come una casa, comunque ciò non è vero per i lavoratori, i giovani, le donne e i pensionati. A loro si dà quasi nulla e si leva tanto per l'oggi e il domani. Ci guadagna il bilancio dello Stato che non a caso attua le modifiche previdenziali a costo zero e, in prospettiva, taglia la spesa pensionistica. Ci guadagnano i padroni e lo dicono apertamente, esprimendo apprezzamento nei riguardi del pacchetto di misure sul lavoro (decontribuzione del lavoro straordinario, incentivazione della contrattazione di secondo livello con agevolazioni fiscali per il premio di risultato, adeguamento delle flessibilità). Parlare dunque di "compromesso onorevole", come tentano di giustificarsi i vertici sindacali, è del tutto improprio, un inganno puro. Cedimento e capitolazione, svendita degli interessi dei lavoratori e dei pensionati, tradimento della loro rappresentanza, queste sono le parole giuste e fondate! Ciò è particolarmente vero per la Cgil, la quale nell'ultimo congresso nazionale aveva espresso posizioni opposte ora buttate a mare.

    Non c'è esagerazione in questi giudizi duri e netti. Basta esaminare correttamente, senza infingimenti, senza imbellettamenti e chimere future la proposta governativa; sciaguratamente avallata dai vertici sindacali. Le affermazioni di principio che, pure ci sono nel protocollo, non contano nulla se non sono supportate da proposte concrete da attuarsi subito o quanto meno in tempi brevi e certi. Poco contano anche certe misure che ad essere buoni possono essere giudicate "positive" per quanto irrisorie nella quantità, in un ambito complessivo estremamente negativo e dannoso per i trattamenti previdenziali e per le condizioni dei lavoratori. A parte il lieve incremento per le pensioni basse, negli altri 6 capitoli del protocollo, il governo fa finta di dare ma in realtà leva. Questo vale per i lavoratori, non per i capitalisti i quali invece portano a casa forse di più di quello che avevano ottenuto dal precedente esecutivo. Alla fine ciò che prevale su tutto sono i conti pubblici in linea a quanto dettato da Bruxelles, è la competitività delle imprese italiane nel mercato europeo e mondiale.

    Pensioni

    Viene modificata la "riforma Maroni", ma in peggio. Essa, come è noto, prevedeva dal 1° gennaio 2008 (lo scalone) l'elevamento dell'età pensionabile da 57 a 60 anni + 35 di contributi per andare in pensione di anzianità. Prevedeva per il 2011 l'età minima della pensione con 35 anni di contributi e con 61 anni. Nel 2013 una verifica sui conti per decidere l'innalzamento dell'età a 62 sempre con 35 anni di contributi o lasciare i 61 anni. Ebbene, lo scalone è stato tolto ma non per tornare ai 57 anni + 35 anni di contributi com'era scritto nella piattaforma sindacale. Sono stati inseriti degli scalini e delle quote a salire (la somma tra anni anagrafici e anni lavorati) che raggiungono gli stessi obiettivi della controriforma berlusconiana, sia pure in modo più graduale. Fa di più perché con un anno di anticipo porta l'età pensionabile a 62 (63 per gli autonomi) in modo certo invece che da valutare in base all'andamento dei conti previdenziali. Vediamo: dal 1° gennaio 2008 - 58 anni di età (invece dei 57 attuali) e 35 anni di contributi; dal 1° gennaio 2009 - 59 di età e 36 di contributi, oppure 60 anni e 35 di contributi (quota 95); dal 1° gennaio 2011 - 60 anni di età e 36 di contributi, oppure 61 anni e 35 di contributi (quota 96); dal 1° gennaio 2013 - 61 anni di età e 36 di contributi, oppure 62 e 35 anni di contributi (quota 97).

    Questa operazione, afferma il governo per farsi bello e intimidire i lavoratori, costa 10 miliardi. Senza dire che questi soldi previdenziali erano dei lavoratori, che il governo Berlusconi aveva tagliato e che Prodi aveva promesso di restituire. E c'è da aggiungere che sono a costo zero per lo Stato e sono interamente coperti dal sistema previdenziale pubblico. Ecco come: dal 2011 i contributi sulla busta paga dei lavoratori dipendenti, parasubordinati e autonomi verranno aumentati dello 0,9%. Aumentano inoltre le aliquote contributive dei parasubordinati (1 punto l'anno dal 1° gennaio 2008 fino a tre punti). Viene sospesa per un anno l'indicizzazione delle pensioni superiori a 8 volte la minima e vengono aumentate le contribuzioni per i lavoratori e pensionati soggetti a fondi speciali. Da non dimenticare, l'aumento della contribuzione a carico dei lavoratori dipendenti dello 0,30% imposto dalla precedente legge finanziaria.

    Quanto all'esclusione dei lavori usuranti, comprensiva di quelli stabiliti nel "decreto Salvi" del 1999, più i lavori notturni secondo la legge n.66 del 2003, esclusione vantata dal governo, dai sindacati e dallo stesso PRC come un fiore all'occhiello della "riforma", va detto che questa misura è destinata a introdurre deleterie divisioni tra lavoratori e infiniti conflitti nell'interpretazione. Va detto che tale esclusione è contingentata fino a un massimo di 5.000 unità all'anno fino al 2017, lasciando a una commissione tecnica il compito di stilare una graduatoria. Va detto infine che comunque ogni operazione è soggetta alla compatibilità con gli equilibri della finanza pubblica.

    C'è il trucco nel ripristino delle quattro finestre per andare in pensione di anzianità con 40 anni di contributi, in luogo di due. E nel contempo vengono introdotte le finestre sulle pensioni di vecchiaia che oggi ne sono sprovviste. Con una mano si dà e con l'altra si leva, però non in misura uguale ma di più. Le donne che potevano lasciare il lavoro a 60 anni, a causa delle finestre dovranno ritardare il pensionamento. Lo stesso vale per gli uomini giunti ai 65 anni. Dunque non è vero che il pensionamento delle donne non è stato toccato!

    L'aspetto più negativo e grave del capitolo previdenziale è forse quello che riguarda la riduzione dei coefficienti di calcolo delle pensioni. Primo perché nel protocollo Prodi siamo andati ben al di là di quanto stabilito nella "riforma" Dini. Secondo perché i vertici sindacali lo avevano indicato come un punto di rottura e avevano minacciato la mobilitazione generale dei lavoratori. Invece si sono calati le braghe in modo assolutamente indecoroso. È richiamata la legge 335 ("riforma" Dini) per ribadire l'inderogabilità della revisione dei coefficienti di trasformazione. Per questo è costituita una Commissione tra le parti per valutare gli andamenti degli equilibri della spesa pensionistica. Ma intanto è stabilito che dal 1° gennaio 2010 entra in vigore (nota bene!) la revisione automatica dei coefficienti. Essa avverrà ogni tre anni, senza verifica tra le parti, ma con un decreto del governo. A quella data si comincia con un taglio per le pensioni calcolate col metodo contributivo del valore tra il 6 e l'8%. Ciò potrebbe avvenire anche nel 2013 e nel 2016, visto che la prossima verifica della suddetta commissione avverrà nel 2017-2018. Il governo Prodi introduce insomma una sorta di scala mobile alla rovescia sulle pensioni per ridurle a suo (e dei governi che gli succederanno) piacimento, senza che i sindacati e i lavoratori possano metterci bocca.

    Legge 30

    C'è da dire molto in modo fortemente critico sul capitolo che tratta il "mercato del lavoro". In particolare sulla legge 30 e sui decreti 276 e 368, varati dal governo Berlusconi, che avevano peggiorato il precedente "pacchetto Treu", votato anche dal PRC, precarizzando tutti i contratti di lavoro. Prodi e la sua coalizione avevano giurato nel programma elettorale (vedi pag.162) di cancellare tale legislazione per ridurre drasticamente l'uso dei contratti precari. I vertici sindacali si erano riproposti di ottenere modifiche sostanziali. Nel protocollo non c'è niente di ciò. Le speranze degli oltre tre milioni di giovani condannati alla precarietà sono state deluse. Tutte queste forme di supersfruttamento rimangono sostanzialmente in piedi.

    Lavoro a progetto (co.co.pro.). Non è stato abolito. Inoltre, non c'è nessuna misura formale che lo ridefinisca per ridurne drasticamente gli abusi. Anzi si consolida questa forma contrattuale con l'aumento dei contributi, in gran parte a carico del lavoratore.

    Contratto a termine. Viene peggiorata la normativa regolata dal decreto 368. Rimane intanto la piena libertà da parte dei padroni che non sono tenuti a specificare alcuna motivazione per l'uso dei contratti a termine. Questo vale anche in termini temporali. Da un lato viene introdotto un tetto di 36 mesi di lavoro nella stessa azienda anche in modo non continuativo (esempio nell'arco di sei anni) per avere diritto all'assunzione a tempo indeterminato. Dall'altro si stabilisce la possibilità di proroghe senza soluzione di continuità. È sufficiente che il lavoratore e l'azienda si rechino presso la Direzione Provinciale del Lavoro per stipulare un nuovo contratto a tempo determinato. Il lavoratore interessato, sotto ricatto, non avrà scelta che quella di firmare.

    Lavoro interinale. Di cancellazione nemmeno l'ombra. Tutto resta come sancito nel decreto 276. Infatti, nessun limite di alcun tipo, né quantitativo, né qualitativo, né nella reiterazione dei contratti, viene posto sull'utilizzo del lavoro interinale (contratto di somministrazione a tempo determinato).

    Staff leasing. Nemmeno lo Staff leasing viene abolito, contrariamente a quanto annunciato. Il contratto di somministrazione a tempo indeterminato viene mantenuto e anche sostenuto con opportune incentivazioni erogate alle stesse agenzie interinali che lucrano su questi lavoratori.

    Lavoro a chiamata. Questa forma di lavoro, chiamata in inglese anche Job on call, è stata cancellata. Però, attenzione, il protocollo propone, in sostituzione, di definire, con un'apposita commissione, una forma part-time per brevi periodi che potrebbe assumere la stessa funzione del lavoro a chiamata. Con gli stessi impatti negativi per i lavoratori.

    Regali alle imprese

    Oltre al mantenimento delle suddette flessibilità del lavoro, che hanno fatto esultare la Confindustria, il protocollo di Prodi contiene altre misure per "aumentare la competitività delle imprese", misure a favore dei padroni e a danno dei lavoratori, anche perché introducono di soppiatto pezzi inaccettabili e da respingere di "riforma" della contrattazione. Lo scopo di queste misure è infatti quello di ridurre il "costo del lavoro", ottenere con maggiore facilità e minori oneri flessibilità orarie, incentivare la contrattazione di secondo livello erodendo ruolo e funzione del contratto nazionale di lavoro, accentuare cos'è il salario variabile rispetto a quello contrattuale e professionale Come? La decontribuzione del lavoro straordinario (più per i padroni che per i lavoratori) e un alleggerimento dell'imposizione fiscale sul "premio di risultato" contrattato a livello aziendale. Il risparmio complessivo preventivato per le aziende in base alla situazione attuale è di diverse centinaia di milioni di euro. Soldi questi sottratti alle casse dell'Inps.

    Referendum e sciopero generale

    La valutazione sul protocollo Prodi rimane negativa considerando anche i miseri aumenti accordati alle pensioni basse: 29 euro mensili medie ai pensionati da lavoro oltre i 64 anni con un assegno pensionistico inferiore ai 693 euro al mese. Mentre 12 euro mensili di aumento dovrebbero andare alle pensioni sociali. Lo stesso può dirsi per i provvedimenti, generici e irrisori, previsti per i giovani e le donne.

    La partita però non è affatto chiusa. Con la riapertura delle fabbriche dovrebbe partire la consultazione dei lavoratori, promessa dai vertici Cgil, Cisl e Uil al momento della firma, a fine luglio. Questo è un momento importante della battaglia. Lo sforzo deve essere fatto per imporre un corretto e democratico svolgimento di detta consultazione, garantendo la presenza delle due posizioni, quella a favore e quella contraria, in ogni assemblea. Lo sforzo va fatto per imporre alle confederazioni l'organizzazione del referendum tra tutti i lavoratori e il voto certificato che determini un mandato vincolante. La Fiom, "Rete 28 aprile" e, in questo caso, "Lavoro e società" nella Cgil, critici verso il protocollo, possono svolgere una funzione importante. Gli stessi sindacati non confederali, nettamente contrari alla proposta governativa, possono dare un contributo apprezzabile. Unitamente a ciò c'è la necessità di dare continuità e sviluppo alla mobilitazione che spontaneamente tanti lavoratori e Rsu hanno messo in campo prima delle ferie. Per non dire dei pensionati più volte scesi a Roma con manifestazioni nazionali. Una mobilitazione più larga possibile che raccolga le solidarietà degli studenti, degli intellettuali e delle masse popolari in genere.

    Se poi dovesse cadere il governo, meglio che ciò avvenga per moti di piazza che per intrighi parlamentari.

    Risolutivo per bloccare il welfare di Prodi potrebbe essere uno sciopero generale che noi chiediamo a tutte le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei pensionati di proclamare. Non c'è da contare, purtroppo, su Cgil, Cisl e Uil, ma le loro correnti interne di sinistra potrebbero mobilitarsi per lo sciopero generale.

    Per noi il protocollo non va emendato ma respinto in toto. Invitiamo i lavoratori e i pensionati militanti e simpatizzanti del PMLI a mobilitarsi in tal senso cercando di coinvolgere, promuovendo riunioni e documenti, i loro compagni di lavoro, di pensione e di sindacato. Bisogna propagandare al massimo il No al referendum e battersi con tutte le proprie forze perché venga proclamato lo sciopero generale.

    "Il Bolscevico", organo del PMLI, n. 31/07

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