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Discussione su un’alternativa socialista di società

(15 Febbraio 2007)

Un articolo di Lucio Costa, “Alcune riflessioni sul futuro della sinistra comunista”, descrive con precisione il completo fallimento del velleitario tentativo di Rifondazione e della cosiddetta Sinistra radicale di condizionare, in senso favorevole ai lavoratori, la politica del governo Prodi. Chi è comunista non può non condividere questa condanna, ormai “passata in giudicato”, e la preoccupazione per la sparizione di “ogni riflessione e discussione sul tema di una alternativa socialista di società, su come costruirla in tempi politici necessari, sul ruolo e sull’azione dei comunisti”.

Nell’articolo si auspica un ampia discussione, alla quale cercherò di portare un contributo, premettendo che un accordo sulla parte critica dell’articolo non esclude qualche divergenza su alcuni punti programmatici proposti.

E’ utile fare prima un quadro generale, nel quale collocare le singole rivendicazioni e proposte.

Il fallimento della politica di Rifondazione era previsto. C’è un’illusione, che s’impadronisce periodicamente di settori del movimento operaio, di potere cambiare la società entrando in governi diretti dalla borghesia. La formulazione più recente di questa illusione può essere sintetizzata così: “Se la Lega di Bossi, che ha poco più del 3% dell’elettorato, è riuscita ad ottenere significativi risultati per i settori sociali che rappresenta (media e piccola borghesia, soprattutto della Lombardia e del Veneto), perché Rifondazione non potrebbe strappare importanti provvedimenti a favore dei lavoratori, andando al governo?” Questo ragionamento non tiene affatto conto della natura di questo stato. Lo stato borghese non è un terreno neutro sul quale lavoratori e borghesia si affrontano ad armi pari, ma è costruito in funzione del capitale. Con l’eccezione di funzionari orientati a sinistra, dalla macchina statale i lavoratori devono attendersi intralci, burocratismi, lungaggini, se non l’aperto sabotaggio dei pochi provvedimenti a loro favore. Sappiamo dai fondatori del marxismo che lo stato è l’organizzazione che le classi dominanti si sono date per difendere i loro privilegi sociali. Perciò le modalità della lotta sono assai più complesse di quelle semplicistiche di chi pensa che, per ottenere grandi risultati, basti entrare nella “stanza dei bottoni” (per scoprire, poi, che questi bottoni, chiunque li prema, operano a favore della borghesia). Le politiche bertinottiane di collaborazione governativa erano già sconfessate fin dai tempi di Louis Blanc e della rivoluzione del 1848. I riformisti hanno in comune con gli anarchici una visione quasi superstiziosa del ruolo dello stato, anche se per i secondi è la fonte di tutti i mali e per i primi è il risolutore di tutti i problemi della società. (1)

In realtà, il vero protagonista non è lo stato, ma la società. Quando una classe sociale è al crepuscolo, il suo stato tende a disgregarsi. Nei primi giorni della rivoluzione del febbraio 1917, il Soviet si era installato nel palazzo di Tauride con pochissime protezione, e sarebbe bastata una sola compagnia fedele allo zar per arrestarne tutti i dirigenti. Ma le truppe mandate per “ristabilire l’ordine”, non appena arrivavano alla periferia di Pietrogrado, aderivano alla rivoluzione. Il vecchio stato, fatto per salvaguardare gli interessi dell’aristocrazia terriera, era ormai inservibile persino per la borghesia, che pure fece qualche tentativo di salvare la successione dinastica.

I comunisti, perciò, non possono governare mediante lo stato borghese, ma devono sostituirlo con una Comune, o repubblica dei Consigli. Questo non vuol dire attendere passivamente che la borghesia abbia esaurito la sua funzione storica e che il suo stato si disgreghi. La politica delle attuali istituzioni non può essere indifferente per i lavoratori, proprio perché la sentono sulla propria pelle.

Il modo corretto di influire sulle decisioni dello stato borghese non è quello della partecipazione a governi con la borghesia, ma quello della spietata denuncia politica, delle lotte di piazza e sindacali, per costringerlo ad adottare provvedimenti o misure legislative a favore dei lavoratori.

Le rivendicazioni possono essere di vario tipo. Ce ne sono alcune che sono compatibili col sistema: per esempio, in periodi preelettorali, al tempo dei governi democristiani era abbastanza facile che si concedessero aumenti di stipendio agli statali. La vera lotta cominciava dopo le elezioni, quando i governi cercavano di riprendersi le somme concesse con aumenti delle tariffe, delle imposte indirette, o con la svalutazione. Dopo il passaggio dalla lire all’euro la facile soluzione di aumentare la spesa e poi svalutare non è più possibile, e questo ha cambiato anche le modalità delle lotte sindacali.

Altre rivendicazioni richiedono durissime lotte, per esempio la riduzione per legge dell’orario di lavoro, oppure, per rimanere nell’ambito del presente, la battaglia per impedire il raddoppio della base di Vicenza. Questo – sarà bene ricordarlo ancora – non è un problema soltanto locale o nazionale, ma, implicando i rapporti tra stati, diventa una caso internazionale, e soltanto su questo piano può essere risolto, chiedendo la solidarietà dei lavoratori e degli antimilitaristi di altri paesi, a cominciare da quelli americani.

Ci sono rivendicazioni che la borghesia non potrebbe mai accettare, perché significherebbero l’inizio della fine del regime borghese e l’ascesa al potere dei lavoratori... L’esempio più classico è dato dai punti contenuti nell’opuscolo di Lenin “La catastrofe imminente e come lottare contro di essa”, e cioè la nazionalizzazione delle banche e dei sindacati capitalistici, l’abolizione del segreto commerciale, la regolamentazione del consumo, ecc. Non è vero che sono temi da propagandare solo in periodi rivoluzionari, e che non hanno nessun rapporto con la vita di oggi.

Si pensi al segreto bancario e commerciale: non è forse questo segreto che ha permesso le gigantesche truffe di Parmalat, Cirio e dei bond argentini, che hanno depredato un numero ingentissimo di risparmiatori? E l’esigenza dell’abolizione della diplomazia segreta è forse priva di attualità? Proprio sulla base di accordi segreti, o comunque siglati con gli Stati Uniti sulla testa delle popolazioni locali, Prodi, dopo aver menato il can per l’aia per scaricare su altri la responsabilità, ha dichiarato che la decisione di costruire la base a Vicenza era definitiva, e che non si poteva tornare indietro.

Fatte questa precisazioni, vedendo i punti presentati da Lucio Costa, è impossibile non essere d’accordo quando chiede la chiusura dei depositi di armi atomiche presenti nel paese, o l’estensione delle tutele previste dallo Statuto dei lavoratori a tutti i settori pubblici e privati, o il riconoscimento del carattere prioritario dei diritti alla salute, alla casa, all’istruzione.

Occorre però discutere tre punti, che possono creare dubbi. Essi sono:

1) “Ritorno all’economia mista e alla programmazione entro i quali si deve sviluppare il mercato regolato. Proprietà e gestione pubblica dei beni comuni essenziali.”

Nel capitalismo avanzato c’è un parziale superamento dell’anarchia di mercato, ma la programmazione la fanno i monopoli, che decidono di chiudere determinate fabbriche troppo concorrenziali, di concordare i prezzi per tenerli alti, ecc. La cosiddetta programmazione dello stato borghese non è altro che la traduzione, in un linguaggio apparentemente sociale, degli interessi dei grandi complessi industriali e bancari.

La programmazione, o meglio, la pianificazione dei lavoratori, potrà essere sviluppata solo dopo la conquista del potere, e porterà a crescenti limitazioni dell’autonomia del mercato, finalizzate ad un completo superamento di ogni forma mercantile. Questo non significa che già oggi non si possa fare qualcosa con le lotte: impedire la chiusura di fabbriche, imporre la riduzione di tariffe, prezzi politici per prodotti di consumo essenziali, l’abolizione di ticket, impedire la chiusura di ospedali, ecc. Bisogna smascherare la programmazione capitalistica, condotta sempre e comunque contro i lavoratori, e non illudersi che uno stato programmatore sia preferibile a uno liberale. L’esempio più classico di programmazione capitalistica è dato dalla Germania del Kaiser, che controllava perfettamente l’economia per subordinarla ad esigenze belliche. La programmazione democratica nel capitalismo è una pia illusione.

2) “Revisione del concordato e di ogni altro patto con la Chiesa cattolica di privilegio rispetto al trattamento riservato ad ogni altra espressione religiosa”.

La posizione classica del marxismo è di rifiuto di qualsiasi forma di concordato. Lenin ha chiarito che i comunisti devono esigere che lo stato consideri la religione come un fatto privato. Ciò non vuol dire, ovviamente, che anche per i comunisti la religione sia un fatto privato, e che debba cessare la propaganda tendente a dimostrare il suo carattere alienante. Si tratta solo di garantire la neutralità dello stato borghese, dal quale non si può pretendere l’adesione a posizioni più avanzate.

Per questo, la parola d’ordine è “abolizione del concordato”, e bisogna essere consapevoli che comporta anche una revisione costituzionale, e quindi una lotta assai più impegnativa.

3) “Costruire alleanze – senza politiche di scambio – tra lavoratori dipendenti, autonomi e ceto medio produttivo in base al principio che lo sviluppo sostenibile che difenda l’ambiente è prima di tutto un diritto della persona e non semplicemente la conseguenza della crescita del PIL”

Il proletariato ha un suo programma politico, ed è naturale che certi artigiani, certi piccoli commercianti vi aderiscano, non tanto in considerazione dei propri interessi immediati, ma di quelli futuri, perché capiscono, e sentono sulla propria pelle, che il processo di proletarizzazione avanza e fa precipitare nel proletariato, o addirittura nel pauperismo, crescenti strati di piccoli borghesi. Però un’alleanza con settori non in crisi del ceto medio, ben saldi nella difesa dei propri attuali interessi assai divergenti da quelli del proletariato, riporterebbe a quella politica interclassista che tanto efficacemente è stata demolita nella prima parte dell’articolo di Costa. E’ ovvio che vi sono sempre dei singoli che, avendo maturato una visione più avanzata delle contraddizioni del capitalismo, aderiscono al comunismo, anche se la loro condizione economica è florida. Ma si tratta di piccole minoranze.

Questo non significa che la propaganda politica non debba essere rivolta anche nei confronti di questi settori – anzi, Lenin dice che deve essere rivolta a tutte le classi sociali – e che non si possano formulare specifiche rivendicazioni a loro favore. Si può convergere su determinati punti, senza legarsi le mani con un’alleanza vera e propria. Un’alleanza significherebbe cercare di garantire a questi settori della società il mantenimento della loro attuale posizione sociale, cioè bloccare il processo di proletarizzazione, il che nei lunghi periodi è impossibile e quando si verifica per brevi periodi è reazionario. (2)

Quanto allo sviluppo sostenibile, è assolutamente illusorio immaginare che il capitalismo possa fare a meno di uno sviluppo distruttivo, non solo dell’ambiente, ma anche di strati crescenti dell’umanità, come dimostrano le guerre, gli omicidi bianchi, la privazione di medicine essenziali in vaste zone del pianeta, la diffusione di droghe, ecc.

Lo sviluppo potrà avvenire in armonia con la natura e la società solo dopo la distruzione del capitalismo, che è il dominio del lavoro morto sul lavoro vivente, e quindi non può evitare di essere distruttivo. E diventa maggiormente devastatore, quanto più cresce la preponderanza del lavoro morto (macchinari, materie prime) sul lavoro vivente dell’operaio.

Le battaglie per difendere l’ambiente, indispensabili per salvaguardare condizioni di vivibilità, non possono essere risolutive del problema ambientale, ma devono essere utilizzate per far comprendere l’incapacità del capitalismo di affrontare tale gigantesco problema, e conseguentemente la necessità di contrastarlo continuamente, nella prospettiva di farlo crollare e di sostituirlo con un altro sistema sociale che non devastatore della natura e dei rapporti umani.

Il problema del percorso dall’opposizione a un governo borghese in tutti i campi fino al socialismo – che poi è il problema della rivoluzione, che avrà certamente modalità diverse dall’ottobre 1917, pur basandosi sugli stessi principi – richiede uno studio molto ampio e una serie di esperienze fatte dall’intera classe, e non può essere risolto da uno o da pochi militanti; ma è essenziale che se ne cominci a parlare.

Un altro articolo, di Astengo, pone i problemi della crisi della sinistra, e rivolgendosi soprattutto a Russo Spena, “compagno di tante battaglie”, dice:

“Allora serve un atto di coraggio, che non può essere, per Rifondazione Comunista quello del ritorno all'opposizione: questa sì che sarebbe una storia ambigua.
Il gesto di coraggio deve essere quella della presa d'atto fino in fondo del percorso che è stato compiuto e dell'allineamento, senza infingimenti, con la politica liberista, atlantica, filo–americana di questo governo: si tratta di avere il coraggio di perdere qualche centinaia di migliaia di voti, di liberare tutti dall'equivoco del ritorno della destra, del consentire a sinistra la riapertura di una dialettica seria, fondata su di un confronto serrato tra chi ormai è “di governo”, comunque, e chi se ne colloca fuori, traguardando ancora una alternativa non politicista, ma di società.” (3)

Questa posizione non considera che l’interesse che il governo Prodi ha per Rifondazione, al di là del puro appoggio parlamentare, deriva proprio dall’ambiguità della politica di questo partito: se si accettasse la proposta di Astengo, l’intero elettorato di sinistra non si limiterebbe ad un evidente malcontento, ma griderebbe al tradimento e farebbe crollare Rifondazione, la sinistra “radicale” e il governo Prodi. Per ottenere l’integrazione di vasti settori nel quadro borghese, la svolta deve procedere lentamente, non riservare sorprese troppo improvvise agli iscritti, ci deve essere qualcuno che sostiene – meglio se in buona fede - che è possibile ancora far cambiare rotta al governo, o almeno raddrizzare il partito, o che è possibile fare un’opposizione restando all’interno. D’altra parte, escludendo i dirigenti, il grosso della base e dei quadri intermedi non ha una chiara coscienza delle trasformazione radicale che il partito ha subito. Molti sono troppo presi dalla politica locale, dove s’illudono di avere un grande margine di manovra. Lo spostamento a destra nella base avviene lentamente, se ne vanno i più radicali, entrano i riformisti. Di quelli che restano, molti si adattano, altri vengono quasi insensibilmente emarginati, e, poiché conservano alcune illusioni per lungo tempo, escono troppo tardi, quando ormai sono troppo delusi per riprendere la lotta politica.

E’ questa, purtroppo, la situazione. I dirigenti di Rifondazione non concederanno mai quel “taglio chirurgico” che Astengo invoca, è compito degli oppositori fare chiarezza, smascherando la politica del partito, e riconquistando chi vi si opponeva, ma è stato bloccato dai dubbi.

Sarebbe troppo semplice chiedere come punto di partenza un chiarimento politico, che può essere solo frutto di una lunga e penosa lotta, spesso contro chi è stato fino a poco tempo fa “compagno di tante battaglie”.

Resta l’ipotesi che l’articolo non sia da prendere alla lettera, ma costituisca una sfida, sapendo che i dirigenti di Rifondazione non sono in grado di accoglierla, e si limiteranno a rispondere con le solite chiacchere, perdendo quel poco di credibilità che è loro rimasta.

13 febbraio 2007

Note:

1) In una lettera a Cuno del 24 gennaio 1972, scrive: “Bakunin afferma che lo Stato ha creato il capitale, che il capitalista ha il suo capitale solo per grazia dello Stato. Poiché lo Stato è il male principale, si deve prima di tutto sopprimere lo stato, e allora il capitale se ne andrà al diavolo da solo. Noi diciamo il contrario: distruggete il capitale, l’appropriazione di tutti i mezzi di produzione da parte di pochi, e lo stato cadrà da sé. La differenza è essenziale. La soppressione dello Stato senza precedente rivolgimento sociale è un assurdo: infatti la soppressione del capitale è appunto il rivolgimento sociale e racchiude in sé una trasformazione di tutto il modo di produzione”

2) Per comprendere meglio il problema, potrà essere utile una digressione storica. Engels pose il problema dei pericoli derivati da un’alleanza col più numeroso strato sociale non proletario di allora, i contadini piccoli proprietari, i mezzadri, ecc. Al Congresso di Marsiglia del 1892, i socialisti francesi appovarono un programma agrario, ed ebbero notevoli successi nelle campagne. Ma passarono il segno, e, in cerca di consensi, cercarono di adattare il programma ai desideri dei contadini, cadendo così nell’opportunismo. Engels, ne “La questione contadina in Francia e Germania, condannò questo errore e scrisse: “ Come si potrebbe portare aiuto al contadino, non come futuro proletario, ma come contadino proprietario di oggi, senza tradire i principi fondamentali del programma socialista generale?”
( Nel testo italiano delle “Opere Scelte” c’è una svista, perché c’è scritto: “Il contadino non come il proletario di domani, ma come il proletario di oggi”, il che, non solo non corrisponde all’originale, ma non ha proprio senso).

3) Franco Astengo, “Il coraggio di Rifondazione” (panerose, 10 febbraio 2007)

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