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Ovazione a Dublino

Ovazione a Dublino

(5 Settembre 2010) Enzo Apicella
Balir contestato a Dublino da un fitto lancio di uova. In Italia contestati dell'Utri e Schifani, in modo molto più "morbido", ma con reazioni istituzionali spropositate

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(Il nuovo ordine mondiale è guerra)

La politica estera e militare dell'Italia, tra discontinuità e neocolonialismo: il caso Kosovo

(3 Settembre 2007)

Sarà un caso, ma un detto in uso tra i rom kosovari a metà anni 90 diceva più o meno: "se la guerra arriva in Kosovo poi tutto il mondo prende fuoco". Proverbi, modi di dire popolari a parte (ma pure loro hanno un significato legato all'esperienza) la questione del Kosovo, nonostante si cerchi di tenerla ai margini del dibattito politico, continuamente e in modo prepotente continua a prendersi quello spazio che piccole e grandi ipocrisie vorrebbero levargli.

Non è secondario notare come, a differenza delle sfumature riguardo alla dinamica mediorientale, dove il governo italiano ha mostrato alcuni segnali di relativa discontinuità e alcuni distinguo rispetto alla politica americana, in relazione agli esiti della guerra "umanitaria" che sconvolse i vicini Balcani non si notano crepe significative. Se, come è, tutto segue quell'intreccio di interessi che denotano la natura di uno stato, viene da chiedersi il perché di questa discrepanza. Evidentemente i giochi in ballo in Medio Oriente consigliano alla attuale guida del Paese di tenere un profilo distinto, relativamente autonomo, e questo non certo per benevolenza nei riguardi di un popolo, quello palestinese, e per le sue sofferenze: in politica estera giocano piuttosto gli interessi e le loro proiezioni sullo scenario mondiale. Come abbiamo visto, rispetto al Medio Oriente non c'è uniformità di vedute tra la attuale maggioranza e l'opposizione di destra, assai più in sintonia quest'ultima con la linea dell'attuale amministrazione americana.

Ma torniamo alla vicenda balcanica, la sinistra, quella parte cioè che merita questo nome e che si oppose, anche se in modo timido e impreparato a quella guerra, continua ad essere disorientata di fronte agli accadimenti di questa regione a noi così vicina, ma psicologicamente considerata, a torto, lontana anni luce. Da molti viene vissuto con fastidio ogni richiamo a quella vicenda, una sorta di istintiva vergogna e di rimozione, come se fosse cosa del passato da relegare a un angolo nascosto della nostra memoria. E invece è una realtà che ci sbatte in faccia il primo rom kosovaro che troviamo al semaforo mentre andiamo al lavoro, con fastidio molti scoprono che le conseguenze di quella guerra si sono riversate in larga parte entro i nostri confini, determinando un grave problema sociale col quale ora bisogna fare i conti.

Ma non è solo questa la conseguenza di quella guerra, né le sue implicazioni restano confinate all'enormità dei danni prodotti su tutti i piani con quella criminale e crudele aggressione imperialista, il cui disastro umano ed ambientale dovrebbe tormentare la coscienza dei molti che quella guerra sostennero. In realtà gli interessi in ballo sono molteplici e si proiettano in modo prepotente sullo scacchiere internazionale, la vicenda kosovara assume una importanza centrale nelle relazioni tra l'Europa e il versante Est, quello della Russia per intenderci che in risposta alle provocazioni occidentali ha deciso di riscaldare i motori di una nuova guerra fredda, per non dire tiepida. Dunque la vicenda non riguarda solo un generico umanitarismo di maniera, un buonismo contrapposto a un presunto pragmatismo della ragione. Niente affatto: nei Balcani si gioca in larga parte il nostro stesso futuro e non solo quello dei popoli disgraziati che la strategia di guerra ha voluto sottomettere. Ma sgombrato il campo dalle inesistenti motivazioni "umanitarie" della sporca guerra alla Repubblica Federale (S) Jugoslava, dato questo oramai assodato anche per i più creduloni, rimane difficile intravvedere degli interessi nazionali per quello che sembra non essere altro che il trampolino di lancio di nuove avventure militari ai danni dei popoli esteuropei. E non a caso gli USA hanno installato in Kosovo una delle principali basi militari d'Europa. Qui ad avvantaggiarsi è solo la strategia militare e di guerra degli USA, su questo punto a quanto pare unanimi sia nella componente "democratica" che in quella repubblicana. Tra l'altro la non soluzione di quel conflitto con la vicina Jugoslavia, e la pretesa degli USA di rendere il Kosovo "indipendente", per essere poi annesso ad una Grande Albania, renderà cronico il problema della cacciata dalla loro terra, tollerata e incoraggiata in questi anni anche dalle nostre forze presenti in Kosovo, di alcune centinaia di migliaia di persone. Nel nostro Paese sul piano interno non sono risparmiate da una politica ipocrita e razzista le stesse popolazioni espulse da territori sotto controllo italiano; e in Italia ora si vorrebbe espellerle, concentrarle nelle periferie, lasciarle alla mercee di un terrorismo razzista la cui recrudescenza non pare interessare le istituzioni italiane, che nulla fanno per perseguirlo e prevenirlo, interessate come sono a colpire da una sola parte, a dimostrazione che la legge NON è uguale per tutti. Sullo sfondo la condanna europea per la non applicazione della direttiva contro la discriminazione basata sulla razza e le origini etniche. Tutto ciò rende la posizione italiana e europea rispetto alla questione balcanica assai debole. Sarà per questo allora che un importante circolo "d'opinione" e di pressione americano in questi giorni ha lanciato avvertimenti e minacce, cercando di terrorizzare i paesi europei sulle conseguenze di un non avallo della decisione americana di riconoscere in modo unilaterale, e con l'oppsizione netta della Russia, una prossima secessione dello "stato delle mafie", il Kosovo, dal resto della Serbia di cui fa ancora formalmente parte.

La cosiddetta indipendenza di questo protettorato neocoloniale, suddiviso già ora per aree di influenza cui all'Italia è stata affidata una provincia, aprirebbe una nuova crisi nell'area minacciando immediatamente la stabilità della vicina Macedonia, il fragilissimo equilibrio in Bosnia, rischiando di coinvolgere anche la Grecia, nominalmente membro della NATO ma da sempre contraria alla guerra che insanguinò la Jugoslavia nel 1999, oltre ovviamente la Serbia. Le ripercussioni di questa forzatura americana potrebbero dunque essere tragiche, anche perché a Mosca non siede più l'alcoolista Eltsin e la Russia pare assai più determinata di un tempo a contrastare e prevenire l'espansionismo militare occidentale. Ma il think-tank USA di cui parlavamo, denominato International Crisis Group, che raccoglie tra i suoi membri veterani e diplomatici di area sia repubblicana che "democratica", avverte sui rischi di una inazione europea: che determinerebbe un nuovo bagno di sangue, un sanguinoso conflitto (scenario che evidentemente negli USA è già allo studio) se non verrà accolta la richiesta USA di "indipendenza". Il documento, diffuso tre giorni fa a Bruxelles e a Pristina, in Italia non ha ricevuto l'attenzione che meritava da parte della nostra sonnacchiosa stampa, ma non vi è dubbio che sia stato letto con molta attenzione in ambito governativo.

Nonostante una ulteriore destabilizzazione del teatro europeo sia quanto di peggio si possa augurare ai popoli della regione, e a noi stessi, il governo italiano propende nettamente ad assecondare gli appetiti USA, e la richiesta di riconoscimento di una secessione del Kosovo che darebbe nuova linfa al progetto di una Grande Albania. In cambio di cosa? Non deve passare inosservato su questo punto l'affermarsi di una politica di stampo neocoloniale che vede l'Albania in una posizione particolare rispetto all'Italia. Il nostro Paese infatti dopo aver sostenuto, in barba alla Costituzione italiana e al diritto internazionale, cioè in modo illegale, la sanguinosa guerra del 1999, oggi vanta una presenza in territorio albanese tutt'altro che irrilevante sul terreno sia economico che militare, oltre ovviamente al controllo di una fetta del territorio Kosovaro. E non deve sfuggire come l'Albania si sia "offerta" di partecipare con i propri militari alle missioni cui partecipa il nostro Paese, come si può apprendere da fonti della Difesa italiane. Dopo un periodo di addestramento a Brindisi presso l'82esimo reggimento fanteria, il reparto albanese è pronto con un contingente di uomini per le missioni ISAF in Afghanistan sotto comando italiano. E il governo albanese si è già offerto anche per la missione in Libano, oltre ad essere presente in Bosnia e con una piccola unità anche in Irak. In Afghanistan le truppe scelte albanesi svolgeranno la propria attività sotto il commando italiano ad Herat, localita' a 1800 chilometri ad ovest di Kabul.

Tutto si tiene insomma, tutto torna. La macchina da guerra, nonostante un vergognoso fallimento politico, riconosciuto anche da uomini ai vertici delle Forze Armate e dell'ordine italiane che operarono sul campo, ma ignorato totalmente dalla nostra classe politica, non è capace di altro che di riprodurre se stessa.

su Essere Comunisti del 24/08/2007
http://esserecomunisti.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=17787

Adriano Ascoli

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