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Indignados

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    Politica/antipolitica: partito/antipartito

    (9 Settembre 2007)

    Questo tentativo di analisi è dedicato all'avvenimento del giorno, cui “La Repubblica” ha persino dedicato il titolo di apertura: l'8 Settembre (data fatidica nella storia d'Italia) convocati da un comico, centinaia di migliaia di cittadini hanno invaso le piazze per esprimere, firmando una proposta di legge sulla “moralità della politica”, tutto il loro disgusto e la loro distanza dalla “casta” (ormai si chiama così) dirigente del Paese, al di la delle sempre più labili differenze al suo interno, in termini di valori e progetti.

    Al comizio principale, tenuto dallo stesso comico in Piazza Maggiore a Bologna (una piazza ironica, non dimentichiamolo, che ha sempre dato spazio a momenti di intreccio tra il ludico e il politico) hanno assistito circa 70.000 persone.

    Oggi, tutti si interrogano: trionfo dell'antipolitica; trionfo dell'antipartito; successo mediatico che, alla fine, lascerà comunque le cose come stanno?

    In ogni caso la proposta di legge in questione, esaminata nel merito, appare del tutto minimalista (roba da poco si direbbe...) con qualche aspetto non condivisibile, almeno dal punto di vista di chi scrive, come quello riguardante il limite di mandato per i parlamentari (già il limite di due tornate consecutive per i Sindaci lascia spazio a situazioni complicate..., con qualche punta che arriva al farsesco).

    Ma la proposta di legge era l'ultima delle ragioni di questo affollarsi e di questo voler rendere protagonista il “cittadino comune” che si incontrava con la voglia di tanti “cittadini comuni”, di sentirsi protagonisti.

    Allora, andiamo per ordine e cerchiamo di esaminare le domande che ci siamo posti all'inizio: Politica o Antipolitica? Tanto per cominciare.

    In realtà la manifestazione è stata “tutta politica”, nella sua strutturazione e nella sua estrinsecazione concreta: e neppure comprendeva la richiesta di “un altro modo di fare politica”.

    C'era il leader dal palco, con il vecchio comizio di una volta; c'erano i banchetti militanti, ereditati direttamente da una tradizione radicale che affonda le sue radici direttamente nell'inizio degli anni'70 e quindi nella Prima Repubblica; si saranno già create, vogliamo scommetterlo, all'interno dei gruppi promotori in sede locale le gerarchie dei “piccoli capi” e le “correntine”.

    Insomma: tanto per passare subito al secondo punto ci sono già tutti gli ingredienti per fare un partito (o, almeno una lista elettorale: e c'è già chi la chiede, in nome della necessità, imprescindibile in politica, di “occupare lo spazio”): un partito, ovviamente, retto come quelli post'68 da una “monarchia illuminata”.

    I partiti oggi su piazza (ed in particolare il nascente Partito Democratico) possono subire fastidi da questa operazione?

    Non credo proprio: i partiti (ed in particolare il Partito Democratico), nascosti dietro il paravento dell'assoluta banalità del loro esistere, sono al riparo sul terreno che ormai intendono occupare (ed occupano) per intero.

    Il terreno è quello del “potere di nomina”: quello della scelta esaustiva dei rappresentanti istituzionali e di tutti i soggetti dell'occupazione del potere.

    Una scelta esclusivamente di tipo verticistico (lo stesso Veltroni si propone di indicare direttamente i 500 rappresentanti della cosiddetta “società civile”, nani e ballerine; che sederanno nell'Assemblea Nazionale del PD: un indice del tasso di berlusconismo – craxismo che si riscontra evidente nel futuro “Partitone di Governo”) che non può essere, certo, messa in discussione dalle raccolte di firme e dai comizi che, anzi,alla fine rischiano di risultare funzionali a determinati disegni.

    Nessun rischio di “populismo”, per carità: da nessuna parte.

    In realtà la manifestazione dell'8 Settembre è stata utile perché ha posto in evidenza il vero punto di crisi: quello della rappresentanza politica.

    O si ridiscute l'idea della rappresentanza politica, o tutto resterà come prima.

    C'è, prima di tutto da difendere un punto, quello veramente messo in discussione di questi tempi: ed è quello della libertà di mandato.

    La Libertà di mandato è scritta nella nostra Costituzione, ed è un retaggio del vecchio liberalismo inglese di fine '700 (Burke ne scrive nel 1774), poi raccolta dai “termidoristi” alla fine del Terrore (l'abate Seyes ritiene che la “Nation” possa nascere soltanto attorno al mandato libero: poi lui stesso sarà uno dei tre consoli con Bonaparte, ma questo fa parte dell'altrettanto antica categoria del “trasformismo”).

    Quindi il primo punto della crisi della rappresentanza politica, nello specifico del “caso italiano” è costituito dalla secca limitazione che la “libertà di mandato” ha subito nel corso degli ultimi anni (almeno dall'introduzione del maggioritario).

    Il secondo punto su cui soffermarci intorno alla crisi della rappresentanza politica riguarda il ruolo del Parlamento e delle istituzioni in generale: l'idea che il Parlamento serva ad esprimere una maggioranza comunque che garantisca la “governabilità” (diventata, ormai, fine esaustivo dell'agire politico) ha generato un duplice fenomeno, quello – davvero – della “partitocrazia” (legato a quel potere di nomina, cui si accennava poc'anzi) e l'altro dell'espressione del corporativismo (vedi ruolo della Confindustria, ad esempio, ma non solo).

    Si tratta di fenomeni non nuovi che hanno avuto, però, sviluppi fortissimi tali da generare i fenomeni di cui ci stiamo occupando.

    La rappresentanza deve definire l'unica modalità che permette al popolo di poter agire come corpo politico, e la rappresentanza si può realizzare soltanto sulla base di un confronto organizzato di idee, proposte, intervento di diverse soggettività sociali, che trovano nelle istituzioni il luogo di mediazione tra istanze differenziate e interessi antagonisti.

    Dal nostro punto di vista, di chi intende richiamarsi alla storia, all'eredità politica del movimento operaio, si tratta di meditare su questi punti e capire che il nodo da affrontare è proprio quello di dare rappresentanza adeguata agli interessi antagonisti, non votandoli preventivamente ed esclusivamente alla ricerca di un potere separato, autonomamente espresso – appunto – da una “casta”.

    Savona, li 9 Settembre 2007

    Franco Astengo

    Fonte

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