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Contraddizioni: il no della Fiom

(13 Settembre 2007)

Il Comitato Centrale della FIOM ha respinto il protocollo Governo – Parti Sociali su pensioni e welfare, firmato a Luglio: un episodio di grande rilievo nella vita sociale e politica del nostro Paese, sul quale si sono scatenati i commenti e le dichiarazioni del mondo politico.

Da più parti si è insistito sullo “strappo” consumato all'interno della CGIL: altri hanno preferito ipotizzare scenari riguardanti la cosiddetta “sinistra radicale di governo” (in alcuni casi prefigurando scissioni); da destra è risuonato il solito “leit – motiv” dell'inaffidabilità della cultura di governo del centrosinistra; mentre i più raffinati hanno tacciato i componenti del comitato centrale FIOM che hanno votato il documento di ripulsa del protocollo, di conservatorismo, di legame con il vecchio modello fordista, di ultimi colpi di coda dei cultori della defunta “centralità operaia”.

Nessuno (salvo il “Manifesto” in un fugacissimo accenno nel titolo di prima pagine: “Che classe”, concetto poi non ripreso minimamente negli articoli dedicati all'argomento), ha svolto due punti di valutazione che mi appaiono, invece, basilari e che riassumo schematicamente per comodità d'esposizione:

Il ragionamento fondamentale che la maggioranza del Comitato Centrale della FIOM ha svolto (badate bene: Il Comitato Centrale, quindi il gruppo dirigente, non la base dei lavoratori) parte da un assunto: quello della difesa dei diritti collettivi ed individuali di cui dispone,ancor oggi, in tempi di paurosa recessione (da questo punto di vista) la categoria e l'insieme dei lavoratori dipendenti. Sotto quest'aspetto è evidente l'arretramento fatto registrare dagli anni'80 ad oggi, ed è questo un elemento fondamentale per poter sviluppare un ragionamento adeguato: si è molto parlato, in questi anni, di “diritti individuali del cittadino” mentre si attaccavano, in profondità, i diritti “collettivi dei lavoratori”; diritti collettivi strappati con le lotte operaie dei decenni trascorsi. Diritti collettivi che hanno formato la base per una trasformazione profonda nella concezione dei rapporti di lavoro, che oggi si sta cercando di rendere reversibile (con risultati molto brillanti, almeno dal punto di vista dei padroni). Da dove era scaturita, però, la strategia di ricerca dei diritti collettivi portata avanti, nel corso del'900, da sindacati e partiti di sinistra, più o meno massimalisti ? Da una lettura della contraddizione di classe che trovava, nella fabbrica, il suo luogo più visibile ed immediato per trasformarsi in aggregazione sociale e azione politica (da qui, non semplicemente dalla forza dei numeri, la “centralità operaia” incompatibile con il “sindacato dei cittadini” e la “concertazione”. Oggi la maggioranza dei dirigenti che fanno parte del Comitato Centrale della FIOM, consapevoli di essere sulla difensiva, hanno certificato con il loro voto la permanenza della contraddizione di classe e della centralità operaia sulla scena sociale e politica: la fabbrica rimane la sede principale dell'espressione di questa contraddizione e di questa centralità, in una società sfrangiata, divisa, percorsa da venature individualistiche anche nelle sue parti più esposte alla “revanche” del grande capitale. Ecco: questo mi pare proprio il primo punto di analisi di cui si deve tener conto;

Il secondo elemento su cui riflettere riguarda la “forma politica” attraverso la quale la decisione del “NO” è stata assunta: quella di un gruppo dirigente, espressione rappresentativamente mediata di una categoria sociale. Un luogo questo, del gruppo dirigente FIOM, non ancora integrato nel meccanismo della “personalizzazione” (che ha fatto, invece, “strage di cuori” al vertice della confederazione). Il gruppo dirigente della FIOM si è dimostrato in grado, invece, di “rappresentare” (con tutti i limiti del caso ovviamente: limiti che abbiamo ben presenti) la propria base sociale, e il suo sentire collettivo, organizzando un dibattito molto intenso. Insomma, il NO espresso dal Comitato centrale della FIOM deriva anche da un rifiuto, da parte del corpo militante di questo sindacato, di adeguarsi a quella trasformazione dell' ”agire politico” cui stiamo assistendo, in negativo, ormai da quasi quindici anni.

Poi ci sarebbero da analizzare i possibili risvolti politici: ma, forse, è troppo presto.

Savona, li 12 Settembre 2007

Franco Astengo

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