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Bell'Italia amate sponde

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(16 Maggio 2009) Enzo Apicella
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha reiterato al ministro dell’Interno, Roberto Maroni, la richiesta di porre fine alla prassi del respingimento di migranti dalla Libia.

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(La tolleranza zero)

Dal pacchetto sicurezza...alla detenzione amministrativa? La sottile involuzione della giustizia...

sull'involuzione autoritaria dello stato

(17 Settembre 2007)

Del pacchetto sicurezza che il ministro degli Interni si appresta a proporre si è detto molto già dalle prime anticipazioni. Molte delle voci critiche si sono a ragione soffermate sull'indecenza di un'operazione demagogica che, in perfetta sintonia con le misure degli improvvisati sindaci-“sceriffi", sembra candidata a divenire il tormentone dell'autunno. Nella speranza, forse, che i grandi temi che toccano le condizioni di vita degli italiani (dalla precarietà alle pensioni e alla pace) passino in secondo piano. Un'operazione pericolosa, non solo per la sopravvivenza dell'esecutivo, se una parte consistente del governo e del nascente Pd si schiera su posizioni che pochi mesi fa pensavamo proprie della Lega o di An.

Non è il caso però di soffermarsi sull'apparenza, a tratti ridicola, del sequestro di spugne e secchi d'acqua saponosa ai malcapitati moderni sciuscià. Come si dice ai piani alti del Viminale, si tratta di ingenerare il senso della legalità, un'operazione per noi quasi pedagogica o, per dirla con il sindaco di Firenze Dominici, «un'operazione "leninista"» (sempre per restare al lato tragicomico della faccenda). Sarà, ma dalle anticipazioni apprese sulla stampa di questi giorni la portata del nuovo pacchetto sicurezza, per il quale autorevoli esponenti del centro destra, riconoscendone i connotati così familiari, si sono affrettati a fornire note di apprezzamento, non pare limitata solo agli aspetti relativi alla cosiddetta “microcriminalità”. Sembra infatti che il provvedimento allo studio interverrebbe in una materia che attiene ai poteri ed alla discrezionalità dell'autorità giudiziaria anche prima di una condanna, ad esempio nella facoltà di concedere misure come gli arresti domiciliari. La materia non riguarda cioè soltanto i malcapitati poveracci presi come capri espiatori dei mali della nostra società, non riguarda neppure il solo ed invisibile popolo detenuto; no, il vero tema è quello della libertà di ognuno, dello Stato di diritto così come concepito dalla Costituzione italiana.

Ma facciamo un passo indietro, alle scorse elezioni, vinte, seppure di poco, dall’Unione. Come abbiamo più volte ricordato, quel programma elettorale è andato, in larga parte, inapplicato. Basterebbe andarselo a rileggere. Una delle promesse fatte era relativa alle garanzie democratiche e alla riforma della giustizia: si diceva a chiare lettere che il governo si sarebbe impegnato a favorire lo sviluppo di una giustizia penale dove il ricorso alla detenzione costituisse l'extrema ratio, là dove non fossero applicabili misure alternative. Si diceva, poi, che queste ultime sarebbero state potenziate e sviluppate, così da dare corpo ai principi in larga parte inapplicati dell’art. 27 della Costituzione. Trascorsi quasi due anni ci ritroviamo a fare i conti con tutt’altri orientamenti e con decisioni che nulla hanno a che vedere con quel programma e con le aspettative di milioni di elettori.

Il tema della riforma della giustizia è un tema importante, non fosse altro perché nel nostro Paese è ancora in vigore il codice penale fascista, con le stesse leggi che servirono a incarcerare i padri fondatori della Repubblica. Ed è un tema spinoso perché tocca diritti costituzionali, spesso in contrasto con un codice penale che, inseguendo logiche emergenzialiste, è andato per molti aspetti peggiorando dopo gli anni ‘70, con modifiche e ordinamenti applicativi aberranti. Basti pensare alle leggi “eccezionali” anti-terrorismo introdotte nel 1980 e successivamente modificate, in senso restrittivo, nel 2001. Ma non è finita: si è andato via via applicando un criterio di classificazione per tipologia di reato che stride con il criterio costituzionale di responsabilità personale di fronte alla legge, oltre che con l'art. 3 della Costituzione in tema di uguaglianza di trattamento. Su questo aspetto sino ad ora si era assistito al diffondersi di un meccanismo di tipo amministrativo, relegato più che altro alla fase applicativa della pena e alle condizioni in cui questa doveva essere scontata. Via via sono andate aumentando le esclusioni e le restrizioni per alcune tipologie di condannati in via definitiva, una lista che ora il governo vorrebbe ampliare fino ai reati minori; la legge Gozzini è stata una parentesi ormai resa sterile per l'esclusione di una vastissima gamma di reati dalla sua applicazione. In sostanza, in virtù dell'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario, con modifiche ulteriori introdotte con la legge 279/2002, si è impedito l’accesso alla concessione, comunque discrezionale, delle misure alternative alla detenzione per una vasta gamma di condannati, in particolare per quelli condannati per reati associativi e di pericolo presunto (è il caso, ad esempio, dei reati eversivi). Questi detenuti si sono visti escludere anche formalmente dalle prerogative dell'art. 27 della Costituzione cioè dalle finalità non afflittive della pena, di socializzazione e di reinserimento del reo nella società. E rispetto ad essi la magistratura di sorveglianza si è vista limitare ogni potere di concessione di misure alternative alla detenzione. Sappiamo poi quanto lungaggini, disorganizzazione, discriminazioni geografiche, di classe ed etniche ledano i diritti di chiunque abbia a che fare con il carcere, trasformando in un calvario la vita di molti. Ma non basta: a questa tipologia di condannati viene applicata la restrizione all'interno di bracci speciali (EIV), istituiti con una circolare interna dell'Amministrazione penitenziaria (DAP) e mai ratificati da nessuna legge cioè privi di uno standard definito se non per il grado di limitazioni poco inferiori al 41bis, ciò proprio in base alla classificazione amministrativa per tipologia di reato. E qui viene il punto che ci ricollega all'attualità del nostro discorso iniziale: questo automatismo, verso il quale non è possibile ricorrere di fronte a un giudice, è stato condannato proprio per la sua natura extragiudiziaria e perciò arbitraria dalla Corte Europea di Strasburgo, senza che l'Italia abbia mai mostrato l'intenzione di misure correttive nonstante in questo caso e da anni si violi anche l'art.25 della Costituzione comminando misure di sicurezza non previste da alcuna legge.

Molti lettori si chiederanno perché ricordare queste vicende parlando della misure allo studio in queste ore. Il motivo è semplice: se una inappellabile classificazione di tipo amministrativo per tipologia di reato, indipendente da ogni valutazione di merito sulla persona, viene considerata lesiva dei diritti dell'uomo già a livello di trattamento carcerario (più di quanto lo sia di per sé la detenzione), l'estensione di tale criterio al trattamento in fase precedente a una possibile condanna, e perciò anche a una possibile assoluzione, escludendo o limitando la discrezionalità del giudice sul caso specifico, equivale all’affermazione di un pregiudizio amministrativo così grave da far venir meno i fondamenti formali stessi di uno Stato di diritto. Quanto alla classificazione e alle tipologie di reati presunti che dovrebbero sottostare a questa punizione d'ufficio anticipata o preventiva, questi sono come sempre variabili: è il principio che conta. E la storia ci insegna dov'è poi che si va a cascare. Neppure il Pacchetto Pisanu si spinse a tanto, tale è dunque la rincorsa a destra dei nostri "democratici"?

Rimane un neo in tutta questa canea sicuritaria con evidenti venature razziste, che la criminalità, quella vera, a partire dalle guerre cui il nostro Paese si è prestato, non ha fatto altro che ingrassare e crescere all'ombra dei tank militari (ma questa è, solo in parte, un'altra storia).

Adriano Ascoli

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