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Migranti: C’era una volta

(10 Agosto 2013)

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C’era una volta il diritto alla salute (parliamo del 2012).


Quell’anno è stato firmato uno storico accordo tra lo Stato e le associazioni, che garantisce l’assistenza sanitaria a tutti i migranti, regolari e irregolari, comunitari e non.


Soprattutto, l’accordo prevede clausole specifiche sui minori. I bambini devono essere iscritti al Servizio Sanitario e usufruire del pediatra di libera scelta, indipendentemente dalla loro condizione giuridica. Quindi, non si devono fare distinzioni tra minori “accompagnati” (che vivono in Italia assieme ai propri genitori) e “non accompagnati”.

Quell’accordo, però, deve essere tradotto in leggi, provvedimenti e delibere regionali, altrimenti rischia di rimanere lettera morta. E qui, come si suol dire, casca l’asino, perché molte Regioni non sembrano particolarmente interessate a muoversi.

Qualche esempio:

agli inizi di luglio, il Consiglio Regionale della Lombardia ha bocciato una mozione che avrebbe esteso l’assistenza pediatrica di base anche ai figli di immigrati senza permesso di soggiorno. Presentata da Umberto Ambrosoli (Patto civico), la mozione recepiva proprio le indicazioni della Conferenza Stato-Regioni, ed è stata bocciata per la ferma contrarietà di Lega e PdL.

La situazione a livello nazionale

Se dalle zone dell’«operoso Nord-Est» – Lombardia e Friuli – ci si sposta al piano nazionale, la situazione non migliora. Al contrario invece. Ad oggi l’accordo del 20 dicembre 2012 è stato ratificato formalmente solo da sei regioni (Lazio, Puglia, Campania, Calabria, Liguria, Friuli-Venezia Giulia) e da una provincia autonoma (Trento). E anche chi ha ratificato l’accordo non ha introdotto alcuna novità sostanziale: si è limitato ad approvare una delibera, e nulla di più.

Per quanto riguarda i minori, prima dell’approvazione dell’Accordo solo sei Regioni prevedevano una vera e propria copertura sanitaria per i figli degli irregolari. E le cose, per ora, non sono affatto migliorate. Le resistenze sono moltissime, soprattutto negli apparati burocratici: la vigorosa campagna del centro-destra (all’insegna del “vogliono curare i clandestini a spese nostre”) ha giocato un ruolo negativo in tutta questa vicenda.

Se i minori stranieri costano di più (come se alla vita si potesse dare un prezzo in contanti) è perché molti di loro non hanno diritto al pediatra, non hanno accesso alla prevenzione sanitaria né alle visite specialistiche, e non si curano al primo insorgere di una patologia: spesso, dunque, finiscono per andare al Pronto Soccorso quando le loro condizioni sono già critiche. Per questo i ricoveri sono mediamente più lunghi, i trattamenti medici più complessi, e i costi a carico del Servizio Sanitario più alti.

La morale della favola, per chi la vuol capire, è chiarissima: garantire il pediatra e l’assistenza sanitaria ai minori figli di irregolari costerebbe meno. Ma questo, per chi ragiona solo con gli slogan, è difficile da capire…

Gert Reka - ilsudest.it

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