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“Il massacro del Grappa”

di Sonia Residori - edizioni Cierre-Istrevi

(2 Febbraio 2008)

Contrariamente alla vulgata diffusa e accettata da decenni anche dalla storiografia, durante il rastrellamento sul Grappa del settembre 1944 non si verificò un combattimento sanguinoso tra tedeschi e partigiani con centinaia di morti, ma solo alcuni scontri armati, con un numero limitato di perdite. Civili e resistenti, senza alcuna distinzione, furono trucidati dopo, quando l’operazione militare era terminata. Si trattò di un massacro ordinario, compiuto da reparti italiani e tedeschi come brutale risposta alle frustrazioni causate dalla resistenza partigiana, secondo una matrice maschile della guerra. L’interpretazione, culturalmente più antica, del conflitto come scontro militare tra uomini, portò all’esecuzione in massa di uomini e giovani atti alle armi (in quanto guerrieri potenziali) nella forma dell’esecuzione. In tutti i paesi della fascia pedemontana del Grappa si susseguirono per alcuni giorni fucilazioni e impiccagioni di giovani uomini, secondo l’estro o le attitudini dei rastrellatori: alcune furono precedute da tormenti e bastonature, torture o sevizie; altre furono seguite o alternate all’incendio delle abitazioni e al saccheggio.

L’esibizione del corpo delle vittime, tesa a terrorizzare la popolazione, s’intrecciò con la prassi opposta della loro sparizione, della cancellazione di ogni traccia della loro morte, con esecuzioni quasi clandestine e distruzione dei corpi. Nel massacro del Grappa, alla varietà dei luoghi e delle scansioni temporali, corrispose la molteplicità degli atti di crudeltà e la divisione del lavoro che diede ai carnefici la possibilità di abbandonarsi alle proprie inclinazioni poiché l’unico dovere di ognuno era quello di contribuire con tutte le sue forze allo svolgersi della violenza. Ad esso parteciparono in gran parte gli italiani, le compagnie della Legione Tagliamento e le Brigate Nere, ma alla fine, tutti gli assassini si raggrupparono in un luogo comune per esaltare il lavoro di distruzione e per festeggiare insieme il trionfo della morte dispensata. Si assistette, quindi, ad un patto scellerato tra carnefici, che aveva colto nel massacro l’occasione per riaffermare la compattezza e la solidità della comunità guerriera. Un patto che ha resistito per oltre sessant’anni.

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