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Un appello per la liberazione di Massimo Papini

Il 22 febbraio parte il processo contro Massimo Papini, da mesi detenuto. Egli è accusato di far parte delle nuove Brigate Rosse esclusivamente sulla base del suo rapporto con Diana Blefari.

(17 Febbraio 2010)

Da un paio di anni, alcune operazioni investigative "antiterrorismo" suscitano non poche perplessità e preoccupazioni, soprattutto per la sproporzione fra la gravità dei reati contestati e la realtà mostrata dai fatti. Si va dall'arresto di giovani anarchici di Spoleto a quello del figlio di uno dei fondatori delle Brigate Rosse, passando per un'inchiesta contro improbabili neobrigatisti romani e, dulcis in fundo, l'arresto di Massimo Papini per la sua conoscenza di una neobrigatista, morta suicida in carcere. Dopo la spettacolarizzazione delle fasi iniziali dell'operazione, solitamente guarnita dalle roboanti dichiarazioni del Ministro degli Interni di turno, segue uno spettrale silenzio. Un silenzio che i malcapitati vivono nel chiuso di una cella, spesso lontano anche dal proprio luogo di residenza e dalla propria famiglia. Poi, quando la pubblica opinione si è completamente dimenticata dell'accaduto, puntuale arriva l'inevitabile ridimensionamento di operazioni tanto spettacolari, quanto inconsistenti.

È all'interno di un simile contesto che vanno a collocarsi l'arresto e la detenzione di Massimo Papini, accusato di partecipazione ad una banda armata esclusivamente sulla base della sua amicizia di lunga data con Diana Blefari, la brigatista di ultima generazione morta suicida in carcere, a causa dell'assenza di attenzione verso le sue condizioni psicofisiche.

La colpa di Massimo, dunque, è quella di aver conosciuto Diana, naturalmente ben prima che lei maturasse la scelta partecipazione alle B.R., e quella di aver mantenuto un rapporto con lei anche dopo l'arresto, senza che questo comportasse alcun coinvolgimento nelle dinamiche dell'organizzazione. Infatti, persino secondo l'accusa, Massimo Papini avrebbe fatto parte dell'organizzazione come soggetto "in rapporto dialettico", vale a dire in posizione defilata e non come militante organico; per ben 13 anni, in buona sostanza, sarebbe stato un aspirante permanente all'ingresso nelle B.R. senza mai essere preso in considerazione.

Papini non è accusato di aver commesso reati specifici dai quali si possa desumere la sua partecipazione all'organizzazione; le accuse rivoltegli ruotano intorno al suo rapporto personale (prima sentimentale, poi affettivo) con Diana Blefari. La sua vicinanza a questa donna ha ingenerato negli investigatori la convinzione che anche lui abbia fatto parte dell'associazione, non vi sono elementi di altra natura che possano collegare Papini alle Brigate Rosse.

Riteniamo non più rimandabile una presa di posizione sul declino di una cultura dei diritti nel nostro Paese, diritti che non possono essere invocati, perlopiù a sproposito, soltanto quando si parla di qualche potente.

La vicenda di Massimo Papini è emblematica di un intreccio preoccupante fra campagne securitarie e latitanza delle ragioni del diritto e delle garanzie. Per questo motivo, vogliamo che su questa vicenda si riaccendano i riflettori e che si giunga presto all'accertamento dei fatti per come sono, e non più per come vengono rappresentati da teoremi tanto suggestivi, quanto privi di riscontro.

Fare luce al più presto sull'odissea di Massimo Papini significa restituire dignità e senso a quello Stato di diritto che qualcuno, ormai, confonde apertamente con il diritto del più forte.

Comitato "Massimo libero!"

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