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(29 Gennaio 2012) Enzo Apicella

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Il potere borghese, fascista o democratico che sia, riposa sui manganelli (e su altro ancora, se non bastano)

(6 Marzo 2024)

di nuovo battaglia comunista

La ferocia della classe dominante, nel difendere i suoi privilegi e nel troncare, possibilmente sul nascere, ogni volontà di cambiamento o anche solo di lotta immediata contro gli attacchi da questa perpetrati, si esprime nella repressione da parte delle istituzioni da lei preposte a questo scopo. Questo non basta però a chi si ostina a vedere nello Stato una entità neutra che è possibile ancora recuperare attraverso il ripristino di una maggiore democrazia all'interno dei suoi apparati o attraverso la difesa della sua Costituzione. Infatti, questa in realtà è il foglio che la borghesia si è data nel sancire il passaggio dalla forma monarchica a quella repubblicana di gestione delle stesse cose di prima, cioè il rapporto di sfruttamento tra capitale e lavoro e la proprietà dei mezzi di produzione da parte del primo. Cambiano le epoche e i paesi e cambia il vestito che in questo o in quel paese la borghesia indossa per fare i suoi affari, ma anche la più apparentemente progressista delle democrazie - quando non le basta il sindacato per tenere buoni i lavoratori, per gestire la loro rabbia entro limiti che non si spingano troppo in là nelle richieste e tanto meno nella rimessa in discussione di questo stato di cose - fa uso all'occorrenza della più cieca repressione. L'uso della violenza è il minimo comune denominatore tra democrazia e fascismo, e se ad alcuni la democrazia potrà sembrare il "meno peggio", perché apparentemente (ma solo apparentemente) fa della violenza aperta un uso minore, sta di fatto che è proprio la classe che ha bisogno di questa violenza a comandare realmente sia in epoca fascista che in epoca democratica, e che il potere politico - la facciata istituzionale - non è che lo strumento di cui il potere vero - quello economico, i padroni - si serve per schiacciare chi alza la testa. Poco fa abbiamo scritto "apparentemente, ma solo apparentemente", parlando di un ipotetico "meno peggio" democratico, per i riformisti, ma non per noi, perché oggi lo stato che più si fa paladino dei valori democratici è, oltre che il primo (ma non l'unico) dei tanti predoni imperialisti sul pianeta, anche uno dei più spietati nella repressione del dissenso: gli Stati Uniti d'America.

In ogni caso, sperare in un cambio di passo per il quale sia sufficiente migliorare le istituzioni dall'interno è una infantile illusione del riformismo, che ad arrivare alla resa dei conti con la classe sociale dei nostri nemici non ci pensa proprio. Da qui a chiedere interventi di carattere normativo per regolamentare la repressione imponendole dei paletti, è un attimo. A distanza di pochi giorni, diverse manifestazioni come Pisa, Firenze e Catania, hanno visto una rinnovata escalation della violenza poliziesca, che si è accanita in molti casi su studenti minorenni, del tutto inermi, di modo che questi già in tenera età si abituino alle "terapie educative" dello Stato. Tutti si sono stracciati le vesti contro la Meloni, all'opposizione ovviamente, manco si fossero scordati di quanto l'hanno usato loro in passato il manganello, invece di fare i verginelli o i santarellini. Per non parlare solo di repressione di piazza si potrebbe poi spendere più di una parola sui loro decreti in tema di immigrazione come il famigerato decreto Minniti, ma essendo il sindacato la sponda della sinistra istituzionale all'interno del mondo del lavoro salariato, tutto ciò poteva permettersi di passare inosservato quando questa governava, perché chi doveva gestire la piazza le chiedeva di non alzare troppo la voce. Volendo, si possono aggiungere i famosi “decreti sicurezza” dell'ineffabile Salvini, tesi a colpire ancora più rabbiosamente le forme della lotta operaia, colpite coi manganelli e con l'apparato giudiziario; ma, per essere precisi, è una prassi che accomuna tanto da governi di destra che di centro-sinistra.

Tra le richieste di chi vorrebbe riformare la repressione, c'è quella di adeguarsi a certi standard di altri paesi del mondo, ad esempio istituendo l'obbligo di un numero identificativo sul casco degli agenti di polizia impegnati nella gestione dell'ordine pubblico. Sarebbe anche un'idea “sensata”, se non fosse che non tiene conto del fatto che nelle realtà in cui tutto ciò è legge, la polizia non ha cessato di essere brutale come negli stati in cui questa norma è assente. Ogni tanto può succedere che il potere borghese processi i suoi figli per dare sfoggio di democrazia, ma sarà sempre indulgente e di manica larga con loro e questo prescinde anche dal fatto che uno sbirro porti o no un codice numerico sulla sua divisa. Per fare un esempio non necessariamente legato alla lotta di classe, nel 1984 un poliziotto mandò in coma un tifoso triestino, Stefano Furlan - che mori dopo diversi giorni di ospedale - sbattendogli più volte la testa contro il muro di un edificio dopo una partita, senza che quest'ultimo fosse coinvolto in nessun genere di disordini. Non solo il poliziotto subí una condanna irrisoria, ma venne in seguito reintegrato nella questura di Trieste. In questo caso non c'era stato bisogno del numerino per portarlo in tribunale, ma questo non vuol dire che egli abbia pagato per le sue azioni. Ed è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare. Tra l'altro, nei paesi in cui questa norma è legge, è molto difficile per un testimone, per non parlare di chi le botte in quel momento le prende, filmare il tutore violento dell'ordine per eventuali denunce, senza che quando se ne accorgono gli altri tutori violenti dell'ordine (borghese) non smettano con lui per iniziare con chi li filma. È già successo tante volte anche da noi. Tutti questi "escamotage" legalitari sono il frutto di una concezione che non guarda al superamento di questo stato di cose, perché ancora si illude che con un po' di make up democratico - il mascara del senso civico, l'ombretto del rispetto della Costituzione, il rossetto della concertazione sindacale- il capitalismo, una volta uscito da questo immaginario salone di bellezza, la smetta di essere quel mostro immondo che è.

Ma, a meno di non riprendere in mano l'iniziativa proletaria in tutti i suoi settori – dal mondo del lavoro salariato (e assimilabile) dalla scuola al mondo del lavoro - e non più in un'ottica di miglioramento dello stato di cose già esistente ma del suo superamento in vista di una società su basi nuove, il comunismo - non saranno di sicuro nessuna Costituzione e nessuna legge in generale a porre un freno all'ingiustizia, alla disuguaglianza, allo sfruttamento, né tanto meno alla volontà di difendere tutto ciò con i processi, le condanne, le camionette e i manganelli. Tanto più che queste leggi non sono scritte certamente da nessun rappresentante della classe oppressa ma dai rappresentanti della classe che la opprime.

O si guarda oltre o ci si lecchino le ferite delle legnate prese e ci si prepari a quelle - una valanga - che si prenderanno domani.

fc

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