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Bell'Italia amate sponde

Bell'Italia amate sponde

(16 Maggio 2009) Enzo Apicella
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha reiterato al ministro dell’Interno, Roberto Maroni, la richiesta di porre fine alla prassi del respingimento di migranti dalla Libia.

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(22 Luglio 2008)

I poliziotti sulle strade? “Ad averceli”. Con una battuta dal palco dell’assemblea annuale della Confesercenti, Silvio Berlusconi ha recentemente ribadito la difficoltà di garantire una maggiore sicurezza sulle strade. “È difficile ingaggiare nuovi poliziotti – ha chiosato il Cavaliere – Dobbiamo quindi approfittare dell’esercito, facendo passare i nostri soldati dal ruolo di forze armate a quello di polizia e carabinieri”. Il governo, dunque, si prepara a spedire 2.500 militari sulle strade per pattugliare le città italiane. Quella dei militari con compiti di polizia, però, è solo una delle molte novità contenute nell’ormai famigerato decreto sicurezza, già approvato dal Senato e in procinto di essere esaminato dalla Camera.

Il provvedimento, oltre a contenere la tanto discussa legge “salva premier”, rappresenta un deciso giro di vite contro la criminalità comune, contiene norme per rendere più facili le espulsioni dei clandestini, prevede l’aggravante dell’irregolarità per l’immigrato che compie un reato, assegna nuovi poteri per i sindaci e prescrive pene più severe per chi guida in strato di ebbrezza. La sicurezza e la lotta all’immigrazione, d’altro canto, sono state i due cavalli di battaglia della vincente campagna elettorale del Popolo delle libertà, e i primi provvedimenti del governo sembrano voler rispondere a un evidente debito di serenità del popolo italiano. Ma l’Italia è davvero un paese tanto insicuro? Il personale addetto alle attività di repressione è effettivamente così insufficiente? In sostanza, qual è il vero rapporto tra i crimini commessi, la crescente percezione di insicurezza, le richieste dell’opinione pubblica e le più recenti scelte del governo?

Quanti reati, quanti poliziotti?

L’unico modo per tentare di dare una risposta a queste domande è affidarsi ai dati relativi al numero di crimini concretamente commessi ogni anno in Italia. Ebbene, le uniche cifre ufficiali in circolazione, quelle del ministero dell’Interno, sembrano contraddire l’allarme sicurezza che si è diffuso negli ultimi tempi: dati alla mano, il nostro sembrerebbe un paese ben più sicuro di quanto non appaia e sicuramente meno pericoloso di quanto non fosse 15 anni fa. Tutti i reati, ad eccezione del furto di motocicli, sono infatti in calo e per alcuni, come l’omicidio, la diminuzione è piuttosto vistosa. Nel 2006, ultimo anno per il quale si dispone di dati definitivi, gli omicidi sono stati 621, 393 in meno rispetto al 1995, e addirittura 1.280 in meno rispetto al 1991. In appena tre lustri, insomma, gli assassinii in Italia si sono ridotti a un terzo.

Significativo è il caso di Napoli, la città che nell’immaginario collettivo appare come la più pericolosa d’Italia: all’ombra del Vesuvio il tasso di omicidi ogni 100 mila abitanti è passato dal 9,1 del 1990 al 3,3 del 2006. Sul territorio nazionale non solo sono diminuite le morti violente, ma anche il numero degli scippi risulta in calo: nel 2006 si è registrato un tasso di 37 borseggi ogni 100 mila abitanti, il più basso degli ultimi 30 anni. Stesso discorso va fatto per i furti in appartamento che fanno registrare una diminuzione del 41 per cento tra il 1999 e il 2006. Per quanto riguarda gli immigrati, invece, il rapporto conferma che l’incidenza degli stranieri che commettono reati sul nostro suolo è decisamente più alta dell’incidenza degli stranieri residenti in Italia. Nel 1988 gli immigrati in Italia rappresentavano lo 0,8 per cento della popolazione, mentre gli arrestati erano il 6 per cento. Nel 2006 il divario è aumentato dal 5 al 33 per cento. Come dire che se gli stranieri in Italia sono 1 ogni 20 italiani, quelli che finiscono in prigione sono invece 1 ogni 3 nativi. I reati per cui gli stranieri vanno in carcere, inoltre, sono borseggio, rapina, furto in abitazione e rapina in strada, ovvero quei reati che, pur non essendo gravissimi, risvegliano il rancore dei cittadini e l’insicurezza sociale.

Per quanto riguarda queste cifre, bisogna comunque tener conto che sono soprattutto gli immigrati irregolari a delinquere, mentre i regolari hanno indici di criminalità simili a quelli degli italiani. Se la paura dell’immigrato trova dunque almeno una parziale e incompleta giustificazione nei dati ufficiali, per quanto riguarda l’organico delle forze dell’ordine le cifre sembrano invece “smontare” ulteriormente l’allarme sicurezza lanciato dal governo. Non è affatto vero, come sostiene Berlusconi, che in Italia esiste una preoccupante carenza di poliziotti. Tra i grandi paesi europei, il nostro è quello che sulla carta ha il maggior numero di addetti con compiti di polizia. I dati provengono dall’indagine Onu sul crimine del 2004 (The Eighth United Nations Survey on Crime Trends and the Operations of Criminal Justice Systems): per ogni 100 mila abitanti, in Italia ci sono circa 559 agenti, in Francia ce ne sono solo 210, in Germania 294, in Gran Bretagna 259.

Insicurezza percepita

Eppure, nonostante queste cifre, negli ultimi anni la percezione del pericolo dei cittadini italiani è cresciuta in maniera esponenziale. Siamo diventati uno dei paesi più sospettosi d’Europa. In base alle indagini dell’Eurobarometro relative al 2005, infatti, il 58,7 per cento degli italiani considera la criminalità una questione rilevante, un dato tra i più alti in Europa. Il 33 per cento, inoltre, sceglie la criminalità come problema “numero uno”, a fronte di un 29 per cento che indica l’inflazione e a un 27 per cento che si preoccupa della disoccupazione.

Tra l’altro il senso di incertezza sembrerebbe non rispondere in modo diretto alle statistiche giudiziarie: secondo una ricerca dell’Istat, presente nel rapporto “100 statistiche per il paese”, i reati che destano più allarme sono il furto in appartamento e quello di automobili, malgrado la curva di questi due crimini segni una netta diminuzione sia nel medio che nel lungo periodo. Non è un caso, dunque, se le angosce degli italiani si addensano soprattutto nelle regioni del Nord, anche se il maggior numero dei reati vengono invece consumati nel Meridione. Nel 2005, in Italia, ci sono stati 10,3 omicidi ogni mille abitanti, contro una media europea di 14 omicidi, e 2,5 milioni di delitti denunciati. Eppure anche i paesi in cui la media di delitti è ben più alta della nostra registrano una percezione del pericolo inferiore a quella degli italiani. Certo, questi dati risentono delle notevoli differenze esistenti tra i sistemi penali e giudiziari europei e della propensione a denunciare o meno i reati, soprattutto di lieve entità, ma quella italiana resta comunque un’anomalia: la “forchetta” tra sicurezza reale e sicurezza percepita appare fin troppo ampia.

Il ruolo dell’informazione

Non è un caso, dunque, se l’Istat consiglia di distinguere tra la componente oggettiva dell’insicurezza, rappresentata da comportamenti antisociali o delittuosi, e una soggettiva, costituita dalla percezione dell’allarme sociale da parte della popolazione, e indica l’informazione come uno dei fattori che potrebbero aver contribuito a distanziare ulteriormente queste due componenti. La criminalità e l’immigrazione, in effetti, ricoprono sempre più una dimensione importante nell’economia dell’informazione italiana, soprattutto di quella televisiva. Secondo Mario Morcellini, preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione di Roma e uno dei massimi esperti italiani di televisione e industria culturale, “quello che è successo in Italia ha dell’inquietante: abbiamo visto un Paese che non è certo alla guerra civile, descritto dai media in modo caricaturale. L’informazione italiana ha prodotto l’immagine di un stato in preda alle invasioni barbariche, pieno di immigrati, unici responsabili del male che ci affligge. Mentre è evidente che gli stranieri in Italia sono ancora pochi rispetto alla media europea e che il male si trova soprattutto nel nostro sistema visivo. Questa è una delle prove più lampanti dell’inadeguatezza culturale del sistema informativo italiano”.

Anche in questo caso ci sono alcuni notevoli dati oggettivi ai quali fare riferimento. Il Centro d’ascolto dell’informazione radiotelevisiva, per intenderci il laboratorio di analisi dei mass-media gestito dai Radicali, ha condotto una ricerca dettagliata sulla presenza della criminalità nelle principali edizioni dei telegiornali italiani degli ultimi 5 anni. I risultati che raccolgono sono eclatanti: le notizie di cronaca nera, cronaca giudiziaria e criminalità organizzata risultano raddoppiate, se non addirittura triplicate, in pochi anni, passando dal 10,4 per cento dell’intera durata dei tg nel 2003, al 23,7 per cento in quelli del 2007. Questa proliferazione del crimine in tv, tra l’altro, non conosce confini. Coinvolge tanto la Rai quanto Mediaset e La7 e, nell’ultimo periodo analizzato, sembra addirittura inarrestabile. Mentre nel periodo 2003-2005, infatti, la rappresentazione di eventi criminosi si è mantenuta sostanzialmente costante, a partire dal 2006 si è registrata una vera e propria esplosione del tempo dedicato a omicidi e affini, con un ulteriore aumento nel corso del 2007. Così, nel 2006, in 3 delle 7 testate rilevate (Tg2, Tg5 e Studio Aperto), la cronaca nera è stato l’argomento più in vista, addirittura prima della cronaca politica, mentre nel 2007 oltre 200 volte i fatti di cronaca nera sono stati l’argomento di punta, quello che ha “aperto” i telegiornali.

Secondo Morcellini, però. “il problema non riguarda solamente le televisioni ma anche tutti i giornali, tanto di destra quanto di sinistra, che hanno cooperato alla costruzione di quella che io chiamo “la gigantografia della cronaca nera”. Rispetto alla criminalità, infatti, tranne le testate economiche, nessuno è riuscito a trovare un’autonomia di racconto: tutti hanno cooperato, con le stesse modalità, alla creazione di questo clima collettivo”. Si tenga conto, però, che le edizioni dei Tg esaminati in questa analisi del Centro d’ascolto sono quelle maggiormente seguite dai telespettatori italiani, con dati di ascolto degni dei programmi più visti, e che in un anno corrispondono a circa 5.100 singole edizioni per oltre 2500 ore di programmazione. Dati alla mano, insomma, il dubbio che il sistema informativo italiano e in particolare le televisioni abbiano contribuito a infondere un certo senso di insicurezza degli italiani non appare del tutto infondato.

11 luglio 2008

Carlo Ruggiero

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