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Ventiquattro ore senza di noi

Ventiquattro ore senza di noi

(1 Marzo 2010) Enzo Apicella
Sciopero generale dei lavoratori migranti

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(L'unico straniero è il capitalismo)

“Capitale” di razza

(21 Ottobre 2008)

Xenofobia, intolleranza religiosa, razzismo, tutte facce di fenomeni in Italia non nuovi e derivati da un unico filo conduttore: l’indifferenza. Un’indifferenza, dovuta all’offensiva mediatica, che ormai imperversa, non da mesi, ma da anni e che, costantemente, conferisce all’immigrato, come a tutti i “diversi”, prerogative atte a produrre sensazioni di minaccia, foriere, a loro volta, di quelle reazioni che la cronaca quotidiana ci descrive. Episodi ormai consueti, dove dall’epiteto, si passa facilmente alla violenza fisica, metodi cui tutti si sentono autorizzati ( dal parlamentare, al sindaco, da chi indossa una divisa, al piccolo bullo ), perché consapevoli dell’impunità ed in quanto gratificati dal sentirsi partecipi alla difesa del “sacro suolo patrio”. Zelanti individui, taluni inconsapevoli, al servizio del Liberismo Sovrano.
Derubricare, mediaticamente e politicamente, episodi di razzismo come atti di devianza minorile e non, provoca quell’indifferenza acefala, che trova i suoi prodromi in sentimenti repressi dovuti, in primis, alla propria insicurezza sociale. E’ qui, che interviene il meccanismo perverso della propaganda dei governi: disaggregare i legami sociali di classe, onde evitare vincoli solidali, che minerebbero ulteriormente le basi della società capitalista. Da una parte schiavitù, lavoro nero o sottopagato e ciò che ne deriva, dall’altra, la richiesta di aumenti salariali, di maggiori diritti civili, del diritto all’abitazione: facile ( e comodo ) farsi indicare il “colpevole” per le proprie insicurezze. Ben più difficile è confrontarsi con le difficoltà insite nel “concetto” stesso di immigrazione ( che indubbiamente scompiglia i paesi di approdo ) come scelta di vita. Ma questo bisogno, occorre tenerlo a mente, è prodotto da quello stesso sistema, che rende precarie le esistenze, nella “nostra” terra; è un fenomeno dovuto alle condizioni di vita, sociali e climatiche, attivate dallo stesso, nei paesi di provenienza.
Sicuramente, il periodo di recessione economica che sta avanzando non aiuterà. Il torpore delle coscienze, la mancanza di strumenti critici, la deriva culturale e politica di certi settori della società, l’esasperante individualismo, dovuto all’accentuarsi dell’atomizzazione sociale, la sempre più marcata perdita dei diritti, non fanno altro che coagulare il consenso intorno ai venditori di sogni, ai padroni delle nostre esistenze, divenuti nell’immaginario collettivo, figure salvifiche.

La società “liquida”, non vuole sottintendere solo il progressivo indebolimento delle istituzioni, ma anche quello dei legami sociali, esacerbato dalla continua diffusione della sensazione di paura, che diviene capitale nelle mani dei politici e dei loro sodali. Il sommovimento culturale derivatone, sarà difficile da recuperare. Oggi l’atteggiamento popolar-razzista ha preso tanto il sopravvento, che quasi non necessita più del supporto di quello statale, ben surrogato dagli onnipresenti “opinionisti” mass-mediatici. Oggi, come l’altro ieri, i governi non hanno altro che da lavorare sull’irrigidimento dei diritti dei cittadini immigrati e della popolazione autoctona meno garantita, frammentando e dividendo gli uni dagli altri.
Matrimoni e ricongiungimenti più difficili, con la conseguente privazione di un minimo progetto di vita; criminalizzazioni e campagne di “sicurezza”, che investono di eccessivi poteri le istituzioni locali ( che spesso ne fanno un uso ridicolo, tanta è la smania di protagonismo ); disconoscimento al diritto di cittadinanza per le seconde generazioni, nate ed integrate nel tessuto sociale, tanto ( e ciò è evidentemente ritenuto “pericoloso”), da voler competere con i coetanei “sans papier” o addirittura cercarsi un amore al di fuori della propria comunità; per non parlare delle prigioni amministrative autoctone o delocalizzate in Stati una volta ritenuti canaglia, ma oggi comodi anche a ricapitalizzare banche in odore di crack….
Come, d’altra parte, non parlare dei tagli alla sanità, ai servizi sociali o delle privatizzazioni, della precarizzazione dei rapporti di lavoro, dell’attacco al diritto di sciopero e alla scuola….
Si potrebbe continuare a lungo, ma non ne avremmo che un lungo, squallido elenco di nefandezze.
Dovremmo, invece, iniziare a chiederci come uscire dalla dimensione culturale di destra oggi egemone, dove demagogia e violenza avvolgono le esistenze dei ceti più popolari. Raccogliere il disagio sociale, significa ri-conquistare quel ruolo che consentiva di dare risposte ai bisogni e sostegno ai diritti di tutti indistintamente e per questo essere riconosciuti; rendere predominante l’affermazione, che se si “colpisce” l’immigrato o il rom, lo si fa affinché il cittadino intenda; far prevalere la ragione, che il degrado delle città non dipende dagli immigrati o dai rom, ma da incapacità amministrative ed ingordigia di palazzinari; far risaltare come, se prospera la criminalità con manovalanza immigrata, è perché chi controlla il territorio, può rivendicare la sua italianità. Occorre, quindi, poter legare e ri-unificare esperienze di lotta diverse, come la tutela dei territori, la lotta contro le privatizzazioni, i diritti delle prostitute e degli omosessuali, degli immigrati e per la sicurezza sul/del lavoro, le battaglie sull’ecosistema e la qualità della vita.
Ri-appropriarsi dello spazio politico/culturale, in previsione dei non facili tempi che stanno sopraggiungendo, dovuti ad una crisi sistemica, di cui stiamo percependo solo alcune avvisaglie.
Dall’altra parte, alcune precondizioni per affrontarla sono state impostate. La risposta dovrà necessariamente prevedere una forte opposizione conflittuale, cui non dovrà mancare la voce del popolo migrante unito.

Luciano Di Gregorio
RdB-CUB Immigrati Roma

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