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I piccoli imprenditori toscani: «Il nostro problema non è l'articolo 18»

articolo di Riccardo Chiari (Il Manifesto)

(25 Maggio 2003)

FIRENZE - «Ma lo vogliamo dire o no che nella piccola impresa l'imprenditore fa anche l'operaio, mentre nella grande spesso è più un affarista che un imprenditore?». L'argentiere Paolo Calabrò mette il dito nella piaga. Difende il diritto dei suoi sei dipendenti ad ottenere l'articolo 18, e si toglie anche qualche sassolino dalla scarpa: «E' falsa la contrapposizione fra piccoli imprenditori e lavoratori. Invece è vero che noi piccoli siamo strumenti delle grandi aziende, che utilizzano il nostro saper fare, la fantasia e la progettualità. Salvo poi, in caso di crisi, scaricare tutto sull'indotto». Dalla provincia di Arezzo dove vive e lavora, Calabrò è arrivato a Firenze per testimoniare il suo appoggio al neonato Comitato di imprenditori per il sì al referendum estensivo dell'articolo 18. Non pensa di essere una mosca bianca: «I piccoli imprenditori vengono spesso identificati come padroncini cattivi, che fanno il bello e il cattivo tempo in azienda. Non nego che non ne esistano, ma in genere la realtà è ben diversa. Dopo che hai lavorato fianco a fianco con i tuoi dipendenti durante l'apprendistato, dopo che li hai `verificati', non puoi non fidarti di loro. Se oggi sono qui, è perché la notte scorsa abbiamo lavorato fino a tardi, tutti insieme. E allora hanno il sacrosanto diritto di non essere considerati lavoratori di serie B».

Per Calabrò, il continuo richiamo al rischio di aumento del lavoro nero, in caso di vittoria del sì ai referendum, non è minimamente giustificato. «Chi lavora in nero vive in una dimensione completamente diversa da quella del piccolo imprenditore. Non gioca in proprio, non rischia nulla, lavora con gli immigrati clandestini e quando le cose vanno male non li paga, tanto quelli non possono protestare». Dal canto suo, un altro piccolo imprenditore come Graeme Lorimer, titolare di un'agenzia di traduzioni, osserva: «A questo punto è diventata importante l'affermazione politica di un diritto. Ho un solo dipendente, ma anche se ne avessi quattordici il discorso non cambierebbe. Anche perchè la polemica sui referendum mi sembra pretestuosa. Si può discutere sullo strumento, e io personalmente sono sempre stato contrario alla filosofia referendaria su materie che dovrebbero essere regolate legislativamente. Ma quando il referendun c'è e si deve andare a votare, allora certe prese di posizione come il no, o addirittura l'andare al mare, mi fanno pensare male. Soprattutto mentre il governo Berlusconi procede verso un complessivo smantellamento dei diritti e delle tutele nel mondo del lavoro».

Insieme agli imprenditori ci sono le realtà politiche e associative che già da tempo sono al lavoro per la vittoria del sì: «Non sono pochi i responsabili delle piccole e medie imprese toscane - osserva il presidente regionale dell'Arci, Vincenzo Striano - che hanno compreso di come l'insuccesso del referendum potrebbe essere il grimaldello per nuovi attacchi al mondo del lavoro». Da parte sua, il consigliere regionale dei Verdi, Fabio Roggiolani, sottolinea: «Oltre ad esprimerci per il sì, sono necessarie maggiori garanzie per i piccoli e medi imprenditori. Si va da un sistema di welfare al quale possano ricorrere nel momento del bisogno, ad un più facile accesso ai credito agevolato». «In caso di vittoria del sì - chiude Mario Ricci, segretario regionale di Rifondazione - anche per le piccole e medie imprese dovranno essere attivati gli ammortizzatori sociali».

Riccardo Chiari (Il Manifesto)

Fonte

  • fonte: il Manifesto (22.5.03)

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