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(14 Gennaio 2010)
Immaginiamo di incontrare un tipo che fa discorsi strani. Che dice che la crisi non è un’eccezione, ma la norma. Che questa crisi non è stata causata né da qualche speculatore troppo avido, né da qualche proprietario di casa troppo credulone. E neppure dalla nuova casta dei banchieri, dai governatori delle banche centrali e dagli analisti delle società di rating. E non perché tutti costoro siano innocenti, ma per un motivo più profondo. Perché la crisi non è un infortunio del nostro sistema economico, ma il prodotto delle sue leggi di funzionamento più elementari. Del modo in cui nella nostra società sono ripartite la proprietà e la ricchezza, si scambiano le merci e si adopera il denaro.
Immaginiamo che questo tizio, sfruttando il nostro sconcerto, si faccia sempre più insolente. E affermi che la crisi non solo non è un problema per il sistema, ma è il solo modo attraverso cui il sistema può risolvere i propri problemi, e riprendere a funzionare senza intoppi. Anche se comunque il suo funzionamento regolare è soltanto una tregua, più o meno breve, prima della prossima crisi.
Immaginiamo di superare il fastidio e l’imbarazzo, e di chiedergli chi gli dia il diritto di raccontarci tutte queste sciocchezze. E che lui ci risponda che tutto questo l’ha inteso, dimostrato e scritto in prima persona. Osservando le crisi di 150 anni fa e scrivendone su un quotidiano degli Stati Uniti, dopo essere stato espulso per attività sovversive da Germania, Belgio e Francia. E poi chiuso a studiare nella British Library di Londra, o a scrivere nella sua casa traboccante di libri e assediata dai creditori. Chiunque non dia per scontato che questo tipo sia un folle potrà trovare qualcosa di interessante in questo libro.
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