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(L'unico straniero è il capitalismo)

I flussi migratori, cassa integrazione, licenziamenti, aiuti alle imprese

(4 Febbraio 2010)

Per comprendere ed analizzare i flussi migratori, occorre contestualizzarli storicamente. Essi, nella loro valenza strutturale ed irreversibile, implicano necessariamente mutamenti negli assetti sociali, economici, politici e culturali, dei paesi di arrivo.

Oggi, nel “mondo globalizzato”, l’evento millenario delle migrazioni, va assumendo dimensioni sempre più crescenti, tenuto conto della maggiore interdipendenza economica mondiale.

A determinare le ragioni dei flussi migratori sono, fondamentalmente, motivazioni economico sociali, negli ultimi secoli rappresentate dallo sviluppo del capitalismo e dalle sue metamorfosi liberiste. Ma non dobbiamo cadere nell’errore di considerare l’immigrazione come fattore di derivazione univoca, alla sua base sussistono diverse concause, che citeremo incompiutamente: impoverimento delle aree di sottosviluppo; sfruttamento delle medesime da parte dell’occidente; situazioni di guerra; regimi dittatoriali; persecuzioni religiose; degrado dell’ecosistema; declino di assetti politici ( vedi est Europa ). A ciò, dobbiamo aggiungere la percezione che l’occidente offre di sé stesso e che incentiva le immigrazioni volontarie: anelito a presunte libertà, intenso consumismo, “agevole” arricchimento. L’Italia, paese tradizionalmente esportatore di manodopera, solo verso gli anni ’70 diviene meta dei flussi migratori, soprattutto, perché gli altri paesi europei ( Germania, Francia, Svizzera ), iniziarono a limitare le entrate attraverso le loro frontiere. Anche il nostro Paese, quindi, in fase economica espansiva, si è fornita di un esercito industriale di riserva, che permettesse maggiori profitti. Un’immigrazione incoraggiata dal sistema produttivo, che l’ha utilizzata in tutti i settori produttivi e dei servizi, attraverso lavori sottopagati e super sfruttati. Tra parentesi, non va dimenticato, come l’apparato economico utilizzasse anche gli ambulanti privi di licenza, che comunque, attraverso l’evasione fiscale, la criminalità organizzata e la complicità di una miriade di commercianti, ha portato profitti non indifferenti.

Nel frattempo, con la crisi del “fordismo”, abbiamo subito la destrutturazione del mercato del lavoro, che ha implicato la gestione della forza lavoro a condizioni di estremo sfruttamento: un mercato del lavoro precario e segmentato, esportazione all’estero della produzione, “virtualizzazione” del capitale finanziario.

In tale contesto, ha giocato e gioca un ruolo fondamentale la manodopera immigrata: sottoposta a ricatti perché in possesso di un permesso di soggiorno legato all’attività lavorativa o perché irregolare, essa è stata utilizzata per stroncare le lotte sindacali e per contrapporsi alla manodopera locale, anche grazie il suo basso costo e la perenne sottomissione.

Al capitale, per mantenere il dominio della struttura economica, torna utile provocare lacerazioni e contrapposizioni fra lavoratori ed in maggior misura, se ad esso può aggiungere fattori di razza e religione.

Queste divisioni, sono ancora più vantaggiose in periodi di crisi economica, come quella che stiamo attraversando, quando, pur non rinunciando all’utilizzo di lavoro nero, la pressione immigratoria si è fatta più ponderosa ed ingestibile socialmente.

I governi europei, nel promulgare leggi inerenti l’immigrazione, si preoccupano più di dotarle di contenuti afferenti il controllo ed il contenimento, piuttosto che l’accoglienza e l’integrazione. Privilegiando l’aspetto economico nella gestione dei flussi, ne deriva, necessariamente, l’implementazione di norme che discriminano, segregano, escludono ed accentuano le differenze con gli autoctoni.

L’immigrato, dunque, considerato come oggetto privo di soggettività giuridica, meramente funzionale al processo economico ed utilizzato, quando non più necessario, come capro espiatorio dei malesseri sociali.

In tale contesto, viene ad assumere valenza il fenomeno del razzismo istituzionale e non. La contrapposizione con i lavoratori nazionali, l’enfatizzazione dei pericoli derivati dall’immigrazione irregolare ( terrorismo, traffico di droga, criminalità organizzata ), campagne mediatiche ed elettorali, inveleniscono ed esasperano il clima sociale, rendendo facilmente controllabile, da parte dei governi, la “fortezza Europa”, anche rispetto le politiche interne.

Ma la criminalizzazione dell’immigrato, non è solo prerogativa di una destra becera e governi reazionari: l’emergere di posizioni razziste, ha coinvolto larghi settori della sinistra e sindacati. Ragioni elettoralistiche, incapacità a comprendere le dinamiche migratorie e i gravi ritardi di una più elaborata analisi dell’evento, non hanno provocato altro, che la divisione fra lavoratori, favorendo ulteriormente dinamiche xenofobe, riducendo sempre più la possibilità di unificazione di classe, i comuni obiettivi di lotta, l’opposizione unitaria allo sfruttamento del capitale.

Le contrapposizioni fra lavoratori nazionali e stranieri, sono utili solo a tenere in vita la struttura economica vigente, un apparato, che necessita di un mercato del lavoro irregolare, deregolamentato e debole, che oggi vede sempre più ridursi la forbice che vedeva esclusivamente gli immigrati come “quelli dei lavori delle 5P: precari, pesanti, pericolosi, poco pagati, penalizzati socialmente”.

Attualmente, siamo partecipi di una grave crisi economica che investe ampi settori della società e che consolida ulteriormente una sorta di “darwinismo sociale” ( homo homini lupus ): annullamento del welfare, mercificazione/privatizzazione di servizi e beni pubblici, precarizzazione duratura, marginalizzazione sociale, immiserimento delle condizioni esistenziali. Migliaia di posti di lavoro sono falcidiati, stipendi non pagati, ulteriori ore di cassa integrazione ( che è finalizzata all’aiuto delle imprese ), mobilità, sostegno alle aziende tramite tirocini pagati con FSE, le quali troveranno utile non rinnovare regolari e meglio retribuiti contratti a tempo determinato.

Da tale decomposizione, possiamo uscirne solo unificando le lotte e le loro potenzialità, con una reale riflessione e presa di coscienza, che travalichi il soggettivismo ( che, non di rado, muta in solipsismo ), ma anche attraverso una nuova e diversa egemonia culturale, che sappia ri-creare le condizioni per uscire dall’inerzia e dalla passività, contro ogni logica di potere.

Luciano Di Gregorio
Immigrati Roma RdB-CUB

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