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(Chi non occupa preoccupa)

20/09/2007 Sgomberato il palazzo occupato di c.so Garibaldi 89

Garibaldi continua. Non ci fermiamo. Riflessione incontro

(23 Settembre 2007)

Questo sgombero può essere l’occasione per volgere al positivo un atto repressivo.

Per Milano questo è il quarto sgombero di uno spazio sociale e politico occupato, uno ad uno vengono eliminati dal tessuto della città.
Le ragioni di questo fenomeno non sono unicamente riconducibili alla speculazione edilizia che con la sua insaziabile sete di profitti non esita a comprare, radere al suolo, riedificare e rivendersi tutto ciò che trova sul suo avido cammino, senza preoccuparsi di calpestare la dignità, le relazioni e i bisogni delle persone e delle comunità che abitano e vivono i quartieri.
La deriva culturale in atto, che criminalizza ogni forma di diversità, di povertà, di resistenza e di opposizione, una deriva costruita ad hoc, fatta di individualismo, disinformazione e paura, dilaga ovunque permettendo di nascondere le manovre di questo governo (e dell’ultimissimo modello di centro-sinistra in arrivo), volte fra l’altro all’ulteriore smantellamento dello stato sociale (vedi accordo sul welfare, liberalizzazioni, ecc…), sotto il volto populista di una fantomatica “questione sicurezza”. Oramai sono diventati questioni di sicurezza i ritrovi dei giovani nelle piazze, i migranti che cercano un lavoro per poi morire nella costruzione delle villette dei benpensanti, le scritte sui muri e persino chi lava i vatri al semaforo. E diventa “questione sicurezza” anche qualunque pratica e forma di espressione politica e culturale che non si lasci ricondurre all’interno del sistema prestabilito;qualsiasi elemento di costruzione di alterità può essere destabilizzante per l’ordine costituito e va eliminato esemplarmente.
Ed ecco che una mattina di settembre, senza alcun preavviso, si presentano in forze i “tutori della legge” per sigillare ed eliminare, nel modo più rapido e indolore possibile, un edificio che per trent’anni è stato generatore di identità alternative ed antagoniste, espressione di pratiche e modelli diversi che non sono mai scesi a patti con un sistema che non li riconosce e in cui non si riconoscono; per trent’anni questo spazio è stato VISSUTO, è stato un crocevia di storie, è stato lotte e battaglie, è stato attraversato dalle persone, dai gruppi, dalle identità più disparate. Poi, all’alba, ecco il vero e proprio blitz militare con il quale il comune ha deciso di alzare il tiro, colpendo un obbiettivo politico con un portato significativo e creando così un pericoloso precedente.
Ecco perché è ora di dare un segnale forte di discontinuità; di porre un freno a queste politiche securitario-repressive. E’ venuto il momento di dire basta.

Il cambio di rotta deve essere segnato da una riflessione su quali errori e su quali mancanze hanno permesso di arrivare al punto in cui ci troviamo oggi; sarebbe troppo semplificativo ascrivere lo sgombero alle difficoltà che il palazzo e il centro sociale stavano vivendo negli ultimi tempi, darebbe spazio a risposte che si inseriscono in quella spirale autocommiserativa dalla quale invece è ora di uscire.
E’ venuto il momento di aprire il dibattito sull’efficacia attuale dei nostri metodi e strumenti, abbandonando il modello di una resistenza passiva e conservatrice per avviare un rinnovamento necessario. Se nella fase attuale è possibile sgomberare in pochi mesi quattro realtà (per limitarci solo alla situazione milanese) significa che dobbiamo avere il coraggio di prendere atto che i nostri strumenti non sono forse adeguati, di metterci in discussione e rivedere alcuni meccanismi che riperpetrandosi uguali a se stessi ci allontanano dalla materialità.
I pacchetti preconfezionati e le risposte date sull’onda della consuetudine hanno dimostrato la loro inefficacia.
Attraverso l’assemblea all’aperto che ha avuto luogo il giorno dopo lo sgombero si è cercato di riportare ad un dibattito collettivo queste considerazioni senza necessariamente confinarle dando loro una risposta immediata.
Lo sgombero ha così avuto l’effetto di portare fuori dalle mura dell’edificio i contenuti e le riflessioni che hanno avuto modo di essere condivise con le altre realtà e soggettività intervenute.
L’assenza delle mura non ha impedito il confronto ma lo ha accentuato e rilanciato riversandolo nel luogo pubblico per eccellenza, la piazza.
Abbiamo attraversato la via dando vita a due momenti differenti all’interno di un’unica iniziativa.
Al momento del confronto, davanti ai nuovi palazzi in costruzione, è seguito quello dell’agitazione sul “ricco” corso Garibaldi nella sua ora clou: l’aperitivo.
Questa è stata una sperimentazione nella quale si è provato a ribaltare lo stato di cose imposto, da una situazione distruttiva ad una ricompositiva.

E’ il momento di reinventare forme nuove che facciano emergere i conflitti e ricostruire quel reticolo di condivisione e diffusione di una cultura e di una pratica radicalmente incompatibili con l’esistente.
E se c’è chi, davanti alla attuale fase di crisi, vede come unica risposta possibile l’appiattimento su parole d’ordine spuntate, l’avvicinamento alle istituzioni per cercare riparo, noi invece pensiamo che sia questo il momento per rimarcare la nostra distanza da un sistema violento e volgare che sfrutta, falsifica, offende, uccide.
E’ il momento di abbandonare vecchie strade senza troppi rimpianti ma senza perdere il valore forte delle nostre idee e dei nostri percorsi.

Apriamo un momento di confronto lunedì 24 settembre alle 17:30 davanti all’acquario civico in parco Sempione.

Il percorso continua…

Grazie a tutti per la solidarietà che ci avete e ci state portando.
Singoli e realtà di luoghi diversi con pensieri e pratiche differenti, ma quello che ci unisce è un’insaziabile desiderio di stravolgere il futuro.

I compagni e le compagne di Garibaldi

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