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Vicenza: Scoperti otto lavoratori «schiavi» nel capannone di famiglia di un assessore del Carroccio a Cartigliano

Un laboratorio con le finestre oscurate, dormivano in una botola, al lavoro giorno e notte

(25 Agosto 2008)

La legge del taglione applicata alla Lega alla veneta. Effetto boomerang clamoroso per chi predica la legge dei paròni in casa nostra e razzola la propaganda anti-immigrati. Renato Zanetti, 57 anni, assessore alle attività produttive e presidente degli artigiani di Cartigliano, nel vicentino, «ospitava» nel capannone di famiglia il più classico dei laboratori «made in China». E' l'imprenditoria tipica del Nordest che sbraita in difesa del modello indigeno e dimentica allegramente la coerenza di fronte ad un po' di schei.

Così in quest'angolo di vicentino (3.700 anime) spunta il leghista «cinese». Di giorno gridava all'invasione dei prodotti dell'Oriente, di notte ospitava gli «schiavi» con gli occhi a mandorla a trecento metri da casa. Renato Zanetti la considerava una sorta di «risarcimento danni» fai-da-te: qualche anno fa aveva dovuto chiudere l'azienda nel ramo della ceramica proprio per colpa dei cinesi, dai quali incassava l' affitto per il piccolo immobile inutilizzato in via Duca di Modena.

Se non fosse stato per il rumore dei macchinari, anche nel cuore della notte, non li avrebbero mai scoperti. Ma le finestre perennemente oscurate e l'apparente assenza di vita nello stabile dell'assessore hanno insospettito la Guardia di finanza di Bassano del Grappa. Mercoledì, dopo giorni di appostamenti, il blitz degli uomini del capitano Danilo Toma ha svelato le terribili condizioni di lavoro dei cinesi della Lega, e la singolare doppia vita dell'assessore.

Ma le manette sono scattate solo per tre cittadini col passaporto di Pechino: Yu Weizhang, la responsabile «de facto» del laboratorio clandestino, Yu Sao We e Zhen Cong, due operai accusati di aver violato la Bossi-Fini. Zanetti, al contrario di Zhou Aihua, titolare dell'azienda già in carcere a Verona, non è nemmeno indagato: il contratto d'affitto del capannone della vergogna era regolare.

La scena che si è materializzata agli occhi dei finanzieri dopo l'irruzione nello stabile è raccapricciante. Nella densa cortina di polvere, tra cumuli di rifiuti e scarti della lavorazione, c'erano le sagome di otto immigrati cinesi: quattro donne e quattro uomini praticamente ridotti alla condizione di schiavitù, che in silenzio e a schiena bassa facevano girare a pieno regime i vecchi telai nascosti dalle pile di vestiti. «Tessevano senza sosta montagne di capi da confezionare, circondati dal degrado più totale. Quando ci hanno visto si sono improvvisamente agitati: hanno iniziato a correre e a gridare. Ma l'aspetto che ci ha colpito di più è stato il "doppio fondo" che abbiamo trovato sul muro del capannone. Da una botola nascosta si accedeva alle stanze "da letto", di cui una piccolissima: pochi metri quadri con i letti ammassati e un puzzo incredibile», afferma l'ufficiale delle Fiamme gialle.

Il doppio fondo che non ti aspetti, come la militanza leghista e part-time dell'assessore di Cartigliano. Adesso cade dalle nuvole: «Cosa combinassero là dentro i cinesi davvero non lo sapevo», giura. E precisa: «So solo che le loro attività non disturbavano nessuno. Certo, sapevo che lavoravano anche di notte, proprio come le formiche. Avevo visto che avevano perfino messo le tende alle finestre e non aprivano mai la porta.

Ma consideravamo l'affitto mensile che ci pagavano come una specie di compensazione - ammette Zanetti - In fondo, è proprio per colpa della Cina che abbiamo dovuto chiudere la nostra attività originaria».

Ammissioni che colpiscono come uno schiaffo il sindaco (anche lui padano) Germano Racchella: «La scoperta del laboratorio clandestino nello stabile dell'assessore Zanetti è una vera e propria mazzata che cade in testa al comune. Non me l'aspettavo: e devo dire che sono sorpreso più come leghista che in veste di cittadino».

Ieri Racchella ha convocato un summit d'urgenza con i vertici locali della Lega Nord. L'assessore adesso parla a ruota libera. Precisa, aggiusta, corregge gli inquietanti particolari. Per lui era tutto regolare: «La titolare si era rivolta a noi la scorsa primavera perché era stata costretta ad abbandonare la precedente sede. Ne stava cercando urgentemente un'altra, ed era venuta casualmente a conoscenza della disponibilità del nostro capannone. Abbiamo controllato bene le sue credenziali. Come potevamo immaginare cosa stava facendo là dentro: era iscritta alla Camera di Commercio e i dipendenti erano a posto con il permesso di soggiorno».

VICENZA 23 Agosto 2008

Sebastiano Canetta
Ernesto Milanesi

Fonte

  • fonte: il manifesto 23 Agosto 2008

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