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L'Islanda riconosce lo Stato Palestinese

L'Islanda riconosce lo Stato Palestinese

(3 Dicembre 2011) Enzo Apicella
Martedì scorso il parlamento islandese ha votato a favore del riconoscimento dei Territori Palestinesi come stato indipendente.

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Ancora una volta la barbarie sionista si scatena violenta e omicida sul popolo palestinese.

(29 Dicembre 2008)

Quello che sta avvenendo in queste ore a Gaza è l'ulteriore conferma che il governo israeliano non ha altro progetto che la distruzione fisica della resistenza palestinese, con il peggior metodo terroristico: l'aggressione alla popolazione civile nell'intento di scacciarla dalla sua terra o di ridurla in una condizione di totale asservimento e schiavitù.
A nessun Paese al mondo sarebbe permesso fare quello è consentito all'entità sionista: assediare, strangolare un'intera regione della Palestina, affamare la sua popolazione, impedirle di potersi curare, lavorare, studiare e massacrarla come sta facendo in queste ore e, con varia intensità da oltre sessant'anni, alla minima inevitabile reazione.

Da quando le prime elezioni democratiche (e internazionalmente osservate) hanno dato la schiacciante maggioranza dei consensi al movimento di resistenza islamica, il regime sionista si è reso conto di non aver più a che fare con notabili stanchi e spesso corrotti, ma con una reale espressione della volontà del popolo, della sua fede e della sua incrollabile decisione di difendere i diritti storici e legali sulla sua terra.

Di qui l'embargo nei confronti del legittimo governo costituitesi, e con il consenso internazionale, il tentativo di strangolare sul nascere quella volontà popolare, quell'inizio di democrazia che non aveva avuto bisogno di bombardamenti per essere implementata.

Dopo il tentativo di putsh contro il governo di Ismail Haniyye ,fallito grazie soprattutto al consenso su cui l'esecutivo poteva contare tra la popolazione di Gaza, la chiusura della striscia è stata via via sempre più ermetica e feroce per soffocare nella fame e nella disperazione quella volontà popolare, quella speranza di giustizia.

Quando nel giugno scorso con la mediazione egiziana il movimento di resistenza di Gaza accettò una tregua unilaterale per sei mesi, le condizioni fondamentali erano state chiare: non ci sarebbero più state azioni ostili nei confronti del territorio israeliano in cambio della riapertura di Gaza, della sospensione dei bombardamenti e delle azioni "mirate" contro singoli esponenti palestinesi.

Niente di ciò avvenne, nei sei mesi intercorsi dall'inizio di quella tregua e il 19 dicembre scorso, 49 palestinesi sono stati uccisi (41 erano civili disarmati, sette erano minorenni, due anziani), la Striscia era sempre più chiusa, mancava tutto, l'energia elettrica, la farina e persino l'acqua potabile.

In quelle condizioni il movimento di resistenza annunciò l' impossibilità prorogare una tregua che era stata osservata solo da parte palestinese e ripresero azioni più che altro "dimostrative" contro il sud di Israeliano.

Una velenosa campagna mediatica tendente alla totale mistificazione di quanto era accaduto ha preparato un'opinione pubblica distratta dalle festività a quello che Israele stava progettando da tempo: la soluzione finale per Gaza.

La cronaca ci parla oggi di 230 uccisi e 750 feriti, e l'entità sionista proclama impunemente che "l'offensiva continuerà".

La comunità islamica in Italia assiste attonita e addolorata a tanto scempio e chiede a gran voce che il governo italiano intervenga direttamente presso Israele e nelle istanze internazionali per chiedere l'immediata cessazione delle azioni contro la popolazione e il territorio di Gaza.

28 dicembre 2008

il presidente dell'UCOII,
Mohamed Nour Dachan

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