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il pane e le rose

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Gaza: solo “prigione a cielo aperto”?

(12 Febbraio 2009)

Cari compagni,

scusate se contribuisco all’ingolfamento delle mail con questa mia ma ho visto che in occasione del massacro di Gaza molti, anche tra noi, continuano ad usare il termine “prigione a cielo aperto” per definire la striscia.

Le parole hanno la loro importanza (ad esempio è assurdo usare il termine “guerra”, come quasi tutti hanno fatto, per quello che è stato un massacro, un eccidio, una strage, tutto tranne che una guerra). Così per il termine “prigione a cielo aperto”.

Poichè per motivi di lavoro bazzico le patrie galere da 35 anni vi spiego perchè è riduttivo parlare della striscia come di una prigione, sia pure a cielo aperto.

Innanzitutto in carcere è possibile ricevere visite di parenti ed amici. Sappiamo bene quanto invece sia difficile entrare nella striscia: l’occupante/secondino si regola in modo indiscriminato e imprevedibile. Quanti di noi hanno tentato di entrare senza riuscirci? e quante volte?

In carcere è possibile essere curati. A Gaza sono stati bombardati ospedali e mitragliate autoambulanze, uccisi medici ed infermieri; anche prima della strage, l’embargo su benzina, elettricità e medicinali impediva il funzionamento delle sale operatorie e negli ospedali mancava l’essenziale (garze, filo, medicine, attrezzi sterili). Ora sono solo macerie.

In carcere l’amministrazione ti fornisce cibo e bevande. In base alle Convenzioni di Ginevra l’occupante dovrebbe fornire tutti i servizi necessari all’occupato.

L’occupante/secondino sionista, invece, affama la popolazione, facendo entrare un ridotto numero di camion di aiuti; durante la strage, ha distrutto campi, coltivazioni, laboratori, aziende, tutto ciò che produceva quel poco di reddito possibile a Gaza privando i palestinesi dei mezzi minimali di sostentamento.

In carcere vi sono le cosiddette ore d’aria. A Gaza la popolazione è stata costretta a stare rintanata in casa dai continui bombardamenti e molti sono stati uccisi (anche bambini) solo perchè allontanatisi per andare a prendere acqua. Anche prima della strage, soprattutto lungo i confini a Nord e a Sud molti sono stati uccisi mentre giocavano a palla o camminavano solo perchè ritenuti sospetti dai “secondini” posti a confine.

In carcere c’è possibilità di lavorare (anche se non per tutti). A Gaza la disoccupazione è ormai pressocchè totale. Prima della strage si parlava del 70/80% di disoccupati.

Alcune carceri hanno una densità abitativa (persone per mq.) minore dei campi profughi di Gaza.

Infine, e soprattutto, tranne gli ergastolani, in carcere si sa che prima o poi si esce e la pena ha una durata prefissata.

Da Gaza i palestinesi non vogliono uscire (e lo hanno dimostrato in più occasioni) perchè è casa loro.

Vogliono però la fine dei massacri e dell’occupazione (il ritiro dalla striscia non ha certo fatto venire meno l’occupazione: per restare nell’esempio, è come se i carcerieri lasciassero i corridoi e si appollaiassero tutti sulle torrette del muro di cinta, pronti a sparare dentro i cortili e le celle. Nessun detenuto si sentirebbe più libero di quando li aveva tra i piedi).

La fine dell’occupazione non è certo a portata di mano, anzi, e l’incertezza della sorte è una pena aggiuntiva su quella della reclusione.

In carcere c’è un buon numero di innocenti ma si presume che dovrebbero essere tutti responsabili di crimini; i palestinesi di Gaza sono responsabili di essere palestinesi lì residenti da sempre o profughi palestinesi cacciati da altra terra palestinese.

Questo scritto, naturalmente, non è un inno al sistema carcerario (orrendo) ma una dimostrazione comparata della atrocità della situazione di Gaza.

Febbraio 2009

Ugo

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