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INNSE ed ESAB, un interessante confronto

La lotta degli operai dell’INNSE continua anche indirettamente ad essere fonte di molti insegnamenti per tutti gli operai.

(26 Settembre 2009)

Raffrontiamo brevemente l’accordo della fabbrica di Milano con quello della ESAB Saldature di Mesero (Milano), in cui un gruppo di operai è stato per più di due settimane sul tetto della fabbrica.

L’INNSE non viene più smantellata, anzi riprende le attività, con l’acquisto degli impianti da parte di un nuovo padrone, che dovrà riassumere tutti i lavoratori della fabbrica, che sono attualmente in mobilità.

L’ESAB, invece, chiude da subito. A fronte di qualche vuota chiacchiera su una eventuale “reindustrializzazione” dell’area, nessun impegno concreto viene preso sulla ricollocazione dei dipendenti. Gli operai avranno un massimo di due anni di cassa integrazione straordinaria, poi scatterà la mobilità, cioè il licenziamento.

L’assegno di cassa integrazione sarà integrato dall’azienda fino al 100% del salario normale. Tutte le altre eventuali integrazioni salariali, che non potranno superare per ciascun lavoratore il tetto dei 24.000 Euro, saranno erogate dall’azienda solo sotto forma di incentivo all’esodo, cioè solo in occasione dell’accettazione individuale del licenziamento e, addirittura, il diritto a ricevere tali somme sarà subordinato alla sottoscrizione “da parte del lavoratore interessato di una transazione generale e novativa con rinuncia ad ogni richiesta e domanda connessa alla esecuzione e cessazione del rapporto di lavoro nei confronti di ESAB”. Una vera carognata, fatta da chi tiene ben stretta la pistola puntata alla tempia degli operai: ti do i soldi che ti servono per tirare avanti per un po’ di tempo senza lavoro, ma devi garantirmi che non mi costringerai legalmente a pagarti risarcimenti futuri per questioni contrattuali e normative o per danni biologici. Una vera e propria estorsione, che non provoca però nessun intervento della magistratura, così pronta invece a perseguire l’occupazione della fabbrica o quella della tangenziale nel corso della lotta dell’INNSE.

Non c’è dubbio allora che per il primo accordo, quello dell’INNSE, si tratta di una vittoria degli operai, mentre quello della ESAB rappresenta una pesante sconfitta delle maestranze.

Questo dato incontrovertibile ci spinge a fare due ordini di riflessioni. Col primo evidenzieremo alcune lezioni che si traggono dal confronto delle due esperienze di lotta. Col secondo valuteremo il ruolo del cosiddetto “sindacalismo di base”, cioè dei sindacatini alternativi.

Non appena Genta, il vecchio padrone della INNSE, ha tentato con un colpo di mano di chiudere la fabbrica, iniziando le procedure di messa in mobilità e contemporaneamente invitando i lavoratori a stare a casa “pagati”, in attesa che si concludessero i tempi canonici per l’avvio della mobilità, la preoccupazione degli operai è stata quella di avere il controllo dell’officina. Loro obiettivi prioritari erano impedire la chiusura dello stabilimento e respingere anche un solo licenziamento. Su questo si sono confrontati duramente con Genta per 15 mesi, senza mai aprire trattative su un eventuale avvio della cassa integrazione straordinaria da aggiungere al periodo di mobilità o su eventuali integrazioni salariali, finendo così in mobilità senza ricevere nessuna integrazione, e si può immaginare cosa abbia significato vivere a Milano per più di un anno con il misero assegno di mobilità. Gli operai dell’Innocenti sapevano però che nella situazione di oggettiva debolezza in cui si trovavano, con un padrone non interessato a continuare la produzione, la cassa integrazione e l’integrazione del salario potevano essere ottenuti solo cedendo su altre questioni, ad esempio accettando il trasferimento di alcune macchine. In pratica, lo scambio era: più sussidi e per più tempo in cambio dell’accettazione del licenziamento. Scambio che gli operai dell’INNSE non hanno giustamente voluto fare.

Di fronte a un dilemma simile si sono trovati anche gli operai della ESAB, come del resto si trovano tutti gli operai le cui fabbriche stanno chiudendo, vedi la LASME di Melfi. La risposta degli operai dell’ESAB è stata però l’esatto contrario di quella dell’INNSE. Al centro della trattativa non è stata la continuità produttiva della fabbrica e il rifiuto dei licenziamenti, ma l’eventuale cassa integrazione e le integrazioni che l’azienda avrebbe dovuto dare. Questa linea veniva già sancita nel preaccordo del 3 agosto, dove si parlava di cassa integrazione e incentivi mentre si accennava solo genericamente ad una eventuale reindustrializzazione dell’area.

L’accordo del 15 settembre è perciò la diretta conseguenza delle strategie scelte all’inizio della vertenza, con le quali non solo si è accettata chiusura della fabbrica e licenziamenti, ma si è ottenuto davvero anche molto poco sul piano delle forme di integrazione al reddito e praticamente nulla sugli impegni per una eventuale ricollocazione degli operai. Tutto ciò malgrado la mobilitazione operaia nel corso dell’ultimo mese fosse cresciuta, arrivando a forme di lotta dure, come il presidio della fabbrica e la permanenza sul tetto.

Due strategie opposte, cui hanno corrisposto due opposti risultati.

Gli operai dell’INNSE sapevano che accettare la chiusura dello stabilimento significava nella migliore delle ipotesi, la ricollocazione in qualche altra fabbrica, con condizioni lavorative e normative peggiorate e si sono opposti con estrema determinazione alla chiusura, senza farsi né irretire da chi proponeva loro fantasie come l’autogestione, né blandire dalle interessate proposte di mobilità fino al pensionamento o ricollocazione per una minoranza. L’unità degli operai doveva essere garantita a tutti i costi perché è proprio l’unità la forza degli operai e l’unico modo per garantirla era impedire la chiusura del luogo dove essa fisicamente si forma, la fabbrica.

Difesa dell’unione degli operai, anche contro chi, preso atto della loro incrollabile determinazione, vorrebbe trasformarli in padroncini o contro chi ha creduto di dividerli con qualche miserabile incentivo. Unione operaia, questa è una delle più importanti lezioni che ricaviamo dalla lotta dell’INNSE Naturalmente, non è mancato il solito imbecille piccolo borghese, che, incapace di cogliere questa lezione, ha sparlato di patto fra gli operai dell’INNSE e i capitalisti produttivi contro i capitalisti speculatori, ragionando allo stesso modo con cui i borghesi russi tacciavano nel ’17 i bolscevichi di essere filo tedeschi.

Andiamo ora ad affrontare la questione delle organizzazioni sindacali, perché anche su questo versante il raffronto fra i due accordi ci dà notevoli spunti di riflessione.

L’accordo dell’INNSE è stato sottoscritto dai vertici FIOM, mentre tutti gli altri sindacati, inclusi quelli “alternativi” sono stati assenti nella lotta. L’accordo dell’ESAB è stato sottoscritto dalla FLMU, che ha praticamente diretto la lotta fino alla sua amara conclusione. In verità l’accordo porta solo la firma delle RSA, a maggioranza appartenenti alla FLMU, e non dei sindacati territoriali. Ma la scelta è solo frutto di una sporca ipocrisia. La FLMU è d’accordo con l’intesa raggiunta, ma sa che essa è impresentabile e allora opta per la soluzione di lasciare l’onere della firma ai suoi delegati aziendali, salvo poi sostenere la loro scelta scellerata in assemblea e firmare insieme alla RSA solo il verbale di accordo al Ministero in cui si avvia la cassa integrazione straordinaria per cessazione delle attività. Una vergognosa ipocrisia del tutto in linea con quella imperante fra i politici italiani pronti a chiamare “missione di pace” l’occupazione militare di altre nazioni. Il tutto condito da parte della FLMU dalle soliti frasi in sindacalese con l’elencazione certosina delle luci ed ombre dell’accordo e con i piagnistei sulla debolezza cronica degli operai.

Una sola domanda, brutale e diretta, va fatta a questi sindacalisti: ma perché vi siete sforzati tanto per creare un sindacato alternativo se alla prima prova dei fatti finite col fare le stesse cose della peggiore dirigenza Fiom?

E’ la fine di una illusione, quella per cui bastava fondare un sindacato “buono”, creare cioè un guscio formale di organizzazione sindacale per poi crescere fra i lavoratori e diventare determinante. Si anteponeva così la questione formale (la costituzione dell’organizzazione sindacale) a quella sostanziale (la conquista della maggioranza degli operai), che è l’unica base su cui può nascere veramente una organizzazione sindacale. Il sindacato, infatti, conta ed esiste solo in quanto organizzazione di massa, capace di rappresentare la maggioranza dei lavoratori.

L’esperienza degli ultimi due decenni dimostra come la scorciatoia del “sindacalismo di base” sia fallimentare, essendo servita solo ad isolare e chiudere in un ghetto le minoranze più combattive.

Ancora una volta qui torna utile riferirsi alla esperienza della INNSE, in cui il fatto di essere rappresentativi della stragrande maggioranza degli operai, ha permesso alle RSU di quella fabbrica di dettare modalità e forme della lotta e le stesse condizioni della trattativa ai vertici sindacali FIOM.

La Sezione AsLO di Napoli

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Commenti (4)

INNSE: padroni buoni ... per spaccare gli operai?

Ciò che AsLO non fa' è dimostrare che alla INNSE il nuovo padrone sia stato convinto dalla forza della lotta ad acquistarla.
Credo proprio di NO, che sia stata acquistata l'INNSE, risparmiando a spese di Genta che pure ha speculato sul prezzo, per acquistare una fabbrica ancora sul mercato, produttrice di profitto.
All'ESAB sarebbero dunque incapaci di costringere un padrone ad aquistare la loro fabbrica???
E cosa c'entra l'Esab con l'INNSE? Niente. Che si canti vittoria da un lato e che si pianga dall'altra cosa accomuna le due esperienze? NIENTE.
Così AsLO (ma cosa è mai? sarà mica 'Operai Contro'?) riesce non solo a spacciare per grande vittoria la fine dell'INNSE ma anche a contrapporre una lotta all'altra sulla base dei divergenti interessi dei vecchi e nuovi proprietari.
Non bastava la più che socialdemocratica vicenda INNSE, addesso si aggiunge anche la spaccatura con gli operai Esab.
Forse la qualifica "operaisti" è solo il lato opposto a quello dei "capitalisti" nella stessa medaglia.

(28 Settembre 2009)

Rotta Comunista

redattore@rottacomunista.it

Due appunti e un commento.

Primo appunto: il dato incontrovertibile è che alla INNSE al padrone Genta è stato impedito di chiudere la fabbrica solo grazie alla lotta degli operai. Ciò purtroppo non è accaduto alla ESAB.
Secondo appunto: solo chi sa unicamente applicare etichette senza magari neanche conoscerne il significato può affermare che tra la lotta dell’INNSE e quella della ESAB non c’è niente in comune. Trattasi invece in entrambi i casi di una lotta contro i licenziamenti, cosa che attualmente accomuna la condizione di migliaia di operai. Ma è proprio la totale estraneità verso la concreta condizione degli operai la caratteristica di tutti gli ideologisti.
Il commento: Questi più che Rotta comunista hanno rotta la testa. Il cervello fuso. Cosa vogliono dire? Che è sbagliato difendere il posto di lavoro? Come tutti i parolai, conoscono o l’uno o il novanta. O non si fa niente, o la rivoluzione. Dalla loro cattedra tranciano giudizi semi comprensibili, ma in quel poco che si comprende, sbagliati. Indipendentemente da tutte le altre considerazioni, la lotta dell’INNSE è stata anche una battaglia di principio. Cinquanta operai in mobilità potevano essere ricollocati da un’altra parte facilmente. Invece hanno deciso di battersi. In un’epoca in cui gli operai conoscono solo la pratica della svendita e del piangersi addosso, all’INNSE, forse per la prima volta da decenni, hanno deciso di non accontentarsi. Hanno così sperimentato autorganizzazione, determinazione nella lotta, forza vincente. Le centinaia di poliziotti mobilitati potevano certo schiacciarli, ma il prezzo sarebbe stato altissimo in termini di pubblicità negativa fra tutti gli operai. Gli operai dell’INNSE sono entrati nella contraddizione e hanno aperto una strada. I rotti comunisti quale strada propongono?

(1 Ottobre 2009)

Franco

fratero@tiscali.it

Due commenti ed un appunto

Risposta a Franco.
Primo commento:
Di Incotrovertibile nella vicenda INNSE c'è anche la mancata pubblicità dell'accordo "vincente", accordo che gli stessi operai della INNSE hanno rifiutato di diffondere dietro precisa richiesta di compagni che li hanno sostenuti sino alla conclusione più che "vittoriosa" chiarificatrice. PERCHE?????
Non è sulla base della valutazione dell'accordo vincente che gli altri operai dovrebbero seguire l'esempio INNSE????
Altrettanto incontrovertibile è il fatto che Genta voleva vendere, qualsiasi cosa, anche le solo macchine, ossia VOLEVA SPECULARE, GUADAGNARCI. GENTA HA O NO GUADAGNATO QUALCHE MILIONE DI EURO DALLA VENDITA DELLA FABBRICA?
Altrettanto incontrovertibile è che l'acquirente GRUPPO CAMOZZI HA RISPARMIATO SULLE PRETESE DI GENTA QUALCHE MILIONE DI EURO. SI o NO?
Se si vuol controvertire questi fatti non serve parlare di "etichette", "uno o novanta" ma sbatter sul muso a tutti l'accordo stesso in cui queste cose sono definite nero su bianco, non chiacchere.

Secondo commento: Noi rotti al comunismo non solo vogliamo dire che è sbagliato difendere il posto di lavoro ma lo diciamo a chiare lettere: NON E' IL POSTO DI LAVORO AD ESSERE REDDITIZIO MA IL NOSTRO LAVORO A RENDERE REDDITIZIO QUEL POSTO.
Oppure qualche infante pensa ancora che i padroni tengano aperte le fabbriche perché sono gli operai che lo pretendono? Che Camozzi abbia acquistato l'INNSE commosso da tanta capacità di lotta dei suoi neo-operai?
OPPURE L'AVREBBE COMPRATA COMUNQUE PERCHE' PROFITTEVOLE ESSENDO UN «OCCASIONE»???
Non siamo invece contrari alle occupazioni a patto che non dividano gli occupati dai neo-disoccupati, ossia dai licenziati in fabbriche che non sono e non possono essere un'«occasione».

Un appunto: Franco (chissa perché non risponde l'AsLO, ma forse sei prorio tu, in puro stile "l'accordo meglio non pubblicizzarlo") certo alla ESAB hanno lottato ed all'INNSE anche. Hanno anche tute simili, timbrano cartellini, fanno turni ecc. ecc.. Ma sono invece i caratteri della fabbriche in vertenza ad essere diversi, ben diversi come la dislocazione dell'ESAB di contro all'acquisto dell'INNSE.
Non siamo noi rotti al comunismo ad aver invitato alla riflessione su queste differenze ricavandone una contrapposizione per tutti gli operai con un esempio dato per negativo e l'altro dato per positivo.
Che persino l'UGL- Sicurezza abbia "compreso" la necessità della difesa del posto di lavoro (specificatamente all'INNSE) non dovrebbe farvi riflettere?
Di quale contraddizioni parli??? Quella tra venditore ed'acquirente? Sarebbe questa la contraddizione sulla quale dovrebbero basarsi gli operai le cui fabbriche non saranno acquisti da alcuno?
Capisco che all'INNSE si possa pensare che la crisi era tutta una "finta", ma agli altri cosa si propone, di occupare la fabbrica facendo la "sentinella al bidone"??
Sul sito www.rottacomunista.org (menù miscellanea-redazionali->Crisi e rivendicazioni proletarie) sono fatte nero su bianco le dovute considerazioni, ma ricorda. la lotta contro la socialdemocrazia, forse sarebbe meglio dire contro il socialimperialismo, non è una lotta contro tesi revisioniste alla Berneistein, ma una lotta contro difese corporative della classe operaia le quali diventano tanto più forti quanto più indispensabili per gli operai coinvolti.
Facendo finta, come fate voi, che non esista un acquirente per l'INNSE, raccontando che la lotta operaia ha conquistato il "posto di lavoro", la vostra pubblicità e vanto non sarebbe, di fatto, che propagandare ad altre situazioni vie d'uscita impossibili, demorallizanti, PERCHE' INVECE L'ACQUIRENTE L'AVETE ECCOME MA GLI ALTRI NON POTRANNO AVERLO.
E questa, caro mio, è socialdemocrazia.

(5 Ottobre 2009)

RottaComunista

redattore@rottacomunista.org

ALCUNE DOVEROSE OSSERVAZIONI

Il livore con cui il “rotto comunista” esprime i suoi giudizi sulla lotta della INNSE è pari solo alla malignità delle sue insinuazioni. Alla INNSE in realtà non ci sarebbe stata nessuna lotta, ma una manfrina fra operai e Camozzi, fatta alle spalle del povero Genta per costringerlo a vendere la fabbrica al prezzo più basso possibile. Argomentazioni di stampo simile le abbiamo lette su Libero e su Panorama, senza che per altro questi giornali borghesi si siano spinti a sostenere quello che fra le righe afferma il “rotto comunista”. Diciassette mesi di presidio, vari sgomberi della polizia, con tanto di scontri, dieci giorni di fuoco ad agosto non hanno alcuna importanza per il “rotto comunista”, ciò che per lui conta è che l’accordo non sarebbe stato diffuso dagli operai. Ma di cosa parla? Se invece di pontificare sugli operai fosse stato al presidio, avrebbe saputo che i punti dell’accordo furono dettati dai quattro sul carroponte a Rinaldini e che di questi punti fu data lettura a tutto il presidio e che proprio questi punti sono stati sottoscritti poi in prefettura. Tra l’altro si è trattato solo di un accordo di massima, un protocollo d’intesa, pubblicizzato dettagliatamente da tutti i giornali, nazionali e locali. Ad esso hanno poi fatto seguito nelle settimane successive gli accordi veri e propri fra Genta e Camozzi, fra Camozzi e Aedes e fra Camozzi e l’RSU dell’INNSE. Anche tutti questi accordi successivi sono stati dettagliatamente riportati dalla stampa. Lo stesso giornale telematico Operai Contro (n. 610 del 2 ottobre 2009) ha riportato i punti più significativi per gli operai dell’accordo definitivo raggiunto. Ma allora di quale accordo tenuto segreto ciancia il “rotto comunista”? Ma crede forse plausibile la sua versione dell’accordo per cui tutti ci avrebbero guadagnato? E poi prima di sparare sciocchezze si informi bene, cosa altro avrebbe mai potuto vendere Genta se non i macchinari, essendo proprietario solo di quelli, mentre terreno e capannoni erano della Aedes? Vuole parlare di cose che non conosce e soprattutto non capisce.
Ammettiamo allora pure che Genta e la Aedes ci abbiano perso nell’accordo, magari non per quello che hanno in assoluto intascato, ma per i potenziali guadagni a cui hanno dovuto rinunciare, mentre Camozzi ci abbia guadagnato, acquistando la fabbrica ad un buon prezzo. E’ questo forse un motivo per essere contro un accordo che prevede l’assunzione di tutti gli operai già licenziati e in mobilità, con le identiche condizioni salariali e normative? Tornando all’esempio presente nell’articolo che ha suscitato questa querelle, secondo la logica del “rotto comunista”, i bolscevichi non avrebbero dovuto fare la rivoluzione del ’17, perché nella prima guerra mondiale oggettivamente essa favoriva la borghesia tedesca, oppure gli operai Fiat non dovrebbero imporre a Marchionne con la lotta aumenti salariali perché questo aumento dei costi della casa torinese favorirebbe la concorrenza della Renault e della Volkswagen. Ma non è proprio questa logica l’essenza della socialdemocrazia così aberrata a parole dal “rotto comunista”, ma da lui così organicamente praticata? La lotta dell’INNSE è una vittoria di tutti gli operai, non solo perché con essa gli operai della INNSE hanno sconfitto il proprio padrone, ma perché hanno così dimostrato a tutti gli operai che solo con la lotta dura, diretta in prima persona dagli operai stessi, si può vincere.
Ma il “rotto comunista” anche su questo non ha dubbi ed è pronto a sentenziare. Per lui se si è vinto non è perché gli operai hanno condotto una lotta esemplare, ma perché c’era l’acquirente, mentre all’ESAB si è perso solo perché mancava il compratore. Per quindici mesi ci hanno detto tutti che la INNSE era in perdita e andava chiusa ed ora che con la forza si è impedita la chiusura ecco che vengono i pierini di turno a dirci che si è vinto solo perché l’azienda era produttiva. Il gioco di costoro è palese: nutrendo completa sfiducia nella forza degli operai, si precipitano a denigrare l’esempio della INNSE, che già si sta generalizzando, dicendo agli operai che non si facciano illusioni, la loro resistenza nulla può contro i voleri del padrone, se la fabbrica non rende verrà irrimediabilmente chiusa. Non si rendono conto di essere in questa opera disfattista in compagnia con tanti altri, sindacalisti collaborazionisti, confindustria e partiti. Neanche il ragionamento fra operai sul perché all’ESAB si è perso va giù al nostro “rotto comunista”. La critica doverosa al sindacalismo collaborazionista, ancor più subdolo se espresso all’interno di un sindacato di base, diventa per costui un tentativo di contrapposizione fra gli operai.
Qualcosa deve pur proporre il “rotto comunista” altrimenti la sua adesione alla linea dei padroni sarebbe fin troppo esplicita. Non ha però il coraggio di dircelo direttamente e ci invita a leggere la sua posizione in merito sul suo sito. Ebbene cosa scopriamo da questa lettura? Che oltre ad una serie di sciocchezze sulla gratitudine e ingratitudine interclassista (?), l’unica proposta del nostro “rotto” è che gli operai dovrebbero accettare indifferenti i licenziamenti, pretendendo gli ammortizzatori sociali, che dovrebbero garantire la continuità del reddito (ma che significa? perché non dire apertamente che la cassa integrazione dovrebbe coprire il 100% del salario?). Ma per essere davvero “cattivi” e “duri” la proposta si accompagna ad un’altra ancora più “radicale”: nessun aiuto va dato dallo stato ad imprese e banche! Il cerchio si chiude. Gli ammortizzatori sociali servono ai padroni per socializzare i costi dei licenziamenti e dei cali di produzione. Essi servono anche a rendere più facile l’espulsione degli operai. Il “rotto comunista” vuole generalizzare questo fatto. Per lui la lotta degli operai contro il proprio padrone è inutile e dannosa. Vadano contenti a casa con la lettera di licenziamento in tasca, da domani, dimentichi della loro ex fabbrica, ma pronti a premere su prefettura e regione per avere una integrazione o una proroga al reddito. I padroni ringraziano.
E della fabbrica come unico vero centro di aggregazione e di forza degli operai? Ma cosa volete che gli importi al “rotto comunista”! I padroni facciano quello che vogliono dei loro impianti. Resta però da spiegare come gli operai, che non avrebbero la forza per dettare condizioni al loro padrone, avrebbero la forza di farlo allo stato, cioè allo strumento collettivo di tutti i padroni. Una forza tale da impedire alla macchina di dominio dei capitalisti di aiutare gli stessi capitalisti, distribuendo loro la quota di profitto di cui si appropria. Una evidente fantasia che serve solo a colorare di “sinistra” il discorso comune a tutti gli opportunisti.
Nel suo sdegnato rifiuto della difesa del posto di lavoro c’è l’incomprensione del fatto che per gli operai in questa società l’unica vera possibilità di sopravvivere sta nel farsi sfruttare. Certo questo non è valido per le altre classi, il cui reddito deriva per tutte dal pluslavoro degli operai. Un membro di queste classi, come è il nostro “rotto comunista”, può allora credere di poter estendere il proprio ristretto punto di vista a tutta la società e illudersi che sia possibile per gli operai vivere di sussidi, come l’antica plebe romana.
Finisco qui con alcune ultime precisazioni. Molti sanno che AsLO è l’Associazione per la Liberazione degli Operai, il cui giornale è Operai Contro, come mai una persona così informata come il “rotto comunista”, che avrebbe addirittura notizie di accordi segreti, non conosce questo fatto?
L’AsLo, poi, per partito preso, in generale non dialoga con le formazioni della piccola borghesia “rivoluzionaria”. Non ha da perdere tempo con tale fuffa.
Pur essendo un membro della sezione AsLO di Napoli, ho voluto però rispondere a titolo personale agli appunti mossi dal “rotto comunista”, allo scopo di precisare meglio alcune questioni. Spero che per gli eventuali lettori questo mio sforzo sia servito, mentre per il livello delle osservazioni fatte dal “rotto comunista” devo convenire che la scelta dei miei compagni è più che confermata. Non ho più intenzione perciò di discutere su queste autentiche sciocchezze.

(15 Ottobre 2009)

Franco

fratero@tiscali.it

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