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Marchio Marchionne

Marchio Marchionne

(26 Ottobre 2010) Enzo Apicella
Esternazione di Marchionne contro la scarsa produttività degli operai italiani

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ULTIME DALLA FIAT: NUOVA ÈRA

(1 Gennaio 2011)

Vale la pena soffermarsi sulle ultime novità contrattuali che la Fiat intende imporre ai lavoratori e per essi a certe loro dirette o indirette rappresentanze come la Uil, la Cisl e altri sindacati o supposti tali più o meno gialli. Siamo ad un passaggio nient’affatto secondario rispetto al precedente ciclo del Sistema del Capitale, la cui premessa è: totale subordinazione della merce lavoro alle necessità concorrenziali dell’azienda. Non che questo principio non fosse presente prima, ma esso vigeva - sia chiaro che parliamo dell’Occidente - all’interno di ambiti dove veniva riconosciuto in un certo qual modo al mondo del lavoro il diritto a rappresentarsi e dunque al contratto nazionale, a contratti integrativi, rappresentanze aziendali ecc. ecc. e all’interno di tale ambito la possibilità per i sindacati di raccogliere le quietanze direttamente dalla busta paga attraverso il prelievo effettuato direttamente dalle imprese, ovvero una vera e propria pacchia per le burocrazie degli apparati sindacali di tutte le tendenze che si avvalevano del silenzio-assenso dei lavoratori e si assicuravano in questo modo vere e proprie rendite che hanno gestito per accrescere un potere clientelare composto di apparati di funzionari, pronti all’uso per salti “qualitativi” in consigli di amministrazione di aziende pubbliche e alimentare quel sottobosco economico di imprese legato ad attività cosiddette “senza scopo di lucro”: cooperative, ong e cosi via, oltre che essere assolvere alla funzione di pompiere nei confronti di lotte spontanee e improvvise dei lavoratori.
Per la Fiat si volta pagina, si passa alla totale flessibilità e conseguentemente alla disintegrazione di un certo modo di essere stato del sindacato confederale. Vediamone brevemente nel dettaglio l’intero impianto:
Orari: 5 giorni lavorativi a otto ore a turno per 3 turni 5X8X3, sei giorni lavorativi a otto ore a turno per 3 turni 6X8X3, sei giorni lavorativi a dieci ore a turno per due turni 6X10X2, introducendo perciò il principio delle dieci ore più una di straordinario e cosi via. L’azienda - si legge – potrà ordinare ai lavoratori fino a 120 ore all’anno di straordinario, cioè il triplo delle attuali 40 e contrattare con i sindacati altre 80 ore per ogni lavoratore.
Pause: le tre pause per ciascun turno saranno di 10 minuti ciascuna per un totale di 30 minuti, oggi la durata complessiva è di 40 minuti.
Malattia e assenteismo: quando il tasso di assenteismo per malattia è giudicato eccessivo, non si paga il primo giorno di malattia a chi si sia ammalato subito prima di un giorno di riposo o di ferie, negli ultimi 12 mesi. Sono escluse …le patologie gravi. Bontà loro.
Contratto e scioperi: «il nuovo contratto non aderisce al sistema confindustriale», dunque niente elezione di delegati di fabbrica.
Rapporto sindacati azienda: solo i sindacati firmatari possono nominare dei rappresentanti aziendali.
Rapporto sindacati, quote sindacali, azienda: l’azienda inoltre rinuncerà a trattenere le quote di iscrizione dalle buste paga (scaricando in questo modo l’onere di raccogliere i soldi).
Accordo e licenziamenti: i lavoratori che sciopereranno contro l’intesa potranno essere licenziati, perché ognuno di loro avrà personalmente firmato il nuovo contratto al momento della nascita della joint-venture.
Questo, il piano, nel dettaglio ed in estrema sintesi. Veniamo ora ad alcune brevissime considerazioni.
Da qualche tempo a questa parte, il signor Marchionne avanza a rullo compressore
saltellando da una parte all’altra dell’Atlantico su un quadro normativo e salariale del precedente ciclo raccattando chi ci sta, stimolato anche dalla convinzione di non trovare una seria e dura opposizione al suo piano che è quello di una riduzione drastica dei costi, cioè del costo della forza lavoro, del fattore fondamentale della componente del plusvalore. Non c’è da menar scandalo per tali decisioni della Fiat. L’accordo su Pomigliano ne rappresentava soltanto l’anticipazione nonché l’apripista per tutto il capitalismo italiano e – possiamo scommetterci – europeo. Da marxisti sappiamo che il Capitale è impersonale ed obbedisce alle rigorose leggi del mercato e per esso dell’accumulazione, ovvero di quel vortice infernale che consiste nella produzione, riproduzione e incremento dell’accumulazione, ovvero la radice intorno a cui ruotano le leggi del Capitalismo: la legge del valore. E’ questo vortice che crea i personaggi alla Marchionne. Lo stesso vortice che risucchia i Fassino, i D’Alema, democratici e democraticume vario. Dunque il problema non è Marchionne, ma il meccanismo che lo muove, detto altrimenti il puparo è il dio Capitale, che non compare, i pupi, Marchionne e similari.
Di riflesso, è vero che non c’è una reale e dura opposizione da parte dei lavoratori frastornati come sono dall’incalzare della crisi e da un’inesistente – all’immediato – prospettiva generale di classe. Senza dimenticare l’ulteriore ricatto delle delocalizzazioni che pesa come una mannaia sulla testa dei lavoratori. E’ perciò una lama nel burro l’attacco di Marchionne che vieta nei fatti la costituzione di delegati di fabbrica, che possono essere nominati solo dai sindacati firmatari dell’accordo, cioè, questi, veri e propri cani da guardia sotto mentite spoglie di incaricati sindacali. Qualche cosa che andando indietro nel tempo la possiamo ritrovare negli Usa
nella prima metà dell’800 o nella Russia fino a prima del febbraio-marzo del 1917, ma la storia va avanti, non torna indietro come in molti temono.
Il vero punto in questione però - e questo lo diciamo in spregio ai cantori di necrologi del proletariato e che oggettivamente suonano come osanna per il Sistema del Capitale - consiste nel fatto che l’attacco della Fiat non rappresenta un elemento di forza del Sistema del Capitale in questa fase, quanto piuttosto una sua estrema debolezza e così facendo scava un fossato davanti a sé dalle incognite imprevedibili. Certo, nell’immediato la Fiat porta a casa importanti risultati, fra i quali quello dello smembramento del vecchio tessuto della classe operaia organizzata in sindacati con enormi apparati grazie anche al fatto che riscuotevano direttamente dalla busta paga la quota economica del lavoratore iscritto. Non sarà più così e questo porrà i lavoratori nella necessità di riorganizzarsi su di un terreno diverso rispetto al passato. Insomma i lavoratori sono chiamati a fare da sé per fare per sé. Ce li immaginiamo i lavoratori che si tassano per finanziare gli attuali apparati sindacali? Momentaneamente possono anche segnare il passo, si può anche pavidamente continuare ad arretrare, si può anche essere costretti individualmente a firmare l’infame ricatto, ma fino a che punto? Chi guarda sconsolatamente all’oggi non si rende conto di quel che l’oggi prepara ed a cui i Comunisti devono lavorare ed essere pronti alla bisogna.
Marxisticamente affermiamo che il Capitale nell’immediato fa per sé e prepara la prospettiva contro di sé. Un principio presente fin dal Manifesto del 1848 ma oggi più attuale che mai.
Si pongono per migliaia di compagni - abbarbicati nostalgicamente a certe concezioni soggettivistiche ed in quanto tali sbagliate - seri problemi su cui riflettere, in modo particolare quello riferito alla questione sindacale, perché viene ad essere bruciata l’illusione - presente nel vecchio ciclo - di poter costruire sindacati alternativi a quelli maggiormente rappresentativi, fra tutti, la Cgil. Si tratta di non sbandare paurosamente. La Cgil – e non solo, si badi bene – è chiamata ad essere quello che non pensava mai di essere e contemporaneamente non vorrebbe rappresentare ciò che è chiamata a rappresentare, perché sono i lavoratori a dover essere quello che non potranno più essere, compresi e non esclusi quelli che “ardentemente” firmano
l’accordo e si fanno rappresentare dalla Cisl, dalla Uil, dalla Fismic e cosi via. Qui l’enorme contraddizione dialettica che i Comunisti devono saper disvelare. Un lavoro enorme da compiere tanto sul piano teorico quanto su quello politico. Detto in maniera brutale e senza cincischiamento alcuno: o dalle fabbriche fuoriesce una tensione che tende ad organizzarsi e dunque a costituirsi in comitati e sindacati oppure è tempo perso pensare di sollecitare dall’esterno un diverso sindacato a cui iscriversi.
Quanto alla proposta di uno sciopero generale, indipendentemente da chi la formuli in questo contesto, va detto che non è una parola d’ordine in quanto tale a fare da catalizzatore per una ripresa generale di mobilitazione all’attacco della Fiat e del Capitale nel suo insieme, non è essa la leva – al momento – che può smuovere un proletariato sedato da un profondo letargo dovuto ad un lungo periodo di accumulazione ed oggi stordito e frastornato dai colpi della crisi mondiale del Sistema del Capitale e perciò reso passivo. Lo sciopero generale, a meno di non riferirsi a ritualità da sabato pomeriggio romano, rappresenta l’effetto di una reale tensione del corpo vivo dei lavoratori, una tensione che cresce, si estende, coinvolge decine e centinaia di migliaia di lavoratori per sfociare naturalmente in uno sciopero generale quale momento conclusivo di un percorso dal quale deve scaturire uno spostamento di rapporti di forza, foss’anche soltanto il respingere le nuove proposte avanzate dal nemico di classe. Ovviamente, per quanto sarebbe preferibile una mobilitazione generale dei lavoratori che partisse dai posti di lavoro e coinvolgesse vasti strati di proletariato giovanile, precario e di disoccupati, ben venga comunque un’iniziativa della Fiom, meglio ancora se dovesse coinvolgere tutte le altre categorie e arrivare ad uno sciopero generale. All’oggi ci pare di capire che questa tensione
non ci sia, e sia quindi difficile pensare che la sola parola d’ordine possa fungere quale grimaldello per scardinare la passività operaia e proletaria del contesto determinato. Non sappiamo se l’attacco di Marchionne sia l’ultimo prima di una ripresa vera di lotte operaie; può anche darsi che nel breve periodo dovremo assistere a qualche ulteriore passaggio, ancora un arretramento, ma quello che è certo è che siamo alla vigilia di una ripresa dello scontro di classe a livello internazionale come mai si era sino ad ora verificato ed in modo particolare in Occidente. Sarà una ripresa improvvisa, spontanea multinazionale e necessariamente violenta proprio per l’accelerazione che il Capitale sta dando alla sua compressione su tutti i livelli di vita delle masse proletarie. Quelli che si richiamano al marxismo hanno mille e buoni motivi per incominciare a cercarsi e ritrovarsi, per approfondire la fase come tendenza al rallentamento dell’accumulazione, le sue disastrose conseguenze e le prospettive che ne possono derivare.

30 dicembre 2010.

Michele Castaldo

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