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(21 Dicembre 2011) Enzo Apicella

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Da Mirafiori parte la nuova era del lavoro senza diritti

(2 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

L’accordo sindacale sottoscritto a Mirafiori è il regalo di fine anno fatto a migliaia di lavoratori non solo del comparto auto, un regalo che è anche una sorta di messaggio forte e chiaro: siamo approdati in una nuova epoca in cui i diritti individuali sono azzerati con buona pace di sindacato e lavoratori.
Sarebbe interessante sentire i pareri di chi, tra i sostenitori dell’accordo di Pomigliano, affermava che si trattava di una situazione speciale, irreplicabile in altre fabbriche e quindi da accettare anche se a malincuore.

In effetti è in parte vero perché, se possibile, l’accordo di Mirafiori è addirittura peggio di quello di Pomigliano: è la certificata e definitiva sospensione dei diritti costituzionali, con cui si abolisce il riferimento al contratto nazionale, si istituzionalizza la contrattazione di secondo livello come primaria, e si decide chi e a quali condizioni può e deve stare in fabbrica, sia esso sindacato o semplice lavoratore. Nello specifico si potrebbero citare la riduzione delle pause alla catena di montaggio, il non pagamento dei primi giorni di malattia e altre nefandezze: chi vuole leggerlo in tutta la sua completezza lo troverà scaricabile su questo sito.
Cercando però di darne una lettura più globale, l’accordo di Mirafiori è la fase finale del violento attacco a cui è stato sistematicamente sottoposto il mondo del lavoro negli ultimi anni. I dati sulla disoccupazione in continua crescita, il nuovo Collegato Lavoro, la riforma dello Statuto dei Lavoratori, la precarietà istituzionalizzata, l’allungamento dell’età pensionabile, la quasi impossibile ricollocazione per chi perde il lavoro, hanno dietro un’unica strategia: aumentare i profitti cancellando i diritti individuali, aumentando lo sfruttamento a fronte di una continua compressione dei salari.
Dietro il trito e ritrito discorso dei mercati, della competitività internazionale e degli investimenti (di cui non viene mai ben chiarita la natura) si nasconde un progetto ben differente che mira ad aumentare i tempi di lavoro e a diminuire i diritti ma non certo ad aumentare l’occupazione. Con la favola del costo del lavoro si punta solo a mantenere i giovani in condizioni di sottoimpiego, costringendoli ad accettare qualsiasi lavoro precario e sottopagato o a passare da uno stage all’altro senza mai ottenere un contratto, mentre si cerca sempre di allungare l’età pensionabile ben oltre la data stabilita dai contratti di impiego originari. Se non fosse chiara la situazione salariale di questo paese, basti vedere che nel 2008, il salario annuo lordo dei dipendenti dell´industria e dei servizi, è stato a parità di potere d’acquisto, di circa 23.000 euro in Italia contro i 30.000 degli stessi lavoratori in Francia, dei 36.000 di quelli Svizzeri, fino ai 42.000 percepiti dai lavoratori dello stesso comparto in Germania.
In tutto questo scenario non poteva mancare la consueta citazione del Ministro del lavoro e del welfare (continuiamo a chiedere quale…) Sacconi che, in un’intervista a Radio Rai 1, ha detto che “I giovani sono particolarmente esposti alla disoccupazione soprattutto perché pagano il conto di cattivi maestri e qualche volta di cattivi genitori che li hanno condotti a competenze che non sono richieste dal mercato del lavoro". Secondo il Ministro è necessario rivalutare il "lavoro manuale, l'istruzione tecnica e professionale evitando che una scelta liceale sia fatta per sola convenzione sociale e magari non vedendo che un giovane ha l'intelligenza nelle mani".
Ci spieghi di quali lavori manuali parla caro Ministro. Forse intende quello di friggitore di patatine presso qualche grossa multinazionale o di muratore (magari al nero) presso qualche cantiere o pensa di risolvere tutto sfornando eserciti di panettieri, ebanisti e cesellatori? Piuttosto che buttare la croce come al solito sulle persone (se non sei capace di farcela è perché hai sbagliato scelta…) il Ministro farebbe meglio a mettere mano a un mercato del lavoro dove il 70% delle assunzioni avviene per “conoscenza” e non sulla base del proprio curriculum; dove il posto di lavoro è una merce di scambio elettorale per l’elezione, magari a sindaco, di una grande città (dove peraltro la disoccupazione per alcuni è cronica ma per altri si risolve in un’immediata assunzione in posti di responsabilità…), un mercato dove gli ammortizzatori sociali sono per pochi fortunati ma la povertà è largamente distribuita a tutti, dove una donna nei colloqui di lavoro si sente chiedere “ha intenzione di sposarsi? Ha intenzione di fare figli?” e in caso di risposta affermativa viene gentilmente messa alla porta.

Inoltre, come al solito, prima di consigliare agli altri quello che devono fare, s’informi, perché la percentuale di laureati in Italia è esattamente la metà della media europea: 11,6% contro il 23,2%, il dato più basso di tutta l’Unione. A certificarlo è Eurostat, l’agenzia statistica della comunità europea. Gli stessi dati Eurostat mostrano che in Italia si fa molta meno formazione che nel resto d’Europa: le percentuali di lavoratori iscritti sono il 9% rispetto ad una media UE del 23,3%. In Italia il vero problema non ci pare proprio che sia quello dei troppi laureati, anzi.
Di fronte a tutto questo è d’obbligo cominciare il nuovo anno con un segnale forte e inequivocabile per far capire che, anche di fronte alla macelleria sociale che sta condannando una generazione alla precarietà eterna e un’altra alla povertà lavorativa, non si deve restare impassibili: lo sciopero generale va proclamato al più presto. Se non adesso, quando?

29 dicembre 2010

Stefano Giusti

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