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Spagna: nelle prigioni ci sono restrizioni che non esistevano neppure ai tempi di Franco

intervista a Félix Soto, uno dei fondatori del movimento pro amnistia

(3 Gennaio 2004)

Il movimento pro amnistia ha considerato concluso, un paio di settimane fa, il processo di riflessione intrapreso a novembre. Nella manifestazione finale del Kursaal di San Sebastián, per domani è stato indetto un corteo a Bilbao. Per Félix Soto, uno dei fondatori di questo movimento, la situazione nelle prigioni è più cruda ora che negli anni 70.

Félix Soto, una delle 27 persone che fondarono negli anni ‘70 il movimento pro amnistia, ritiene che la politica penitenziaria attuale sia più dura di quella di allora. Anima la gente ad accorrere alla manifestazione di domani come primo passo per rafforzare il lavoro in favore dei prigionieri.


Quali sono le ragioni che hanno spinto il movimento pro amnistia ad organizzare ora questo processo di riflessione sulla situazione dei prigionieri?

La situazione attuale è molto grave. Bisognava spingere un'iniziativa di questo tipo per cercare di resistere, perché in questi momenti stiamo andando chiaramente all’indietro. Il fatto che si accaniscano sui prigionieri è impensabile in qualunque situazione, perfino tra nemici. Si è creata una politica miserabile. Quello che risulta inconcepibile è che il PSOE ne sia pienamente partecipe.

A cosa attribuisce l'atteggiamento di questo partito?

Parlano di coloro che sono minacciati, dicono che sono 40.000. Io credo di no, credo che siamo due milioni e mezzo di persone, ad essere minacciate. Ti arrivano a casa di buon mattino e, dopo aver tirato due calci nella porta, si portano via il figlio, il padre o chiunque e li tengono imprigionati per mesi o anni, persino senza giudicarli. Non bisogna neanche dimenticare che esistettero il GAL ed il Battaglione Basco Spagnolo (formazioni paramilitari al servizio dei governi spagnoli nella guerra sporca contro la dissidenza basca, N.d.T.). Quello che succede è che ora hanno il loro GAL nella magistratura. Ora fanno le cose in modo più discreto.

Che valutazione si fa di questo processo di riflessione, che grado di partecipazione si è avuto?

La partecipazione è stata buona. Inoltre, a differenza di tempi passati, hanno partecipato anche i prigionieri. Vogliono essere soggetti attivi su questo tema e nella risoluzione del conflitto, una cosa logica. Sarebbe assurdo emarginare la parte più coinvolta.

Le riunioni hanno visto la presenza di circa sessanta soggetti politici, sociali e sindacali. Si è sentita la mancanza di qualcuno?

Si sente la mancanza della gente che a suo tempo stava a fianco dei prigionieri e che in questi momenti dice che la situazione è cambiata. Si vede chiaramente che non lottavano per i diritti umani, ma per una situazione politica nella quale si sono accomodati.

Una volta terminato, che conclusioni trae dal processo?

In questi momenti vi sono violazioni di ogni tipo, compresi casi che prima non si verificavano. La dispersione, prima, non era tanto generalizzata. Inoltre, si sono fatti esperimenti di ogni tipo, raggruppando i prigionieri per poi disperderli di nuovo. Erano tempi di Múgica Herzog e di Ardanza, un soggetto impresentabile sia a livello politico, sia a livello sociale. Alla dispersione vanno aggiunti il dissanguamento economico e la pericolosità negli spostamenti. Si stanno riducendo anche le visite e molti altri diritti. Stiamo parlando di restrizioni che non si verificavano neppure ai tempi di Franco.

In questo contesto, su quali aspetti insisterà il movimento pro amnistia?

Appoggerà la richiesta di avvicinamento dei prigionieri ai loro luoghi di residenza. Cosa ha fatto il Governo Basco al riguardo? Una dichiarazione e basta. Inoltre, insulta coloro che lavorano in favore dei diritti umani. Dimostra un'ipocrisia totale: è molto diverso morire perché ETA agisce o perché uno "si è dimenticato di respirare" in una caserma della Guardia Civil o in un commissariato. Lavoreremo sul tema dell'avvicinamento, con l'obiettivo che la gente si impegni, al di là di una semplice dichiarazione. Io cercherei di ottenereun “sì” o un “no”. Quello che non può accadere è che la gente si assopisca e la questione si sgonfi. Forse che ci sbagliamo ed i diritti umani esistono solo per i boia o per chi sta al potere?

Si prevede qualche dinamica concreta per il futuro?

Si deciderà man mano. Non sono d’accordo nel limitare il tema a conferenze stampa e televisioni. Questo non serve a niente e, inoltre, lì c’è il nemico e lo spazio che ti concede è pochissimo. Bisogna fare qualcosa di più, qualcosa che possa condizionarli. Quando abbiamo lavorato per esigere la scarcerazione di un prigioniero di Egia, che aveva scontato i tre quarti della sua pena, andammo di porta in porta. Significa molto lavoro, ma c'è gente che non sa quello che succede.

Com’è il morale dei parenti dei prigionieri?

Io credo che ad essere forti, in qualche modo, siano i prigionieri. Se in qualche modo esistono movimento e resistenza all’immondezzaio di Madrid è proprio grazie ai prigionieri. Sono loro che trasmettono forza e vitalità ai parenti. La cosa importante è che non faccia breccia in noi la cultura della sottomissione che trasmettono la gerarchia ecclesiastica e quelli che stanno comodamente nel Governo Basco.

Riassumendo, quasi trenta anni dopo la nascita del movimento in favore dei prigionieri, a che punto è la questione?

Al giorno d’oggi, molto peggio. Per strada, i parenti, prima avevano l'aiuto della Chiesa, si facevano collette.... La situazione nelle carceri è peggiore, se teniamo conto delle provocazioni, delle punizioni e delle aggressioni che subiscono. Questo tipo di situazioni non si verificavano, prima. Le prigioni di Franco erano stabilimenti balneari, paragonate con quelle di ora. E anche negli arresti c'è abbastanza differenza. In "democrazia" io sono stato in isolamento assoluto sette giorni; con Franco, invece, 48 ore.

dal quotidiano GARA del 02.01.2004

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