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La Gelmini ha ragione

La Gelmini ha ragione

(26 Novembre 2010) Enzo Apicella
Manifestazioni studentesche contro la "riforma" Gelmini in tutte le città.

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(La controriforma dell'istruzione pubblica)

La Riforma Moratti e i giovani ricercatori

(10 Maggio 2004)

La devastante riforma Moratti sovverte tutto il sistema dell’istruzione, in parte seguendo la scia della precedente riforma Berlinguer, in parte introducendo numerose novità a danno di alcune figure, ad esempio dottorandi e dottori di ricerca, la cui condizione non era né quella di studenti, né quella di docenti.

L’impossibilità di definire lo status giuridico di dottorandi e dottori di ricerca che non siano ancora ricercatori si è creata con l’autonomia dei singoli atenei sancita durante il Governo del Centro-Sinistra: infatti, con questa sorta di federalismo didattico, le università hanno potuto gestire autonomamente tutti i bandi di concorso per i dottorati di ricerca decidendo i numeri dei posti messi a disposizione (dottorati con borsa e dottorati senza borsa di studio), se i dottorandi avessero obblighi di compiere attività didattica o altri specifici compiti da svolgere, come soggiorni all’estero o altro.

L’autonomia didattica degli atenei aveva – inoltre – dato inizio ad un altro fenomeno inquietante, ossia la nascita della figura professionale del docente a contratto, pagato per svolgere seminari o corsi universitari, creando una confusione e, spesso, una sovrapposizione con il ruolo del studente vincitore di una borsa di studio post-dottorato, il quale da figura di giovane studioso dedito anche ad una limitata attività didattica si è trasformato in una sorta di docente a contratto, costretto a sostenere un esame per accedere al finanziamento, mentre nel caso dei docenti a contratto la stipulazione del contratto non passa per alcuna forma di concorso ed è effettuata ad personam, cioè per intercessione di qualche docente.

L’approdo di questo lungo iter di precariato era il concorso per un posto di ricercatore che toglieva dal precariato lo studioso e lo immetteva in un percorso professionale garantito ed a tempo indeterminato.

La riforma Moratti si è posta come obiettivo quello di dilatare enormemente i tempi di permanenza del giovane studioso nella zona d’ombra del lavoro precario e privo di molti diritti considerati storicamente inalienabili per i lavoratori di ogni settore e, di conseguenza, la riforma Moratti colpisce anche la qualità della didattica, perché costringe tutto questo precariato intellettuale ad un’attività molto dispersiva all’interno dell’ateneo ed a stabilire altri rapporti lavorativi fuori dal mondo accademico, data la scarsità delle risorse messe a disposizione per questi lavoratori.

La novità più vistosa apportata dalla riforma Moratti è l’abolizione del ruolo di ricercatore: il ruolo di ricercatore sarà ad esaurimento ed verranno istituiti concorsi soltanto per le figure di professore di prima o seconda fascia, rispettivamente gli ex professori ordinari e gli ex professori associati. L’esito di questo cambiamento sarà un naturale aumento degli anni di precariato per tutti coloro i quali attendono di inserirsi stabilmente nel mondo accademico, con l’asservimento a condizioni di lavoro sempre più improponibili, magari solo per riuscire ad accrescere i titoli (pubblicazioni, incarichi) da esibire ad un eventuale concorso.

Il prolungamento della condizione di docente precario nell’università italiana non è sine die, perché la riforma Moratti non prevede nemmeno la possibilità di rinnovare un numero indefinito di volte i contratti di lavoro, anzi stabilisce solo la possibilità di rinnovare non più di due volte un contratto di lavoro e permette che ogni singolo contratto di lavoro abbia la durata massima di 4 anni. In altri termini, non c’è nemmeno la possibilità per il precario di garantirsi alcuna forma di sussistenza nel caso in cui non sia vincitore di un concorso o non siano stati banditi concorsi in quell’arco di tempo.

Gli aspetti appena illustrati si riferiscono al percorso ideale che deve compiere un dottore di ricerca per accedere al lavoro, secondo un’accezione tradizionale, ma non vanno dimenticate tutto ciò che significa essere precario, ossia l’impossibilità di accedere a servizi di tutela nel caso di malattia, perché questi contratti di lavoro non contemplano la possibilità di astenersi dal lavoro per lunghi periodi anche in caso di malattia o, peggio, prevedono il licenziamento, questi contratti non offrono una copertura previdenziale, già fortemente limitata dalla riforma sulle pensioni, infine questi contratti sono al limite dell’incostituzionalità perché non garantiscono le pari opportunità, in quanto non riconoscono alle donne il diritto alla maternità, visto che queste lavoratrici non godono di alcuna tutela in caso di malattia (la maternità, come è ben noto, viene annoverata tra le malattie ai fini previdenziali).
Una ulteriore nota merita di essere aggiunta per chi non conosca approfonditamente il mondo accademico, cioè il fatto che queste forme di precariato non riguardano giovanissimi, come nel caso dei contratti di formazione professionale, ma riguardano degli adulti di almeno 27 o 28 anni d’età che hanno come prospettiva quella di rimanere precari per altri dieci anni e, quindi, queste condizioni di lavoro non sono semplice instabilità economica, ma impediscono statutariamente di avere un figlio o di poter accedere ai congedi parentali, anche nel caso degli uomini.

Questo quadro terrificante impedisce anche la possibilità di impiego dei giovani ricercatori nell’istruzione presso le scuole medie inferiori e superiori, visto che la riforma Moratti ha mantenuto le linee di fondo della precedente riforma Berlinguer ed ha lasciato distinti i due canali per accedere all’insegnamento: i dottorati di ricerca, cui si accede attraverso un concorso, non sono ancora equiparabili alle Scuole di Specializzazione ai fini del punteggio nella graduatorie per l’insegnamento nelle scuole medie.

In conclusione, si può dire che la riforma Moratti segue la politica dei tagli al welfare state ed alle garanzie sociali in generale, danneggiando tutti i lavoratori dell’università, aumentando le ore di lezione annuale ai docenti e, soprattutto, lasciando i giovani studiosi, dottorandi e dottori di ricerca, in una terra di nessuno, senza diritti.

Collettivo dottorandi veneziani

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